Così noi dell’Udi iniziamo il 2018
UDI FERRARA Continuano i nostri incontri di lettura nella sede in via Terranuova 12/b. Questa volta abbiamo scelto come tema principale il libro di Serena Dandini “Grazie per quella volta”, confessioni di una donna difettosa, assieme leggeremo alcune pagine e le commenteremo, riflettendo su cosa s’intende per “donna difettosa” usando la stessa chiave ironica utilizzata dall’autrice.
UDI GARGANO Abbiamo selezionato 20 foto di donne, estrapolate dalla nostra ricerca sulla ” donna garganica”, ritraggono le donne in un periodo che va dagli anni ’50 agli anni ’70 circa. Veranno esposte in formato grande ed affiancate dalla presentazione di un libro scritto da Silvia Ortuso ( Ho mangiato pane verde ) che racconta la sua storia di bambina e adolescente con gravi problemini di maltrattamenti in famiglia dagli anni ’50 ai 70 circa. Parleremo inoltre della condizione delle straniere, da noi sono per la maggiore le badanti grazie all intervento di operatori che ci lavorano tutti i giorni. Grazie
UDI CATANZARO Comunicato stampa del 03-01-2018 in cui condanniamo le recenti modifiche al regolamento regionale che rischiano di mettere letteralmente sulla strada molt* minori figl* di vittime di violenza: La Regione compie un gravissimo gesto a proposito di contrasto alla violenza Apprendiamo con sgomento, da un articolo di giornale, che il 21 dicembre scorso la Giunta Regionale ha approvato le modifiche al regolamento del 16 dicembre 2017 in materia di procedure di autorizzazione, accreditamento, e vigilanza delle strutture residenziali e semi-residenziali, socio assistenziali, in cui al punto 3.6. 2, laddove si parla di capacità ricettiva delle “Case rifugio per Donne vittime di violenza o tratta con o senza minori”, si legge “Donne in numero massimo di 6. La capacità può essere aumentata massimo da 4 figli di età superiore ai 3 anni, per i quali non verrà corrisposta alcuna retta, mentre verrà corrisposta la retta per i figli di età inferiore ai 3 anni”. Nell’articolo ci si chiede chi si occuperà delle necessità dei bambini/e di età superiore ai tre anni, ospiti nelle case rifugio della regione ma anche quale donna accetterà di farsi aiutare da una casa rifugio sapendo che probabilmente dovrà separarsi da suo figlio. Conosciamo molto bene le dinamiche relative alla violenza e sappiamo che in moltissimi casi le donne si allontanano dalle situazioni di violenza per mettere al riparo i propri figli, prima ancora di pensare a se stesse. Queste, quindi, sono domande che facciamo nostre e a cui ne aggiungiamo altre. Perché, dopo una lunga propaganda per il contrasto alla violenza, l’amministrazione stessa non vuole contribuire al sostentamento di quei pochissimi bambini/e, ospiti nelle case rifugio? La Regione Calabria è perfettamente consapevole che le case rifugio ospitanti donne e bambini/e che si allontanano dalla violenza, nella regione Calabria, sono già pochissime (due) e quindi pochissimi sono i bambini ospitati. Viene spontaneo, dunque chiedersi: con questa decisione, l’amministrazione regionale chi pensa, veramente, di colpire e penalizzare? Chi, al contrario, pensa di favorire? Ci auguriamo che l’amministrazione regionale ripenserà questo vergognoso provvedimento che non rappresenta altro che un grave passo indietro e che dimostri di essere per davvero dalla parte di donne e bambini, non solamente a colpi di slogan. UDI Catanzaro
UDI DI CATANIA – continua il lavoro di MEDITERRANEA
Nei paesi della sponda sud del Mediterraneo in questo scorcio di fine anno molti si interrogano e fanno il bilancio sui mesi trascorsi in tema di diritti delle donne. Abbiamo deciso di chiudere la serie 2017 di MEDITERRANEA proponendo uno degli articoli che stanno suscitando grande discussione (in Marocco e Tunisia soprattutto) della giornalista Nadia Lamlili, da sempre impegnata sui temi dei diritti e delle lotte delle donne arabe, e dal titolo molto intrigante: “Allah è grande, anche la donna”. (Traduzione e sintesi Carla Pecis.) L’anno 2018 potrebbe annunciarsi positivo dopo le buone notizie che il 2017 ha portato nei paesi arabi in materia di diritti delle donne.
