Cosa si cela dietro il relativismo che riguarda gli obblighi per le donne in fatto di abbigliamento?
Nel numero di Micromega in edicola (5/2008), Cinzia Sciuto si esprime in modo molto critico nei riguardi della Sinistra, a proposito del political correcntess che verrebbe applicato soprattutto quando riguarda le donne.{Il titolo: Il velo islamico ed i valori della Sinistra}. E a distanza di qualche mese ritorna sull’episodio che ha visto come protagonisti, a Venezia durante l’estate, una donna con il nikab (copertura che lascia scoperti soltanto gli occhi) e un custode di Ca’ Rezzonico.
Il custode, applicando un regolamento dei Musei Civici che recita: ”Per il decoro delle sedi e il rispetto dei visitatori, non è consentito accedere ai musei in abbigliamento balneare o succinto: non è inoltre consentito l’accesso a viso coperto”, ha vietato l’ingresso alla signora straniera.
_ Apriti cielo! Il sindaco {{Massimo Cacciari}} ha rassicurato chi aveva paventato l’eventuale licenziamento del custode, che non si sarebbe proceduto in questa direzione dato che si poteva giudicarlo come il comportamento di uno “stupidino”; mentre il presidente dell’Apt {{Renato Morandina}} rassicurava la pubblica opinione che episodi del genere non sarebbero stati più permessi, in quanto ce ne andrebbe di mezzo l’immagine di Venezia presso i numerosi turisti stranieri.
Difficile immaginare che si sarebbe sollevato un grido d’allarme di tale portata, se il custode avesse invitato a desistere dalla visita al museo una ragazza con una mini da capogiro.
_ Ma in questo preciso episodio è stato anche invocato il buon senso, che avrebbe dovuto illuminare il custode a capire che si deve trattare il divieto del volto coperto di una donna islamica secondo il punto di vista multiculturale.
Che è l’argomento, in altri termini, del cosiddetto rispetto per tutte le culture. E cioè, scrive la Sciuto, come si comporterebbe il direttore del Museo – o Massimo Cacciari- nel caso di una signora africana appartenente a una di quelle culture dove l’abbigliamento femminile non prevede il reggiseno? Presumibilmente si appellerebbe di certo rigorosamente – e giustamente – al regolamento e taccerebbe quell’abbigliamento come ‘succinto’, nonostante nella cultura di quella donna il seno scoperto non abbia nulla di sconveniente o indecoroso.
Insomma, {{siamo di fronte a due pesi e due misure?}} Probabilmente sì.
Cominciamo con il dire che{{ la donna velata in vari modi in fondo, alla nostra cultura maschilista (di Sinistra), non fa problema}}. E quando lo fa – come {{nel caso della Lega Nord – è soltanto strumentale}}, cioè come richiamo alla difesa dell’identità italiana.
Il velo che copre il volto, ci ricorda l’articolista, è un chiaro segno di sottomissione: “A prescindere da qualunque giustificazione religiosa, storica, culturale. E a prescindere dall’eventuale{ libera} adesione della donna in questione, che non cambierebbe neanche di una virgola il significato simbolico associato al velo, e in generale a tutte le ferreee indicazioni sull’abbigliamento femminile presenti in molte tradizioni religiose, non solo quella islamica.”
_ Semplificando: “Mai che un precetto religioso imponga all’uomo di abbassare quello sguardo impertinente: sia la donna a coprirsi!”.
Il dotto islamico Sheikn Mohamammed al Habdan, con un editto religioso diffuso anche dal sito web della Tv Arabica, ha fatto presente che: ”una donna pia non esce di casa truccata anche se coperta con il nikab”. Quindi ha emesso una fatwa che si rivolge prima di tutto agli uomini affinché facciano indossare alle donne il nikab monoculare. Per vedere dove si mettono i piedi, in fondo è sufficiente avere a disposizione (scoperto) soltanto un occhio.
_ L’argomentazione usata? Naturalmente sempre quella sessuale. Meno si intravede del corpo femminile e meno si inducono in tentazione i maschi e, quindi, più al sicuro è l’onore degli uomini a cui le donne di famiglia, o del clan, appartengono.
Per ritornare a {{Cinzia Scuto su{ Micromega} }}: “…può il nostro paese accettare che quel poco di libertà individuale femminile faticosamente conquistato venga messo in discussione in nome di un fondamentalismo religioso denigratorio nei confronti della donna? Un fondamentalismo peraltro non troppo lontano da quello che combattiamo quotidianamente in casa nostra (e che sempre sul corpo delle donne si esercita volentieri)?”.
Cosa si cela – psicologicamente prima che politicamente- dietro il Political correct che riguarda gli obblighi per le donne in fatto di abbigliamento e altre norme restrittive?
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