“Dalser – Mussolini”, una vicenda “a lungo oscurata dalla Storia e dalla Politica”
La professoressa Fiorella Baldinotti ci ha inviato per la pubblicazione l’interessante intervento sulla vicenda Dalser – Mussolini tenuto lo scorso 21 giugno 2124 alla Biennial Conference della SIS, Society for Italian Studies che quest’anno si è tenuta presso la Royal Holloway University of London.
A questo link è possibile consultare il programma dell’evento di giugno della SIS.
Presentata nel “Panel Philosophical and Psychological Approaches to Literature”, la ricerca della professoressa Baldinotti è dedicata alla vicenda Dalser – Mussolini, “a lungo oscurata dalla Storia e dalla Politica”, dice l’autrice.
Fiorella Baldinotti è insegnante di lingua e letteratura italiana e latina; si occupa da anni anche di poesia e saggistica. Fa parte dell'American Association for Italian Studies, della Canadian Association for Italian Studies e della Society for Italian Studies.
“E tu padre non puoi essere felice…”.
Un resoconto dei giorni di prigionia di Ida Irene Dalser.
..Il mio corpo indebolito è stato parecchie volte coperto di dolorosissime ecchimosi, abbagliata, denti spezzati […]
Altri mi aspettavano al varco per scrutare la profondità del mio dolore. Mussolini non deve far altro che misurarlo con il dolore atroce della sua coscienza quando penserà al figlio lontano ed io chiusa in manicomio. La sua viltà a nostro riguardo è completa.
I LUOGHI
PERGINE
Negli anni Venti, la vigilanza degli Istituti Psichiatrici era affidata al Ministro degli Interni e ai suoi Prefetti, quindi al momento dell’internamento della Dalser, Mussolini aveva il controllo più o meno diretto anche sull’Istituto di Pergine. Il 17 gennaio 1926 la gestione fu assunta dal Prefetto Marcello Vaccari e le regole di contenzione si aggravarono ulteriormente: al momento del ricovero, i malati venivano subito privati dei loro effetti personali, sottoposti a pratiche durissime e isolati del tutto dal mondo esterno.[1]
Dopo l’accordo italo-tedesco del 23 giugno del 1939, molti malati di Pergine furono trasferiti in Germania, presso l’ospedale di Zwiefalten, per poi essere deportati al campo di sterminio di Grafeneck, e questo in base al Programma T4 che rispondeva ai principi della dottrina ariana.
SAN SERVOLO E SAN CLEMENTE
Risale al 1725 il primo caso di internamento per pazzia presso il manicomio di San Servolo. Il provvedimento viene emanato per ordine del Consiglio dei Dieci ed è relativo al signor Lorenzo Stefani, illustrissimo, ma non nobile. I pazzi accettati negli anni successivi saranno, invece, tutti di nobile estrazione sociale, almeno fino al 1797, quando, alla caduta della Repubblica di Venezia, la Municipalità Provvisoria decreta di accogliere a San Servolo anche i pazzi poveri. Con il Regno d’Italia gli internamenti vengono gestiti dalla Congregazione di Carità che si struttura come un organismo misto, dipendente dal Ministero dell’Interno, al quale partecipa anche il Patriarca.
Successivamente, la responsabilità amministrativa dei manicomi sarà affidata alle autorità decentrate. Nascono così i manicomi provinciali, tra i quali il Manicomio femminile dell’isola di San Clemente, diretto dal dottor Cesare Vigna, alienista e musicologo, già primario a San Servolo. Nei confronti dei malati di San Servolo e di San Clemente vengono utilizzati metodi di contenzione coercitivi durissimi, come testimoniano i resoconti dell’ispezione medico-amministrativa predisposta dalla Deputazione Provinciale di Venezia ed effettuata il 27 novembre 1901, su redazione del prof. Ernesto Belmondo, in base ai quali viene esonerato dal servizio padre Cesare Camillo Minoretti per i ” barbari mezzi di coercizione “[2] operati sui malati.