La Tunisia, in questo storicamente pioniera, è il paese che più si è distinto: ricordiamo la decisione annunciata dal Presidente Beji Caid Ebessi in agosto sulla riforma delle leggi mussulmane sull’eredità per permettere l’eguaglianza uomo/donna nella successione dei beni, e un mese dopo gli uffici della Presidenza hanno annunciato l’abrogazione di tutte le disposizioni che impedivano il matrimonio delle tunisine con un nonmussulmano. Ma la forza del vento del cambiamento ha soffiato anche sui paesi più retrivi del mondo in materia di diritti delle donne: il 26 settembre un editto reale ha autorizzato le donne saudite a guidare l’auto! Ne possiamo sorridere, ma è una rivoluzione in un regno in cui ogni donna vive ancora sotto la tutela di un uomo della famiglia.
La Giordania e il Libano hanno seguito le scelte già fatte dalla Tunisia, e hanno abolito la possibilità che lo stupratore possa evitare la pena del carcere sposando la sua vittima. Dunque parrebbe che nel mondo arabo le cose si possano muovere a favore delle donne. Ma solo nella produzione legislativa. Nel quotidiano delle donne infatti continua a prosperare un grande flagello, quello delle molestie e delle aggressioni sessuali. Le immagini delle aggressioni che ci sono venute dal Marocco (tra le quali quella di un tentativo di stupro collettivo di una ragazza su un bus), l’aggressione sessuale di ragazze da parte di forze di polizia tunisine (la foto in prima pagina riprende la manifestazione di protesta a Tunisi), le continue aggressioni contro donne e ragazze egiziane anche in pieno giorno: tutto questo ci riporta alla realtà della violenza maschile contro le donne anche nelle strade.
In Egitto, considerato uno dei paesi più pericolosi per le donne, un avvocato conservatore ospite di una trasmissione televisiva molto popolare è arrivato a dire che la ragazza che cammina per strada con un jeans strappato “merita di essere violentata” – “è un dovere nazionale molestarla e violentarla”. Gli altri invitati inorriditi, in seguito è stato condannato a tre mesi di carcere. Questa dichiarazioni violente, criminali ci ricordano che il corpo delle donne ancora non appartiene loro, malgrado le buone intenzioni dei politici. Nei paesi arabi la produzione di maschi alfa continua a pieno regime. Ogni giorno dai social, in rete piovono fiumi nauseabondi contro le donne e i loro corpi, le affermazioni e l’istigazione alla violenza dell’avvocato egiziano non sono isolate. Riflettiamo: le posizioni riformiste non possono affermarsi soltanto con le leggi e qualche lezione impartita da insegnanti spesso incompetenti. È tempo di utilizzare lo strumento che più largamente parla alla gente, alla strada: la religione. Per lunghi decenni le moschee hanno spesso reclutato jihadisti e spacciato discorsi oscurantisti alla gioventù araba. È tempo che si trasformino in porta-parola della nuova società che vogliamo costruire. Tutti i venerdì invece di diffondere visione manichee basate su ciò che è permesso e ciò che è vietato (“halal” e “haram”) gli imam devono re-insegnare alle persone le regole di base del vivere civile: è vietato molestare una donna per strada, le donne hanno diritto allo spazio pubblico come gli uomini, lo stupro è un crimine agli occhi di Allah.
Silenzio e vergogna (hchouma) Nelle settimane dell’affaire Weinstein sono poche le donne arabe che dichiarano gli atti di aggressione che hanno subito. Quelle che osano farlo e si sono unite al movimento ‘METOO’ appartengono alla classe media, sono istruite, da tempo impegnate nella lotta per la loro emancipazione. Ma la grande maggioranza, quelle che non parlano, quelle che non si fanno sentire nascondono le loro ferite nel limbo del silenzio e della vergogna. Quando vedranno che le parole di Allah cambiano nelle moschee e che gli uomini cominceranno a guardarle come altri essere umani e non come “aoura” (tentazione) allora potranno vivere senza vergognarsi della loro femminilità. È chiaro: nei paesi arabi non basta legiferare leggi per riconoscere diritti. È necessario educare il popolo.