Cortellesi question. Riflessioni
Per diversi giorni, sono apparsi sul web giudizi pesanti sull’intervento fatto da Paola Cortellesi all’inaugurazione dell’anno accademico della Luiss, a cui l’attrice era stata invitata dal Presidente della stessa Università.
A detta dei “naviganti”, con le sue esternazioni l’attrice ha compromesso, nell’ordine: l’innocenza dei bambini, l’unità delle famiglie, la sacralità dei valori tradizionali, le basi della nostra civiltà.
Per avere un’idea precisa dei fatti, e dei denunciati “misfatti”, mi sono premurata di andare a vedere il video integrale, e di leggere – e rileggere – il testo integrale dell’intervento, cercando di individuare la radice delle critiche.
Non sono riuscita, però, a trovare il corpo del reato.
Ho apprezzato, invece, l’intervento – peraltro applauditissimo – anche per la profondità delle considerazioni, una fra tutte, questa: “Quello che mi auguro per voi ragazzi è che non abbiate mai paura di uscire dai condizionamenti. Che accettiate il rischio di sembrare strani o pazzi, se questo significherà scegliere. “. Un’esortazione, questa, che ricorda il bellissimo “testamento” che Steve Jobs ha lasciato ai giovani (senza suscitare alcuno scandalo, lui …), e a cui, qui, mi piace rimandare.
Sembra plausibile pensare che la rumorosa levata di scudi “social” sia stata provocata da fraintendimenti, magari dovuti ad estrapolazioni dal contesto, oppure a giudizi di seconda mano. Non è da escludere, comunque, che il “male” sia stato percepito dal persistere di una mentalità di tipo nostalgico, che considera la tradizione buona e giusta, sempre e comunque, anche se genera disparità non solo sociali, ma addirittura esistenziali, a danno delle donne. Le critiche del web si sono appuntate in modo particolare sui riferimenti di Cortellesi al mondo delle fiabe, nonostante fossero caratterizzati da ironia e fossero argomentati in modo gradevole, anche a giudicare dalle divertite reazioni del pubblico presente all’inaugurazione.
La critica dell’attrice ai modelli proposti dalle fiabe vale sicuramente come possibilità di analisi una sorta di “paratesto” che vuole mettere in discussione gli stereotipi antifemminili che essi propongono. Tali modelli sono stati sicuramente funzionali alle epoche passate, e di quelle epoche riflettono i valori e dunque le identità proposte alle bambine, come l’ingenuità, la docilità, la bellezza fisica, e, dulcis in fundo, il matrimonio visto come apoteosi della realizzazione personale. Donne belle, Cenerentola e Biancaneve, ma ingenue e sprovvedute, tanto da dover avere bisogno di un uomo (principe, però…) per liberarsi dalla situazione di empasse in cui si trovano.
È possibile, oggi, poter sostenere che questi modelli siano completamente passati di moda? Non del tutto, direi, viste le critiche – rivelatrici – mosse alla Cortellesi; è evidente, quindi, che sono ancora presenti, in modo più ridotto, certo, grazie al processo di emancipazione femminile, ma incombono ancora, eterna spada di Damocle, sulla testa delle donne poco consapevoli.