Tuttavia, le tecniche restano: organicismo, approccio farmacologico, pratiche coattive, misure di contenzione continuano ad essere largamente praticate anche durante tutta la gestione di Giovanni Fattovich, che, dopo aver diretto sia San Servolo che San Clemente, è messo a riposo solo nel 1969. Il trentennio della sua gestione viene gestito con precisione ossessiva, con controlli diretti quotidiani secondo una logica quasi militaresca. Nel periodo successivo la direzione di Edoardo Balduzzi favorisce un apprezzabile processo di cambiamento grazie all’applicazione dei principi di M.A. Woodbury, fondati sull’approccio gruppale e biopsicosociale. Inoltre, è determinante la svolta promossa dal nuovo direttore dei Servizi di Venezia, Giorgio Sacerdoti, che per la prima volta sottolinea la necessità di passare dal regime assistenziale a trattamenti terapeutici veri e propri per superare la segregazione razziale a cui i malati psichici erano sottoposti da secoli. L’ ospedale di San Servolo viene definitivamente chiuso nel 1978 a seguito della legge Basaglia. L’Ospedale di San Clemente resterà aperto fino al 1992.
IDA IRENE DALSER
Vivo nella più nera miseria, sono senza calze ma la dignità è al di sopra del fango che tentano di gettarmi in faccia.[3]
L’11 gennaio del 1916 Mussolini firma un atto notarile con cui riconosce la paternità del figlio Albino Benito e si impegna a provvedere al suo sostentamento, ma in cui nega recisamente qualsiasi legame attuale con la madre, Ida Dalser. Tale riconoscimento di paternità sarà usato dalla Dalser in un contenzioso aperto nel maggio successivo dall’avvocato Guido Gatti, grazie a cui il Tribunale di Milano in data 31 luglio 1916 riconosce l’obbligo del mantenimento del figlio per un mensile di 200 lire. In seguito, anche sulla base della documentazione relativa ad una promessa di matrimonio che in quanto tale costituiva un elemento vincolante,[4] l’avvocato della donna presentò un’istanza per via legale anche per la restituzione del capitale investito dalla donna nel giornale di Mussolini, Il Popolo d’Italia, ma la corte rifiutò l’istanza. Peraltro, la Dalser non era nuova a determinate rivendicazioni: in precedenza aveva citato in tribunale – ma inutilmente perché fu causa persa- Giuseppe Brambilla, noto funzionario della Carlo Erba con cui aveva avuto una relazione chiedendo un cospicuo risarcimento per essere stata sedotta e poi abbandonata [5].
Donna emancipata e di brillante intelligenza, Ida Irene Dalser era nata nel 1880 a Sopramonte, vicino Trento, quando ancora vigeva il regime austroungarico, aveva studiato ortopedia e fisioterapia a Parigi e, nel febbraio del 1913, era riuscita ad aprire un salone di bellezza nel centro di Milano, in via Foscolo 5. In quell’anno conobbe l’allora direttore del giornale L’ Avanti, Benito Mussolini, e intrecciò con lui una relazione estremamente coinvolgente che la vedrà a fianco del futuro Duce anche dopo l’espulsione dal Partito socialista, quando egli fonderà il nuovo giornale, Il Popolo d’Italia per cui, come accennato, la donna sosteneva di aver sacrificato buona parte del proprio patrimonio economico [6]. Poi il rapporto entrò in crisi a causa delle numerose amanti di lui, fino alla rottura definitiva dovuta alla nuova relazione con Rachele Guidi. Nel maggio del 1915 Mussolini partiva per il fronte come bersagliere, lasciandosi alle spalle quella storia. Ida resta sola, a Milano, senza mezzi di sostentamento, e non esita ad affrontare pubblicamente la rivale con tutta la forza e il risentimento di cui è capace.
