Dalle discriminazione ai diritti
Il Dossier “Dalle discriminazione ai diritti” curato dal Centro Studi e Ricerche Idos per l’Ufficio Nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, aggiorna i dati sulle migrazioni in atto che riguardano, nel mondo, 232 milioni di persone, che salgono a 1 un miliardo includendo i flussi interni ai Paesi che, tutti, sono contemporaneamente “aree di destinazione, origine e transito”.L’Europa accoglie il 31,3% della migrazione mondiale e ne origina un altro 25,3%; il fenomeno della “nuova emigrazione” di nostri connazionali, supera i 4,3 milioni; a differenza delle ondate emigratorie precedenti è costituita in maggioranza da giovani con alta scolarità e di media o alta estrazione sociale. Una “fuga di cervelli” in continuo aumento.
Su 500 milioni di residenti nella U. E., quasi 50 milioni sono nati all’estero e 34,4 milioni sono i cittadini e le cittadine stranieri/e (il 6,8% della popolazione totale).
Il flusso di persone in fuga, nel mondo (circa 23mila al giorno, nel 2012), cresce rapidamente, ed è praticamente raddoppiato nell’ultimo decennio. L’Unhcr stima in circa 1,3 milioni di persone coloro che si rifugiano o richiedono asilo nella U.E.; per Eurostat, dei 335.385 richiedenti protezione internazionale, 17.350 sono in Italia che si conferma un’area rilevante di sbocco per i flussi migratori internazionali anche in un periodo di crisi come l’attuale.
Le motivazioni non sono solo lavorative ma derivano spesso da guerre, carestie, persecuzioni politiche. Nel 2007, i residenti straniere erano poco più di 3 milioni, oggi superano i 4.387.721 (dati del 2012), pari al 7,4% della popolazione complessiva.
{{Cécile Kashetu Kyenge}} (Ministra dell’integrazione), nella Prefazione del Dossier, sottolinea che, in Italia, “la carenza di una ‘governance’ del fenomeno migratorio ha prodotto, da una parte, marginalità e sofferenza di una larga parte della popolazione di origine straniera, dall’altra, lo spaesamento degli autoctoni davanti alle sempre più evidenti trasformazioni demografiche; spaesamento che si è tradotto talvolta in ostilità, anche a causa di messaggi poco accorti diffusi da alcuni media, politici e uomini delle istituzioni. (…) Le principali norme che attualmente regolano immigrazione e cittadinanza hanno oltre vent’anni, un lasso di tempo troppo lungo per una realtà che ha subito profondi mutamenti. Il confronto dei rilievi statistici di soli pochi anni fa con quelli più recenti ci mostra un Paese e un modello migratorio che ha subito una significativa metamorfosi. Es. in continuo aumento la quota dei titolari di permesso CE per soggiornati di lungo periodo che già costituiscono la maggioranza dei cittadini non comunitari. (…) La legge comunitaria n. 97/2013 ha disposto che non devono sussistere ostacoli per quanto riguarda la loro partecipazione a bandi per il pubblico impiego (per posizioni che non comportino l’esercizio dei pubblici poteri) e che nei loro confronti non possano essere applicate restrizioni, più o meno indirette, per l’accesso alle prestazioni assistenziali.”
La Ministra ricorda l’urgenza di riformare la posizione di chi nasce in Italia (costituenti la maggioranza dei minori “stranieri”) e che se non vive in contesti “inquinati dal virus del razzismo e della xenofobia che anche il semplice colore della pelle può scatenare”, condivide esperienze, stili di vita e conoscenze con i/le coetanei di nazionalità italiana.
Al numero di costoro, vanno aggiunti i/le 385.000 stranieri/e che hanno acquisito la cittadinanza italiana nel decennio 2001-2011 senza che questo abbia comportato “l’invasione paventata da alcuni”. Cécile Kyenge sottolinea come a una minore marginalità corrisponda una maggiore istruzione, competenza professionale e imprenditoriale, partecipazione alla vita pubblica, abbassamento delle percentuali della devianza e della spesa sociale. “È arrivato il momento di formulare un discorso nuovo sull’immigrazione, fondato su strategie inclusive e di coesione sociale”, afferma la Ministra che indica nel Dossier uno strumento utile alla sensibilizzazione e alla divulgazione “per la puntualità metodologica, la chiarezza espositiva, l’ampiezza degli argomenti.”
Nel suo intervento, {{Maria Cecilia Guerra}} (Vice Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega alle P. O.), affronta il tema del nostro futuro alla luce del Terzo Rapporto del suo Ministero sugli Immigrati nel mercato del lavoro in Italia che evidenzia una domanda di lavoro che supera di oltre 2 milioni di unità quella dell’offerta; un dato “in decrescita fino al 2020 senza però tradursi se non marginalmente in scarsità di manodopera.” Previsioni, non ottimistiche, che “aiutano a comprendere la prudenza intervenuta nella programmazione dei nuovi flussi e spingono ad occuparsi, con maggiore impegno, di chi è già in Italia e degli aspetti deficitari che si riscontrano nel Paese”, quali l’aumento del lavoro nero, di quello sfruttato e paraschiavistico, la flessione della sindacalizzazione (nel 2012/13), ecc.