Così Cortellesi:” Spero, care ragazze, che non assecondiate l’idea che gli altri hanno di voi. Sono modelli che delimitano la vostra personalità e limitano le vostre prospettive. Spero, cari ragazzi, che siate parte attiva di questa lotta, praticando il rispetto, ammonendo chi non lo fa. Non siate indifferenti, l’indifferenza è una scelta, ed è quella sbagliata. Siate straordinari, concedetevi il dubbio, perché è la vostra libertà”. Cortellesi, quindi, si rivolge a ragazze e ragazzi, e li esorta a una forte presa di coscienza e a una alleanza che garantisca pregevoli qualità relazionali ed escluda qualsiasi forma di conflittualità tra i generi. Le sue argomentazioni riecheggiano i contenuti del libro della pedagogista Elena Gianini Belotti, “Dalla parte delle bambine” – testo cult, tradotto in quindici lingue – in cui l’autrice analizza l’influenza dei condizionamenti socialidi cui le bambine diventano oggetto fin dalla più tenera età – anche tramite le fiabe – nella costruzione dei ruoli che la società impone loro in quanto donne. Il libro sottolinea come numerosissimi atteggiamenti delle bambine non siano naturali, ma siano il frutto di un condizionamento più o meno consapevole che li indirizza alla sottomissione e alla passività. “La cultura alla quale apparteniamo, ….si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere. L’obiettivo dell’identificazione di un bambino col sesso cui è stato assegnato si raggiunge molto presto, e non ci sono elementi per dedurre che questo complesso fenomeno abbia radici biologiche…. La tradizionale differenza di carattere tra maschio e femmina non è dovuta a fattori ‘innati’, bensì ai ‘condizionamenti culturali’ che l’individuo subisce nel corso del suo sviluppo.” (op. cit.). Eppure, ancor oggi le distinzioni “biologiche” si mantengono: la bambina esuberante (a esempio), non rientra nello stereotipo della brava bambina, è “un maschiaccio”. Per non parlare del lavoro di cura e di quanto a esso correlato : “Cenerentola è il prototipo delle virtù domestiche, dell’umiltà, della pazienza…..L’ordine familiare e sociale esige che le donne siano consenzienti a sobbarcarsi il compito di addette ai servizi domestici, poiché il loro rifiuto metterebbe in crisi contemporaneamente la casta maschile, condizionata a essere servita, e l’intera struttura sociale, che si rifiuta di sopportare i costi del lavoro domestico femminili e quelli necessari all’impianto di una organizzazione che lo sostituisca” (Gianini Belotti, op. cit.). E infatti, Cenerentola, bravissima nelle faccende domestiche, e creatura docile, le svolge cantando…., ironizza Cortellesi…. E che dire di Biancaneve? L’attrice (tra il serio e il faceto) osserva che il cacciatore l’ha salvato perché non era “una cozza”, era bella: si riferisce al fatto che, secondo il mainstream, per una donna la “salvezza” può derivare (o no) dal suo aspetto fisico, e dal matrimonio che ne consegue (o no): Biancaneve torna in vita grazie al bacio del principe, che rimane folgorato dalla sua bellezza (nonostante non si trovi sulla via di Damasco); e Cenerentola nobilita la sua vita sposandosi col principe, il quale, per trovarla, ha bisogno di indagare i vari piedi delle convenute aspiranti, per controllare se la scarpetta corrisponde al piede agognato, e dunque, tramite il piede, risalire all’identità della donna desiderata. Possiamo ricordare che il mondo delle fiabe è denso di simboli e di metafore? Direi di sì. E mi fermo qui.
Con le sue parole, Cortellesi indirizza i giovani a vivere al di là degli stereotipi imposti da una tradizione di cui, per dirla con Mahler, si dovrebbe conservare il fuoco, ma non adorare le ceneri. L’intervento dell’attrice spinge i ragazzi – maschi e femmine – a considerare l’amore come scoperta e arricchimento interiore, alla maniera, insomma, della Lucinde di Schlegel, e cioè come tramite per “rivelar… i misteri onde siam permeati ….”. Nulla da spartire, insomma, con scarpette, destrieri bardati e risvegli da stati catatonici. Le vecchie fiabe possono essere lette, certamente, ma vanno decodificate rispetto ai messaggi subliminali che contengono.
Nell’intervento di Cortellesi si avverte la sollecitazione ad affermare identità femminili autonome, emancipate dai gioghi: foeminae novae, che, come la Diotima del Convito platonico, vivano e amino con la pienezza del proprio essere, senza altro limite che quello della loro fedeltà interiore. Nel rispetto delle reciproche individualità maschili e femminili, vissute al di fuori degli schemi e nella loro autenticità esistenziale.