Da documenti vari risulta chiaramente che Ida Dalser e Benito Mussolini si erano effettivamente sposati[7]. Tra gli altri sembra rilevante un telegramma inviato alla Dalser dal generale Cantù in cui si dà notizia del ricovero di Mussolini presso l’ospedale di Treviglio. La Dalser, infatti, era iscritta nel Registro Postale del Ministero della Difesa come sua legittima consorte[8]
Una prova interessante, che evidenzia il tentativo di Mussolini di occultare il matrimonio, è data da una lettera che un certo Dario Lupi, allora sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel 1929, inviò ad Alessandro Chiavolini, segretario particolare di Mussolini, e al capo della Polizia, Arturo Bocchini, in cui si fa esplicito riferimento al fatto che la Dalser aveva in mano dei documenti che provavano il suo stretto legame con il Duce, che sarebbe stato necessario recuperarli e che era urgente agire su questo… Per ovvi motivi, dunque, Ida Dalser fu messa a tacere: il primo provvedimento ufficiale risale al 22 maggio 1917 e con esso si ordinava l’espulsione della donna da Milano, a cui seguirono la carcerazione a Bologna, il trasferimento a Firenze, e un successivo internamento a Caserta. Da denunce anonime la donna veniva accusata di spionaggio anche se non era stata trovata nessuna prova esplicita a suo carico[9]; a questo proposito eloquente è il documento della prefettura di Milano datato 18 aprile 1917: a causa degli episodi accaduti all’Ospedale di via Arena dove era stato ricoverato Mussolini , per cui la Dalser , recatasi in visita al marito, si era confrontata in toni accesi con Rachele Guidi, si chiede al Ministero degli Interni di provvedere all’allontanamento da Milano della donna, adducendo tra l’altro :”plausibili ragioni”, quali “ l’origine e la sudditanza austriaca della Dalser, nonché la dimostrata sua simpatia per tutto quanto è austriaco” che giustificava “la di lei inclusione nell’elenco delle persone sospette di esercitare spionaggio”.[10]
La donna veniva inoltre additata come una minaccia per Mussolini e i suoi familiari a causa degli atteggiamenti ossessivi e vendicativi nei confronti del futuro Duce. Ma Ida si mostrerà sempre estremamente combattiva e decisa a far rispettare i propri diritti e quelli di suo figlio. Dal carcere ella scrisse più volte al Presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando, evidenziando l’atteggiamento ingiustificabile di Mussolini che non pagava il mantenimento del figlio, come deciso dal tribunale e manifestava un atteggiamento persecutorio e impietoso nei propri confronti. Non solo: Ida chiede alle autorità di indagare sui fondi occulti che il giornale Il Popolo d’Italia, aveva a suo dire ricevuto dalla Francia per spingere il paese all’interventismo. Nel fascicolo del Ministero dell’Interno n.2104, datato 9 febbraio 1918 si riporta quanto riferito dalla Dalser al funzionario del dipartimento di Pubblica Sicurezza che la visitò durante l’internamento a Caserta:
Essa accusa poi il Mussolini di essere venduto alla Francia tradendo gli ideali del proprio Paese ed al riguardo riferisce di aver saputo che il 17 gennaio 1914 ebbe luogo a Ginevra un colloquio tra il Mussolini, il Naldi e l’ex Presidente del Consiglio Caillaux, in seguito al quale avrebbe versata in Ginevra al Mussolini ed ai suoi compagni Clerici Ugo, Morgagni Manlio la somma di un milione di lire sitata al banco Jarak in via S. Spirito n.7 a Milano […]Ha riferito inoltre che le prime trattative per la fondazione del Popolo d’Italia, in cui essa avrebbe anche partecipato con una discreta somma, furono fatte a Milano nell’albergo della Bella Venezia tra il Naldi, il Mussolini ed il Comm. Iona, il quale ultimo però venne poco dopo fatto allontanare , non volendo gli altri due metterlo in condizioni di conoscere la provenienza sospetta dei fondi [11].
In quegli anni, si assisteva alla costruzione da parte di Mussolini di una nuova immagine per cui egli tentava di esorcizzare il proprio passato e le denunce della Dalser costituivano accuse molto gravi e infamanti, che investivano anche il suo ruolo politico[12]. Mussolini a questo punto chiese dei provvedimenti più energici, ma Ida continuò la sua battaglia rivelando nomi, cifre e dati dei finanziamenti illeciti e dei numerosi episodi di corruzione di cui Mussolini sarebbe stato responsabile… La Dalser racconta la sua relazione con Mussolini, sottolinea di avergli donato 50000 lire, ma, a dispetto di ciò, di aver subito episodi di violenta aggressione dopo la fine del loro rapporto.
Le brevi indagini che seguirono si chiusero sostanzialmente con una generica archiviazione del caso, come attesta la Riservata del 23 marzo 1918 firmata dal capo dell’Ufficio Speciale d’investigazione che dichiara “insussistenti “le affermazioni della Dalser [13].
