Cosa non va nell’accordo interconfederale del 31 maggio 2013 sulla rappresentanza
Ciò vuol dire, che in mancanza di una legislazione sull’erga omnes in materia di contrattazione collettiva, in presenza di CCNL stipulato con i soli sindacati firmatari (aderenti a Cgil Cisl Uil), qualsiasi iscritto a sindacato non confederale o non iscritto ad alcun sindacato, conferendo delega ad altra organizzazione sindacale, potrà ricorrere al giudice per rivendicarne la non applicazione. Retour ligne automatique {{{Premessa}}}
{{ Statuto dei lavoratori (legge 300/70) }}
Art. 1 “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge. ”
{{Costituzione della Repubblica Italiana }}
– {{Art.39}} “L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È’ condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica…. ”
– {{Art.40}} “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano” .
{{{Commento }}}
{{La contrattazione}}
L’accordo in questione è stato acclamato da entrambe le parti stipulanti (Confindustria / CGIL-CISL-UIL) con toni enfatici (epocale, storico, di svolta) e trionfalistici ovvero come la condizione quadro che finalmente permetterà la ripresa unitaria della contrattazione nazionale, impedirà gli accordi separati, darà esigibilità, certezza e cogenza ai contratti nazionali; mentre i sindacati non confederali denunciano una grave abuso di potere da parte di CGIL CISL UIL, accusate di esproprio della materia contrattuale e dei diritti di rappresentanza.
Non ritengo che sia così essenzialmente per {{due ordini di valutazioni}}:
1. {{E’ un “accordo di parti”}} quindi non vincola nessun altro soggetto se non i sottoscrittori come è stato esplicitamente richiamato in premessa dell’accordo stesso.
Tale richiamo (non del tutto pleonastico e scontato), lasciando al di fuori dell’ambito di applicazione le imprese non aderenti a Confindustria (non solo FIAT, ma molte altre sono state nel corso degli ultimi due anni le imprese che sull’esempio di Marchionne, si sono “smarcate” dalla propria confederazione) non può in alcuna sua parte ritenersi applicabile all’intera platea dei sindacati autonomi e di base, che non aderiscono alle confederazioni firmatarie.
Ciò vuol dire, che in mancanza di una legislazione sull’erga omnes in materia di contrattazione collettiva, in presenza di CCNL stipulato con i soli sindacati firmatari (aderenti a cgil cisl uil), qualsiasi iscritto a sindacato non confederale o non iscritto ad alcun sindacato, conferendo delega ad altra organizzazione sindacale, potrà ricorrere al giudice per rivendicarne la non applicazione.
Altrettanto non sono applicabili alle organizzazioni non firmatarie le possibili clausole di sterilizzazione del conflitto, da tale accordo derivanti, né tantomeno possibili clausole di penalizzazione in caso di non rispetto dei contratti realizzati secondo le regole ivi stabilite.
Ciò avrebbe l’effetto paradossale (per i firmatari) di consentire alle organizzazioni non firmatarie maggiore libertà sindacale dei sindacati confederali, in quanto non tenute in alcun modo alla fedeltà agli accordi stessi.
Inoltre {{nessun vincolo è posto alle parti datoriali}} che, successivamente all’accordo decidessero di uscire dal sistema confindustriale e, sull’esempio di Fiat decidessero di dotarsi di un proprio contratto aziendale (sulla cui cogenza vigila intoccato e intoccabile il famigerato art. 8), tutt’affatto diverso e negoziato con modalità “altre” da quelle previste nell’accordo interconfederale
2. {{E’ un accordo che instaura nei rapporti infrasindacali una logica maggioritaria }} superando l’attuale vergognosa situazione di mancanza di regole minime, che nei fatti ha consentito nel recente passato la pura legittimazione da parte dei padroni dei soggetti abilitati a trattare.
Tuttavia{{ il dispositivo sottoscritto non impedisce di realizzare accordi separati }} (non rappresentativi di una o più OOSS), purché approvati dal 50% +1 dei lavoratori interessati.
