Dall’incontro nazionale del 20 novembre alla Casa della letteratura: la guerra alle donne è un lavoro incessante, dietro le quinte e ben orchestrato, in continua e mirata progettazione.
Da progetti di leggi ( tra tutte quelle dei primi firmatari Sen. Pillon -ddl 735- e De Poli -ddl 45-), da comunicazioni di ministri e membri parlamentari della maggioranza, da elaborazione di teorie negazioniste del femminicidio viene alla luce qualcosa che nasce dal maschile: una creatura politica designata ad elaborare il lutto per la perdita del controllo sulle donne e quindi sul mondo.
La creatura è malata di complottismo: è un guerriero che combatte le trame globali ordite dalle donne contro gli uomini.
Tra le donne, forse grazie all’emersione di questo delirio persecutorio maschile, si è parlato molto si quella che viene a ragione individuata come manovra per tornare indietro. Ma c’è di più perché non sempre si tratta di un delirio, ma del bisogno di controllare sempre di più e meglio lo sfruttamento della prostituzione: si tratta delle tasse non incassate e dei proventi del mercato del sesso che sarebbero provvidenziali nella crisi dell’economia legale. Un contesto nel quale il fine primario di opprimere le donne si concilia con robusti proventi.
Tra alcune femministe, da tempo si discute anche di prostituzione e delle proposte per combattere i privilegi che determinano il mercato delle prestazioni sessuali a pagamento. È il movimento abolizionista che sostiene in Italia, insieme a moltissime donne nel mondo e in Europa, l’applicazione della Convenzione di Istanbul alle vittime della prostituzione e della tratta sessuale e l’adozione del modello nordico e francese, introducendo la sanzione ai clienti delle donne e delle persone, prostituite.
Non a caso queste femministe avvertono in modo prioritario la prostituzione e la GPA: finché gli uomini controlleranno le donne attraverso il mercato della schiavitù sessuale e riproduttiva, essendone prima di tutto committenti, la vita delle donne può essere piegata ai bisogni patriarcali.
Le donne che hanno assunto il principio abolizionista si oppongono e propongono. La prostituzione è strutturalizzata, nel sistema politico e culturale fa parte dei privilegi distribuiti al genere maschile, la politica se ne è sempre occupata, in democrazia, punendo le donne e limitando la loro libertà, pur considerando che le prestazioni sessuali a pagamento rappresentano una forma di servizio sociale: è convenuto tacitamente che un numero percentuale di donne siano destinate al mercato della prostituzione. In questa logica palesemente schiavistica, la legge Merlin, in Italia ha, portato una novità significativa: le prostitute non sono punibili, mentre lo sfruttamento è criminalizzato. Un vero ribaltamento di prospettiva, una rottura della regolamentazione che vedeva lo Stato che incassava le tasse dei bordelli, mentre le donne erano schedate e ristrette nella libertà e sottoposte a terapie obbligatorie. Una rivoluzione alla quale da subito si è opposta la volontà trasversale, da destra a sinistra, di restaurare il sistema del controllo statale sulla prostituzione e sul comportamento pubblico delle donne. Una sfida pressante, che ha lo scopo di impedire i passi successivi e l’abolizione della schiavitù sessuale. A questa sfida non si può che rispondere opponendosi alla riapertura dei bordelli in qualsiasi forma e spingendo l’adozione di nuove regole, colpendo la domanda
È la scelta di una modalità politica: opporsi alle controriforme formulando proposte.
Gli incontri nazionali della rete abolizionista (Resistenza Femminista, Iroko, Salute Donna, UDI di Napoli, Differenza Donna), con il contributo centrale e determinante delle testimonianze delle sopravvissute alla prostituzione legale, all’incontro del 20 novembre c’erano Rachel Moran e Fiona Broadfoot (Space International), e di donne dalle professioni come l’avvocata scrittrice Julie Bindel, nello stesso incontro, sono l’espressione di un soggetto politico sempre più interessante per le donne che fanno politica. Bisogna dirlo, tutto questo avviene in momento nel quale l’argomento viene dichiarato “divisivo” nel movimento delle donne, per le posizioni di NUDM e delle donne afferenti alla CGIL, e nella sinistra italiana, referente delle istanze femminili per elezione (?) (in Spagna la sinistra è ufficialmente di altro avviso), larga risonanza viene data “ai nuovi diritti” (diritto alla paternità e alle prestazioni sessuali) proclamati anche in nome della libertà femminile, forse non a caso approfittando del respiro liberatorio donato dal femminismo a tutta la politica progressista. Può essere usato il femminismo per il riposizionamento patriarcale? Forse manipolando appropriandosi di parole derivanti dal pensiero alto femminile, propagandando la rottamazione del “vecchio femminismo” con la momentanea messa a margine delle madri in senso fisico e filosofico, si è davvero vivacizzato un dibattito “sulle donne”, ma il sapore è quello stantio dei reiterati tentativi, di cui è ricca la storia anche dell’ultimo novecento, di conformare la disobbedienza femminile a uno standard tollerabile.
L’abolizionismo non è un’utopia, ma il ragionevole progetto di integrare nella lotta al femminicidio il contrasto alla prostituzione, criminosa e criminogena perché spesso ingaggia donne per reclutare nuova merce, donne da consumare ad un ritmo impressionante.