Abbiamo notizie anche di un soggiorno romano, ma anche qui la sua presenza dovette risultare assai scomoda, se il questore della Capitale, in data 17 febbraio 1919 al Direttore Generale della Pubblica sicurezza di prendere “un provvedimento definitivo”, in quanto la Dalser, a suo dire
molesta il pubblico, provoca gli agenti, pretende denaro per sempre nuovi bisogni. All’albergo ove è alloggiata si è resa intollerabile ed il proprietario non vuole più tenerla […] La Dalser non ha ragione per vivere nella Capitale e ogni altra persona che avesse dato luogo alla minima parte delle sue molestie sarebbe stata allontanata con la forza […]” [14].
Alla fine della guerra, Ida potrà tornare a casa a Trento, ma d’ora in poi la sua abitazione sarà sorvegliata e piantonata. [15]
Nonostante ciò, spesso la Dalser riusciva ad allontanarsi per manifestare i propri diritti e difendere suo figlio nelle sedi più svariate. lda proseguiva in ogni modo la sua campagna diffamatoria contro l’ex marito incontrando giornalisti, politici, poliziotti. Durante una visita a Trento del ministro dell’istruzione, Pietro Fedele, che ella aveva conosciuto in precedenza, cercò di incontrarlo; confidò ad un’amica che sarebbe andata a trovarlo all’Hotel Bristol, ma venne tradita e nel frangente fu fermata, picchiata e imbracata con una camicia di forza:
[…] Condotta in questura ed essendo oltremodo agitata, fu sottoposta visita due medici uno dei quali specialista malattie mentali ed entrambi concordemente rilasciarono certificati per ricovero urgenza manicomio Pergine ciò che fu effettuato ieri sera stessa senza alcun incidente.[16]
Dopo due mesi, sarà trasferita al manicomio femminile di San Clemente, sull’isola di San Servolo dove morì il 3 dicembre 1937, a seguito di un ictus apoplettico. Il 30 Novembre le nipoti Cimadom, figlie di Elisa, la secondogenita di casa Dalser, ebbero la possibilità di vedere la zia; la trovarono paralizzata, già in coma, ormai in fin di vita. Nessuno dette loro spiegazioni sui pregressi della malattia.
Ida fu sepolta senza funerale, in una fossa comune. Aveva 57 anni.
IL FIGLIO
Dal momento in cui Mussolini assumerà la direzione del Governo, sarà il fratello Arnaldo ad occuparsi della faccenda Dalser cercando di negoziare con il cognato della donna, Riccardo Paicher, marito della sorella Adele, riguardo alla tutela del figlio; si garantiva l’assegno di mantenimento, permettendo che Benito vivesse presso la casa degli zii materni, ma a condizione che si dichiarasse incapace di intendere la Dalser.
Benito Albino, che già nel maggio del 1924 era stato affidato alla tutela del gerarca fascista Mario Verdiani, il 25 giugno del 1926 fu prelevato con la forza da casa Paicher e portato all’istituto di Sant’Ilario senza darne alcuna notizia ai familiari; successivamente verrà inserito nell’Istituto Carlo Alberto di Moncalieri dove fu educato ad una rigida disciplina militare. Di quel rapimento ci dà notizia la stessa Dalser nella lettera al re del 22 marzo del 1936 quando riferisce:
“sono saltati addosso alla signora Paicher malmenandola coprendola di pugni, e calci, lasciandola svenuta al suolo coperta di lividi. Il mio figlio stava nel bagno e così nudo se lo hanno rubato”.
Fin da subito il ragazzo crea dei problemi per il suo comportamento provocatorio nei confronti dell’immagine del Duce di cui faceva l’imitazione suscitando l’ilarita’dei compagni, e manifesta un carattere difficile e un po’troppo esuberante; per questo viene riportato a Trento, ma affidato alla tutela del commissario prefettizio Giulio Bernardi, nonostante le proteste dei Paicher. Tra Arnaldo Mussolini e il Bernardi fu siglato un accordo segreto in base al quale il Bernardi avrebbe ricevuto una ricompensa gratificante in cambio dell’impegno alla tutela e al controllo di Benitino. Al ragazzo fu cambiato il cognome: da Benito Albino Mussolini a Benito Albino Bernardi, viene iscritto, alle scuole CREM (Corpo reale Equipaggi Marittimi) di La Spezia, e condurrà una vita da sorvegliato speciale: intercettato nella corrispondenza, censurato nei rapporti con l’esterno, minacciato[17]. Sarà arruolato il 15 agosto del 1933, salirà sull’incrociatore Regio esploratore nel novembre del 1934 fino al giugno del 1935. Successivamente, nell’agosto del 1935, fu internato al manicomio di Mombello senza una proposta medica, ma su autocertificazione dello stesso Benito redatta con atto di costrizione. Ai documenti dell’internamento sarà comunque aggiunto come anamnesi una relazione dettagliata dello stesso tutore Bernardi. Benito viene descritto come un carattere irrequieto, difficile da educare e da istruire; dopo cinque anni di collegio mostrava ancora gravi deficienze sul piano formativo, si mostrava spesso aggressivo nei confronti dei compagni e soffriva di manie di persecuzione, e di accessi d’ira incontenibile. Per questo il ragazzo dopo essere stato arruolato in Marina, fu rimpatriato perché ritenuto affetto da malattia mentale. Benito Albino Mussolini morirà nel 1942.