L’eventualità è così poco peregrina che il secondo paragrafo del punto 2 dell’accordo, nella parte dedicata alla titolarità ed efficacia della contrattazione, ne disciplina le modalità specificando che “in assenza di piattaforma unitaria, la parte datoriale favorirà, in ogni categoria, che la negoziazione si avvii sulla base della piattaforma presentata da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel settore pari almeno al 50% +1. “
Poiché nella fase di definizione e presentazione delle piattaforme non viene richiesto l’obbligo della validazione maggioritaria da parte dei lavoratori, si potrà prevedere l’avvio e lo sviluppo di una negoziazione di CCNL su piattaforme proposte dalla maggioranza delle OO. SS. secondo il criterio di rappresentatività concordato, ma non maggioritarie tra i lavoratori (si sa infatti che la maggioranza dei lavoratori non è iscritto ad alcun sindacato e neanche ha modo di partecipare alle elezioni delle RSU in quanto dipendente da aziende che o non hanno la rappresentanza sindacale unitaria o non la possono avere) .
E’ vero che la definizione raggiunta con l’accordo del 31 maggio{{ per lo meno impedisce l’abuso di potere da parte di minoranze sindacali}}, che a questo punto non sono più legittimate ad arrogarsi il diritto di stipulare accordi in mancanza di qualsiasi criterio di rappresentatività democratica, e non mi sfugge che tale condizione rappresenta un positivo avanzamento verso una democrazia sindacale, obbligando le OO.SS. ad una consultazione vincolante e certificata dei lavoratori per lo meno sugli accordi, se non sulle piattaforme.
Tuttavia, {{che si sia voluto omettere il riferimento esplicito al referendum e quindi al voto segreto}} (l’unico realmente libero specie in regime di competizione sindacale), non è un semplice lapsus, ma una scelta politica, ovvero quella di lasciare agli accordi di categoria, volta per volta l’opportunità di scelta sulle modalità di consultazione e di certificazione del voto.
Sicuramente{{ l’attuale formulazione mette al riparo da aberrazioni quali il contratto separato nei metalmeccanici}}, in cui organizzazioni minoritarie hanno stipulato un accordo, che si vorrebbe chiamare CCNL senza uno straccio di consultazione vincolante tra i lavoratori.
Ma l’attuale formulazione{{ non avrebbe messo al riparo da una vicenda quale quella dell’accordo separato in Fiat}}, laddove le organizzazioni firmatarie rappresentavano la maggioranza delle Rsu, ed hanno comunque svolto referendum approvativi tra i lavoratori.
A suo tempo la Fiom dichiarò di non riconoscere legittimo quel referendum in quanto promosso sotto ricatto occupazionale e perché nel testo dell’intesa separata raggiunta prima a Pomigliano, poi a Mirafiori e successivamente estesa a tutto il gruppo Fiat sotto forma di contratto nazionale aziendale, venivano messe in votazione materie indisponibili quali diritti costituzionali (libertà di sciopero e associazione) e deroghe al CCNL e alle leggi italiane e comunitarie in particolare in materia di orari di lavoro.
Ovvero la Fiom rivendicò la propria non adesione ad un accordo per quanto “maggioritario ”in nome della illegittimità delle materie contenute nell’accordo stesso e del clima intimidatorio e illiberale in cui si svolgeva la consultazione dei lavoratori.
Mi chiedo cosa è contenuto nell’accordo del 31 maggio tra Confindustria e CGIL CISL E UIL, che mette al riparo da un’eventualità del genere? specialmente dopo il 14 settembre del 2011 in cui il famigerato art. 8 del dl.138/ 2011 è diventato legge, proprio per offrire una copertura “di diritto” alla vicenda Fiat, santificando la pratica degli accordi in deroga contro leggi e contratti ?
Niente.
Nell’accordo del 31 maggio non c’è neanche un accenno alla volontà di sanare quello che è il vero e più profondo affronto alla democrazia sindacale e ai diritti dei lavoratori ovvero, che, sebbene sotto validazione maggioritaria da parte dei lavoratori, sia possibile sempre e comunque realizzare accordi in deroga a leggi e contratti.
L’obiezione che non è un accordo tra le parti sindacali che può modificare una legge, nella sua ovvietà è un’argomentazione spuntata, in quanto sarebbe stato possibile nel testo vincolare le parti firmatarie a non ricorrere a quanto previsto all’art. 8, e al tempo stesso corredare l’intesa con una dichiarazione congiunta da indirizzare a governo e parlamento in cui le parti congiuntamente richiedevano l’abrogazione del famigerato meccanismo derogatorio con un immediato atto governativo (decreto legge) e una successiva ratifica parlamentare.