Tra prostituzione e autodeterminazione non può esistere alcuna relazione, in quanto le stesse così dette volontarie (quelle senza protettori) che potrebbero rivelarsi attraverso la contestazione che puntualmente si profila ad ogni uscita pubblica delle abolizioniste sono per lo più assenti e pesantemente sostituite da rappresentati politici che ancora una volta brandiscono le loro immagini e qualche simulacro. Questo perché queste donne, una sparuta minoranza, si guardano bene dal mostrare un’appartenenza a una categoria nella quale non si riconoscono, sicure di “poter smettere quando vogliono”, fin quando non saranno i clienti a metterle puntualmente in pericolo (nel 2018 almeno due volontarie sono state uccise da clienti), in virtù della legge Merlin che ha finalmente bandito schedature ed obblighi sessuali.
All’evento del 20 Novembre Alessandra Bocchetti ha offerto la sua testimonianza a favore del movimento abolizionista. La libreria delle donne di Milano, da qualche tempo raccoglie riflessioni femministe su quelle che vengono definite dagli avversatori questioni divisive, appunto prostituzione e GPA, e l’ultimo numero della rivista “Sottosopra” (2018), che titola “un cambio di civiltà”, gli articoli di Lia Cigarini, Alessandra Bocchetti, Luisa Muraro è stata l’occasione di molti incontri nei quali si è discusso con donne che fino ad ora hanno vissuto con disagio e sofferenza l’incontro con temi che impongono una scelta. Non è solo una parte del femminismo a considerare l’oppressione sessuale la prima forma di schiavitù delle donne, tutto il femminismo si riconosce e si riconosce universale nell’esperienza comune del primo ostacolo alla pienezza dell’essere donna.
Come può essere avvenuto che un nuovo femminismo riconosca una forma di libertà nell’essere prostituite e nel vendere la propria fertilità?
La risposta è complicata, ma non urgente: non è la prima volta che le donne cercano una scorciatoia per un riconoscimento nel movimento neutro. Non c’è per ora altra strada al di fuori del confronto diretto e franco. Se in nome della libertà ci sono donne che vogliono smentire le altre, sappiano che ci sono degli uomini dietro al conflitto, un conflitto che non osano affrontare a viso aperto.
Il progetto di legge Bini e il Modello Nordico- La legge Francese
L’abolizionismo può per ora contare solo sulla legge Merlin e sulla Convenzione di Istanbul: disapplicate e soprattutto non codificate nel diritto. La narrazione pubblica della prostituzione e della tratta, hanno portato all’attenzione, anche, del Parlamento Italiano la necessità di affrontare “la delicata questione”, con molte ambiguità e ipocrisie, soprattutto con la grave compromissione dovuta allo scambio di favori, attraverso le prostituite, tra uomini che gestiscono il potere politico.
Serve una legge per dare una svolta tangibile, per rendere visibile la condanna dello sfruttamento sessuale delle donne e dei bambini. Il cambiamento culturale di un paese non può che essere un percorso derivante da regole chiare. Queste regole chiare hanno incontrato la disponibilità di Caterina Bini e Francesca Puglisi (poi non rieletta) che già dalla scorsa legislatura avevano predisposto un testo. In questa legislatura sono certamente cambiate molte cose, a partire dal clima di cui si è detto, il testo viene mantenuto come base da sviluppare con la prospettiva di aggiunte ed integrazioni su cui si è impegnata Valeria Valente, anche nella raccolta del consenso di altri Parlamentari, intervenuta anche lei all’evento del 20.
Il Modello Nordico e la legge Francese sono riferimenti Europei, e sono il segno della volontà di moltissime donne in altri paesi, donne che come le Italiane hanno bisogno le une delle altre per lavorare a un progetto complicato, il conto che la storia ha presentato a tutte.
Che a nessuna di più venga proposto impunemente di lasciarsi stuprare a pagamento (dal libro di Rachel Moran)
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Rachel Moran qualche anno fa pubblicò sul suo blog The prostitution experience, la lettera di una donna che accusava le prostitute di aver scelto un’attività tutto sommato più comoda e redditizia rispetto a quelle che si spaccano la schiena nei fast food. Lei rispose così: «Da McDonald’s giri le polpette. Quando ti prostituisci sei tu la polpetta. Sicura che sia piacevole?». Moran sa di cosa parla: irlandese, figlia di genitori con problemi psichici, viene affidata a una casa-famiglia da cui fugge nel 1992, a 15 anni ancora da compiere. Vende il suo corpo a migliaia di uomini dai 18 agli 83 anni: «Ho sempre chiesto la loro età, sulla mia invece a un certo punto ho iniziato a mentire perché tutti preferiscono le minorenni» ricorda. Conosce il randagismo, la depressione, la cocaina, gli istinti suicidi. La sua seconda vita inizia nel 2000 grazie alla ripresa degli studi, alla tenacia, alla terapia. Da alcuni anni gira il mondo per raccontare la sua esperienza, scrive articoli e nel 2013 ha pubblicato un libro, Paid for, da poco arrivato in Italia con il titolo Stupro a pagamento. Un memoir che all’estero ha affascinato la critica nonostante – o forse per merito di – posizioni molto estreme sul tema. Moran, infatti, ha cofondato Space, associazione di sopravvissute alla tratta, che ha lanciato la campagna Turn off the red lights (letteralmente: spegnete le luci rosse) contro la legalizzazione.