Al crescendo, acuito dalla crisi, dei drammi individuali e collettivi in atto, corrisponde infatti un aumento delle discriminazioni, l’abbassarsi di una già scarsa cultura di prevenzione, il moltiplicarsi degli “infortuni invisibili perché non denunciati”, le morti sul lavoro.
Terzo intervento della Prefazione è quello di {{Marco De Giorgi}}, Direttore Generale Unar, l’ente che ha promosso e finanziato il Dossier “inquadrandone l’analisi nell’ottica del superamento delle discriminazioni e della piena affermazione dei diritti e delle P. O.”. Egli sottolinea come all’utilità dell’accertamento statistico corrisponda la tutela dei diritti e delle pari opportunità, poiché il Dossier “istituisce un collegamento organico tra questi due elementi e valorizza al massimo le statistiche nella loro funzione di ‘indicatore’ del trattamento riservato agli/alle immigrati/e. In Italia, asserisce, “sono ancora molto forti le chiusure verso immigrati e persone di origine straniera, nonostante essi siano ormai parte integrante di moglie famiglie italiane e contribuiscano fino a essere quasi indispensabili a sviluppo economico e demografico”. In questo periodo di crisi, “l’attuale maggior impegno istituzionale nel favorire il confronto con la diversità nazionale, linguistica, culturale e religiosa” si confronta ed è penalizzata dalla “estrema riduzione degli investimenti sull’integrazione, in Italia, in Europa e nel mondo, come evidenzia l’Osservatorio internazionale sulle politiche di integrazione (Mipex) finanziato dalla Commissione Europea.”
I dati Istat parlano del 72% di Italiani/e che, nel 2012, “sarebbero favorevoli ad agevolare la concessione della cittadinanza, oggi sottoposta non solo al requisito della residenza continuata di 10 anni ma anche a una lunga procedura di almeno 2 anni contro i 2 mesi sufficienti in Slovenia”.
Per superare “il clima ostile, degradante, umiliante, offensivo denunciato da tanti/e persone immigrati/e e in transito”, afferma De Giorgi, “una nuova normativa non basta, occorre il supporto nel dibattito politico, nell’operato degli amministratori, nell’impegno della scuola e dell’associazionismo, nella corretta informazione da parte dei media e, in ultima istanza, nell’atteggiamento individuale di ciascun cittadino.”
Merito del Dossier è quello di pubblicare dati tratti anche da altri Rapporti annuali: Osservatorio Romano sulle Migrazioni (Caritas di Roma, CCIAA e Provincia di Roma), Il Lazio nel Mondo. Immigrazione ed emigrazione (Regione Lazio); i dossier dell’European Migration Network.
Il Rapporto mondiale sulle migrazioni 2013 promosso dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (Oim), e basato su un sondaggio mondiale condotto da Gallup su 25mila migranti e oltre 440mila persone con un passato o un retaggio migratorio, originarie di oltre 150 Paesi, evidenzia come “la migrazione migliori lo sviluppo umano, in particolare se ci si sposta verso i paesi del Nord del mondo dove si concentrano oltre la metà della ricchezza e appena un sesto della popolazione mondiale.”
Un Nord in cui il razzismo è spesso “utilitarista”, cioè disposto ad accettare il cittadino o la cittadina straniero/a “solo nella misura in cui ‘serve’ e non avanza ulteriori esigenze”. Esso attraversa tutti gli ambiti sociali, compreso quello sportivo che, in Italia, ha contato 699 episodi di razzismo nelle tifoserie di tutte le Serie e le Coppe.
Le Prospettive operative del Dossier indicano tre ambiti principali di intervento atti a creare una nuova cultura, non discriminante, di diritti e pari opportunità: il linguaggio, la questione della cittadinanza e le risorse per sostenere l’integrazione.
Rispetto al primo, si ricorda che la Commissione europea, con la Carta di Roma (codice deontologico su migranti e richiedenti asilo, 2008), ha stigmatizzato il linguaggio razzista e sessista di gran parte del mondo politico e dei mass media, particolarmente greve in Italia. Rispetto al secondo, si ricordano i 14 progetti di legge, riformisti in senso positivo, giacenti in Parlamento. Rispetto al terzo, si conferma il dato che “la povertà colpisce una famiglia con componenti stranieri più del doppio rispetto a una famiglia di cittadini italiani” cosa non superabile senza un rinnovamento generale di mentalità e d’impegno collettivo a partire dalle famiglie, dalla scuola, dalle istituzioni.