Ma questo non è stato fatto perché si è scelto di non modificare il quadro di assetto contrattuale illiberale che il sistema derogatorio prefigura.
Tant’è vero che l’accordo del 31 maggio 2013 nulla modifica rispetto a quello del 28 giugno 2011 per quanto attiene alla contrattazione aziendale e alle sue forme di validazione (rimane in vigore il principio della sola maggioranza delle RSU, mentre il referendum dei lavoratori è richiamato solo in presenza di accordi aziendali firmati dalle sole RSA) e al richiamo esplicito alla possibilità derogatoria contenuta nell’art. 8, che nel testo finale, non a caso richiama proprio l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011.
Chiedo dunque: è possibile in un sistema contrattuale intrinsecamente illiberale qual è quello definito dall’art. 8, pensare di sottoscrivere accordi che parlano di clausole sanzionatorie in caso di azioni in contrasto degli accordi realizzati, foss’anche approvati dalla maggioranza dei lavoratori ?
Se ci fosse domani un CCNL, approvato a maggioranza, che stabilisse l’obbligo per le donne a lavorare nei turni di notte anche durante il periodo di puerperio nel primo anno di vita del bambino (condizione attualmente vietata per legge, che però fu derogata nell’accordo nazionale di Alitalia) sarebbe giusto che chi vi si opponesse (singolarmente e /o collettivamente; rsu, lavoratrice/i, lavoratore/i,organizzazione sindacale) fosse soggetto a clausole restrittive e penalizzanti?
Ecco perché ritengo che quella clausola in un sistema contrattuale che attualmente non garantisce l’effettività dei diritti di legge e contratti, non solo sia illibertaria ma addirittura prefiguri profili di anticostituzionalità, perché inibisce la libertà di difendere i propri diritti.
Ma c’è un altro tema che vorrei sollevare in relazione al sistema prefigurato dall’accordo in questione: ovvero quella che si potrebbe chiamare{{ la “dittatura della maggioranza“}}.
Ogni sistema democratico vive del confronto continuo tra maggioranze e minoranze: alle maggioranze l’onere del governo alle minoranze quello dell’opposizione.
{{Qual è il sistema democratico, dove una volta affermatasi una maggioranza, si stabilisce per la minoranza il divieto a fare opposizione ?
}}
Si può pensare che una tale regola non sia valida per la negoziazione contrattuale e che un sistema sindacale che inibisca la possibilità di continuare a esprimere la propria opinione contraria ad un accordo, e di organizzare fattivamente il dissenso in tutte le forme consentite dalle leggi sia compatibile con i nostri principi costituzionali?
La logica secondo cui le minoranze sono condannate a tacere e a non agire la propria opposizione non incrina, poi, il principio stesso di democraticità delle organizzazioni sindacali che ispira l’art.39 della Costituzione?
Il brutto episodio di Cremaschi allontanato dal palco del “parlamentino“ di CGIL, CISL UIL, quando si discuteva dell’accordo, è stato un segnale inquietante in tal senso.
{{{Le rappresentanze sindacali}}}
Per evitare polemiche eccessive, che già si sono accese, credo sarebbe utile che Cgil Cisl e Uil esplicitassero che l’ accordo non può in alcun modo applicarsi a sindacati non firmatari e, di conseguenza non ha facoltà di alienare il diritto a concorrere alla elezione delle RSU per quelle OO.SS. non firmatarie, che raccogliessero almeno il 5% delle firme degli aventi diritto, così come non comporta per queste ultime l’opzione a rinunciare alle RSA in favore delle RSU.
Se così non fosse ci troveremmo di fronte ad un ingiustificabile esproprio di libertà sindacale a lavoratori e sindacati, del tutto incompatibile con i dettami costituzionali.
Quindi l’accordo va letto per quello che è ovvero{{ come regolatore dei rapporti interni alle confederazioni maggiormente rappresentative}} (firmatari) e del conseguente riconoscimento dei diritti e dell’agibilità delle stesse in azienda, da parte della Confindustria nonché misurazione del principio di rappresentatività per accedere alla titolarità della contrattazione nazionale.