L’INTERNAMENTO E LA FUGA
Ida Dalser entrò nell’ospedale di Pergine il 19 giugno 1926[18], venne registrata con il numero 3460 del registro generale. Durante il suo lungo soggiorno, Ida scrisse numerose lettere, molte delle quali vennero intercettate dal personale ospedaliero, sottratte, conservate in parte, in parte distrutte. Dopo appena due mesi, i responsabili dell’Ospedale, oppressi dai controlli e dai sopralluoghi ministeriali, decisero di trasferire la Dalser all’ospedale psichiatrico femminile di San Clemente, a Venezia, dove entrò il 17 agosto del 1926.[19]
Dalla lettura delle cartelle cliniche, emerge il resoconto di dichiarazioni lucide e consequenziali e il desiderio di parlare di sé : Ida racconta la sua storia soffermandosi sul legame coniugale che la unisce ancora a Mussolini, che Ella non dubita di chiamare suo marito[20] e sul figlio avuto da lui, a cui è stato posto lo stesso nome e a cui il padre ha il dovere di provvedere; sostiene, infatti, di avere in mano il rogito notarile in cui Mussolini riconosce il bambino come suo; parla anche di altro: in riferimento al delitto Matteotti, aggiunge di aver ricevuto l’offerta di mezzo milione di lire per aderire alla lega dei nemici di Mussolini, ma di aver rifiutato segnatamente indica, inoltre i nomi reali e specifici di coloro che l’hanno fatta internare in Manicomio con lo scopo di farla passare per pazza[21]: Manlio Morgagni, il Direttore del “Popolo d’Italia”, Ugo Clerici, che lavorava , tra l’altro per gli Uffici della Censura di Como e di Milano, la stessa Rachele[22], il cav. Giulio Bernardi, prima podestà di Sopramonte e poi impiegato per i Servizi segreti fascisti, prefetto di Trento Giuseppe Guadagnini, Arnaldo Mussolini, fratello del Presidente, il Capo della Polizia del Partito , Mario Verdiani, funzionario del Partito Fascista, l’avvocato Giuseppe Stefanelli e il direttore del Manicomio di Pergine, il dottor Angelo Alberti che accusa violentemente perché la trattiene lì ingiustamente; talvolta la disperazione si connota di ingenuità:
Perché mi tenete qua sequestrata? …apritemi le porte…né i miei, né Benito Mussolini sanno che io sono rinchiusa qua dentro…[23], altre volte si traduce in accessi di aggressività, e di proteste violente per il fatto che le sequestrano la corrispondenza [24] o non le permettono di telefonare ai familiari.
Le cartelle cliniche evidenziano un contegno altezzoso e sempre ostile […]. Parla solo con le malate alle quali racconta essere la moglie di Mussolini [25]. Si adducono patologie pretestuose [26], riferendo episodi riportati e non verificati durante il periodo di internamento, volutamente alterati in maniera quasi paradossale nei contenuti nei toni. Assai dettagliata risulta la relazione medica che fu compilata in data 2 dicembre 1926:
Risulterebbe da fonti attendibili che in passato ebbe degli Stati di violenta agitazione con minacce a mano armata.
Sia dal suo linguaggio sia dei suoi scritti la Dalser rivela un delirio sistematizzato persecutivo che si è originato parecchi anni or sono e che perdura vivacissimo […] Mostra un attaccamento esagerato e straordinario per il figlio, che chiama il suo Dio e nessuna potenza umana né divina lo potrà strappare da lei.