Il Dossier riserva un capitolo, firmato da {{Maria Immacolata Macioti}}, dell’Università della Sapienza di Roma, alla tematica delle donne migranti. Esso chiama in causa “i Paesi di partenza e d’arrivo” e “i fattori che determinano la migrazione, dovuti a spinta o attrazione, a strategie familiari, a complessi insiemi di ragioni e cause”. Pagine ricche di riferimenti, con ampie citazioni.
L’assunto è che i rapporti di genere, con le migrazioni delle donne, “non possono che essere diversificati, che mutare”. Ovunque, le migranti dimostrano la capacità, nelle condizioni più disparate e disperate, di costruire reti e associazioni “che hanno svolto e svolgono un ruolo di supplenza notevole date le carenze istituzionali dell’assistenza e dei servizi.”
Benché, ovunque, siano maggiormente sfruttate e a parità di lavoro guadagnino meno dei loro connazionali, le migranti inviano più denaro degli uomini alle famiglie d’origine dove spesso ci sono figli/e piccoli che crescono lontano dalle loro madri; in generale, le migranti hanno anche maggiori attese di ritorno e di ricongiungimento familiare.
I dati Istat delle migrazioni femminili, esaminati a medio e lungo periodo, dimostrano che la componente femminile costituisce la maggioranza della migrazione mondiale, con percentuali di provenienza variabili, nel tempo, dovute ai fattori socio-politici o a eventi naturali catastrofici.
In Italia, le migranti sono il 49,3% dei soggiornati non comunitari; costituiscono, ad esempio, il 79,8% della migrazione dall’Ucraina, il 66,9% dalla Moldavia, il 36,2% dalla Tunisia, il 37,6% dall’India, dal Bangladesh (29,6) e il 29,1% dall’Egitto.
Esistono in Italia donne richiedenti asilo e rifugiate, ma se ne tratta poco fuori dalle associazioni specialistiche (Unhcr, Cir, e altre).
Come sottolinea Macioti, sono “pochi gli studi intesi ad approfondire la condizione delle donne: le difficoltà in merito a ricerche del genere sono evidenti, poiché proprio la ragione della partenza, non scelta ma forzata, dai propri paesi, fa sì che sia opportuno e necessario difenderne la situazione di inserimento in Italia, escludere che se ne possano seguire le tracce. Le donne di cui si è avuta contezza sono di regola più in difficoltà degli uomini, hanno paura per i propri cari, oltre che per se stesse. Non di rado hanno subito particolari violenze. Né hanno la forza di parlarne, di farsi aiutare a uscire da questo baratro. Se poi sono state costrette alla fuga in quanto mogli di uomini ritenuti pericolosi da qualche regime autoritario, in Italia saranno particolarmente isolate, non potranno contare su un’ampia rete di connazionali. Dovranno anzi fare un’estrema attenzione alle proprie frequentazioni, rifuggire da Ambasciate e Consolati. Di loro non sappiamo ancora abbastanza e potrebbe essere un vantaggio: meno donne perseguitate, meno donne costrette a fuggire per ragioni politiche o religiose, di genere o di etnia; meno donne a rischio della vita”.
Nell’impossibilità di riassuntare la ricchezza del Dossier, segnaliamo l’intervento di {{Viviana Valastro}}, Responsabile protezione minori migranti per Save the Children, che fornisce dati inquietanti; dei 21.241 migranti giunti via mare sulle coste italiane, 2596 erano donne adulte e 3.855 minori, per la maggior parte non accompagnati. Il loro numero continua a crescere in modo esponenziale.
Ricorda, Viviana Valastro, che “i dati generali relativi alle presenze, peraltro, non comprendono, oltre ai minori non accompagnati comunitari, i minori non accompagnati che hanno chiesto protezione internazionale e quelli che restano invisibili alle istituzioni perché non accedono al sistema di protezione. Si tratta in questo caso dei cosiddetti ‘minori in transito’, ragazzi, soprattutto afgani, che raggiungono le coste adriatiche principalmente nascosti a bordo di auto e di Tir su traghetti provenienti dalla Grecia.”
La denuncia pressante è la mancanza, in Italia, di un sistema nazionale organico di protezione e tutela dei minori stranieri non accompagnati. “La gestione del loro arrivo e la loro presenza sul territorio si compie in modo disorganizzato, con un continuo rimpallo di competenze e responsabilità tra istituzioni locali e nazionali e tra gli stessi Ministeri, con l’effetto immediato e continuato di esporre proprio chi è più vulnerabile a rischi anche gravissimi, nonché di disperdere risorse pubbliche, dato che nella gestione dell’emergenza i costi sono maggiori ed è più difficile garantire efficienza e trasparenza.”
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