E’ sicuramente {{positivo il superamento del cosiddetto “un terzo garantito “}} e l’affermazione del criterio proporzionale puro, così come l’impegno a favorire la rielezione per tutte le RSU scadute.
Meno apprezzabile, dal mio punto di vista, la scelta di consegnare solo alla condivisione di tutte le federazioni di categoria, il passaggio dalle RSA a RSU, quindi indipendentemente che una O. S abbia o meno presenza sindacale o RSA nelle singole aziende interessate.
Ma il punto su cui volevo soffermarmi è un altro poco toccato dai numerosi interventi critici che ho letto in questi giorni (Alleva ne fa una sottolineatura con sagace ed amaro sarcasmo) .
Mi riferisco alla clausola che prevede che se un rappresentante RSU eletto nella lista del sindacato A nel corso dell’esercizio del sua incarico (tre anni) dovesse maturare l’opzione per il sindacato B, dovrebbe automaticamente decadere dal proprio incarico, lasciando il posto al primo dei non eletti del sindacato A.
Tale clausola mi sembra improponibile in quanto farebbe dei rappresentanti sindacali dei cittadini di serie b la cui{{ libertà sindacale}} è subordinata alla fedeltà alla propria organizzazione.
In un paese in cui il vincolo di mandato non esiste per i parlamentari, diventa grottesco pensare che esso sia imponibile ai rappresentanti sindacali, senza considerare l’effetto intimidatorio e deterrente che la minaccia di decadere dal proprio incarico avrebbe sulla libera scelta sindacale di ogni rappresentante aziendale.
Chiunque ha conoscenza delle vicende interne ai posti di lavoro, sa benissimo che nel corso di un triennio possono esserci n motivi per cui un sindacalista aziendale cambi associazione di appartenenza, non ultima la capacità delle singole organizzazioni territoriali di stabilire relazioni positive con i propri rappresentanti aziendali e di esercitare al meglio il ruolo contrattuale e di difesa dei diritti dei lavoratori.
Senza voler menzionare situazioni in cui comportamenti scorretti, vessatori e/o poco trasparenti di sindacalisti esterni, sono all’origine dell’abbandono da parte dei lavoratori dell’adesione sindacale, portando anche i delegati ad abbandonare l’organizzazione di provenienza e sceglierne un’altra.
Ma {{con questa clausola si afferma un’altra espropriazione grave}} ovvero quella del controllo dei lavoratori sull’operato dei propri delegati, infatti non è il cattivo o insufficiente svolgimento del ruolo di delegato a farne decadere la funzione, bensì l’aver o meno conservato la stessa tessera che aveva al momento dell’elezione.
Tale {{clausola che ha il solo scopo di congelare al momento dell’elezione della RSU, i rapporti di forza e gli equilibri numeric}}i tra le organizzazioni, configurandosi come una vera e propria “rendita di posizione “, è profondamente illiberale e lesiva del diritto individuale e della dignità del singolo delegato e dell’insieme dei lavoratori che lo hanno eletto.
Per questo va cancellata.
{{{ Infine una domanda sulla rappresentatività e titolarità contrattuale. }}}
Laddove si manifestasse che in una categoria un’organizzazione sindacale non firmataria, raccogliesse almeno il 5% dei voti nelle elezioni delle RSU, ma la sua consistenza di iscritti non fosse misurabile attraverso le deleghe sindacali per il semplice fatto che non gode di un accordo con le parti datoriali che garantisca la raccolta delle stesse, come si risolverebbe la questione della legittimazione o meno alla negoziazione collettiva ?
Sicuramente al di fuori di questo accordo ecco un’altra ragione per cui una legge è necessaria.
Una buona legge: inclusiva, garantista ed estensiva della platea dei lavoratori interessati, che guardi alle aziende sotto i 15 e alle forme di lavoro precario e autonomo che ancora sono senza rappresentanza e senza diritti
La Fiom nel 2010 ne presentò una di iniziativa popolare su cui furono raccolte centinaia di migliaia di firme dentro e fuori i posti di lavoro.
Perché non ripartire da quel testo per superare in avanti le secche in cui rimane incagliato l’accordo del 31 maggio, che come l’asino di Buridano, per non saper scegliere, finisce per morire di stenti!
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