Dal Decreto di sicurezza n. 93 alla Legge di conversione n. 1540 del 2013
Documento inviato alla Presidente della Camera, alla Vice-ministra alle Pari Opportunità, alla Ministra dell’integrazione, a tutti i gruppi parlamentari, alle e ai parlamentari con una sintesi dell’analisi critica e delle proposte di emendamento del decreto legge sulla sicurezza emerse in occasione dell’assemblea svolta il 18 settembre presso la Casa internazionale delle donne a Roma.La Convenzione NO MORE! Contro la violenza sulle donne – femminicidio, ha espresso valutazioni critiche sulle misure in materia di violenza di genere contenute nel d.l. 93/2013, critiche rappresentate in audizione nelle Commissioni Giustizia ed Affari Costituzionali della Camera dei Deputati; ha quindi indetto in data 18 settembre un’Assemblea alla Casa Internazionale delle Donne di Roma a cui hanno partecipato associazioni nazionali e locali, magistrati/e, avvocate e parlamentari di diverse forze politiche per un confronto di merito tra realtà diverse sul testo legislativo in discussione alla camera, un approfondimento reso quasi impossibile dai tempi ristretti posti dal decreto legge.
Dal confronto tra le diverse competenze e posizioni è scaturito da parte di tutte le persone presenti {{un giudizio critico}} sui tempi e sui modi con cui il governo ha licenziato il decreto legge sulla sicurezza: in particolare tutte/i hanno convenuto che è {{un errore politico e culturale}} considerare la violenza contro le donne alla stregua di un reato qualunque e affrontarlo, come altre volte è avvenuto, all’interno della logica emergenziale e securitaria, sbagliata e inadeguata ad affrontare il fenomeno che ha ragioni e caratteristiche particolari, da non sottovalutare o trascurare,
Nell’assemblea si è inoltre convenuto che, soprattutto dopo l’approvazione unanime da parte del Parlamento italiano della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica, adottata il 7 aprile 2011 (c.d. Convenzione di Istanbul), altri avrebbero dovuto essere gli atti e le definizioni da usare per affrontare il fenomeno della violenza maschile, e che {{la Convenzione stessa debba essere il riferimento essenziale}} per le definizioni delle forme di violenza in modo organico, senza restrizioni per costruire i passi successiva alla sua compiuta applicazione.
L’ Assemblea ricorda che la Convenzione di Istanbul attua una strategia di intervento che privilegia la prevenzione del fenomeno, e soprattutto la protezione delle vittime per contrastare la violenza contro le donne, lasciando alla repressione penale il ruolo sussidiario che le compete. Tale strategia si fonda sulla convinzione che un’efficace azione di protezione delle vittime, sia dalle iniziali manifestazioni criminose (stalking, maltrattamenti, lesioni personali,violenze sessuali) può inibire i successivi comportamenti di sopraffazione che caratterizzano le violenze contro le donne, comportamenti che spesso conducono al femminicidio.
L’Assemblea ritiene fondamentale che la conversione in legge che il Parlamento si appresta a votare debba essere {{conforme agli obblighi internazionali e comunitari }} assunti dallo Stato italiano in materia di violenza maschile sulle donne, al fine di ridurre l’impatto negativo nei confronti delle vittime di violenze, o la discriminazione tra vittime di maltrattamento e altre vittime di atti parimenti gravi .
Unanime è stata la valutazione che sia fondamentale per la legge di conversione {{riesaminare l’art.5}}, in cui il richiamo alla necessità di un Piano nazionale parta dalla raccolta dati in modo strutturato ed organico che agevoli tutte le misure politiche necessarie del Piano stesso che deve essere ordinario, funzionale e adeguatamente finanziato e risponda ai criteri riconosciuti come validi a livello degli organismi istituzionali; che la predisposizione del Piano sia valutata oltre che con le istituzioni coinvolte, con le realtà delle donne, degli operatori e degli enti locali; che il Piano sia adeguatamente finanziato in ogni azione di prevenzione, di formazione in ogni struttura dello Stato coinvolta e di sensibilizzazione e promozione di una cultura rispettosa della libertà femminile, oltre che repressiva delle azioni violente, in tutto il sistema statuale italiano.
E’ necessario {{implementare la Convenzione di Istanbul}} anche sotto il profilo delle azioni da essa contemplate sulla prevenzione attraverso i media: per il superamento degli stereotipi che alimentano la cultura della violenza contro le donne, è fondamentale che la comunicazione e l’informazione siano improntate a un linguaggio e a una rappresentazione del femminicidio, e più in generale delle donne, rispettoso, corretto, consapevole: obiettivo da perseguire con la formazione professionale.
Sulle norme penali si è convenuto che nel decreto legge sulla sicurezza pur in presenza di alcune norme positive, che vanno precisate e migliorate in ambito di discussione in commissione e in aula, il provvedimento rimane disorganico e lontano dalle reali esigenze delle donne che vogliono uscire da situazioni di violenza e degli operatori e operatrici che devono supportarle in questo percorso. Come dimostrano molti tragici episodi, {{alle donne non è mancata la coscienza del pericolo}}, ma esse non sono state sostenute né protette dalle istituzioni alle quali pure si erano rivolte e che avevano il dovere di agire e non lo hanno fatto.
Infatti, pur in presenza di valutazioni diverse sullo strumento della querela irrevocabile, che per alcune realtà potrebbe essere utile per ovviare alle condizioni di ulteriore violenza e ricatto sulle donne da parte di uomini violenti, tutti/e hanno sottolineato le condizioni inadeguate in cui versano le forze dell’ordine per dare risposte celeri ed adeguate alla donne, i tempi troppo lunghi della magistratura e l’assoluta carenza di servizi specializzati in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Questi dati reali, al di là delle diverse valutazioni sul diritto all’autodeterminazione delle donne o sulla necessità di tutela di cui lo Stato sembra farsi carico, rischiano di spingere le donne {{in una logica di vittimizzazione secondaria}} che le porterebbe a sottarsi alla querela stessa, rendendo il fenomeno ancora più clandestino.
Le associazioni e gli operatori e operatrici presenti alla Casa Internazionale chiedono a tutti e a tutte le parlamentari che sia fatto ogni sforzo, in base alla particolare natura di questo fenomeno, di emendare il decreto legge, attraverso la modifica nella legge di conversione dei singoli istituti previsti, per renderli compatibili con gli obblighi internazionali ed europei assunti dalle Istituzioni e per renderli più efficaci / meno dannosi nell’impatto sulla vita reale delle donne e degli operatori tenendo conto di tutti i rilievi nati dalla attuale discussione.
In particolare chiediamo che le donne migranti, come prevede la Convenzione di Istanbul, siano trattate dallo Stato nello stesso modo delle donne italiane e comunitarie quando sono vittime di violenza domestica. La concessione di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie è una posizione condivisa a condizione che l’accesso a questa possibilità sia semplice e diretta da parte delle donne che si rivolgono alle forze dell’ordine o direttamente o tramite i centri antiviolenza o i servizi sociali esistenti. La proposizione nel decreto della stessa modalità usata per le persone trafficate appare non solo impropria ma incapace di raggiungere l’obiettivo dichiarato dal governo nel decreto.
{{Convenzione No More!}}
Roma 18 settembre 2013
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