Si lagna del vitto dicendo che in esso vi sono delle sporcizie…ha tendenza agli alcolici e domanda con insistenza Vermouth, cognac, liquore Strega. In dieci giorni vuotò una bottiglia di Elisir di China da mezzo litro…fioriscono pure delle idee deliranti, grandiose, che qua e là affiorano sua nei suoi scritti, sia nel suo linguaggio. Si crede la moglie di Mussolini e come tale pretendeva di essere ricevuta da ministri e senatori…vantava conoscenze con persone altolocate…prometteva cariche ed onorificenze a tutti i suoi benefattori. Persiste lo stato di vivacissime reazioni passionali alle interpretazioni paranoiche…reazioni che hanno assunto in questi ultimi tempi una vivacità tale, che rende l’ammalata aggressiva e pericolosa verso tutti.
Diagnosi “Paranoide”.
Dopo l’iniziale internamento a San Clemente, la Dalser fu trasferita nel Manicomio di Verona in data 20 dicembre per un consulto sulla sua infermità, e, in effetti, l’Interdizione fu stabilita con la sentenza pubblicata sul Foglio degli ANNUNZI LEGALI, anno V 1926-27, mercoledì 23 marzo 1927, Num.75 Gratuito 1777 N.d’aff.pp.5-27. [27]
Ida Dalser d’ora in poi NON avrà più la possibilità di essere difesa legalmente;
Doveva ritenersi SEPARATA dal mondo civile, giuridico, economico e religioso.
Quindi fu di nuovo rinchiusa a Pergine. Da sottolineare che fino al maggio del 1937 nei documenti depositati presso il Servizio Rubriche di frontiera del Ministero degli Interni riguardo alla Dalser è scritto: “sospetta politica da impedire espatrio e segnalare”.
Molti anni dopo dall’inizio del suo internamento, la Dalser, il 15 luglio 1935 [28], riuscì a fuggire dall’ospedale di Pergine, ed a tornare nella sua casa di Sopramonte:
Il Direttore, che ha tenuto a far rilevare come le sue istanze dirette all’amministrazione Provinciale per ottenere un pronto rimedio nella segnalata deficienza numerica [di personale] non ha cessato di insistere su una certa trascuratezza in genere da parte dell’Amministrazione nei confronti dell’Ospedale psichiatrico […]
La ricoverata Ida Dalser è evasa dalla finestra (sinistra) della latrina […] a mezzo di lenzuola annodate (ne possedeva tre e quindi in numero sufficiente per calarsi con tutta sicurezza dalla finestra nel giardino sottostante). La finestra della latrina + a doppo vetri, in mezzo ai quali si trova l’inferriata, costituita da sole tre sbarre verticali avvitate… […] Si tratta di viti che sono facilmente svitabili col comune manico di un cucchiaio. [29]
Telegramma inviato al Ministero dell’Interno dalla Prefettura di Trento in data 16 luglio 1935. Archivio Centrale dello Stato, Archivio centrale dello Stato, Prot. N. 2104 del 9 febbraio 1919. Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza, A1, b, Dalser Ida
Il 15 Luglio 1935 sono evasa dal M[anicomio] e dopo molte peripezie, sfidando la morte … ho raggiunta la mia villa paterna a Sopramonte. Il 18 Luglio 1935 il Questore di Trento s’è recato da me per convincermi di partire per alcuni mesi in un luogo di mia scelta ove troverò ogni confort e potrò comunicare giornalmente con mio figlio e sorelle. Ad un mio reciso rifiuto, la mattina del 19 luglio mi hanno trascinata a Venezia nell’Isola dei matti, dove gemo tuttora sottoposta a tutti i supplizi, la fame … Sordi, implacabili ad ogni oltraggio. Di mio figlio non so nulla! Da dieci anni vive disgiunto da me. Sana di mente, dotata di bellezza fisica ed estetica, non so proprio cosa farne io dei medici, e meno sia dei psichiatri …. Quale arbitrio poliziesco è questo? Dichiarare pazza la madre per rapire il figlio? Ed infliggere pure alla creatura innocente orrori inauditi! … I rapitori non furono condannati ma dopo il duplice delitto e lo sfruttamento attendevano il riscatto. L’internamento mio si spiega con la necessità di lasciare la verità in fondo al pozzo. [30]
LE LETTERE: CONDIZIONI, LUCIDITA’ E TESTIMONIANZA
La documentazione epistolare della Dalser, nonostante le condizioni, rivela una straordinaria capacità di mantenere fino all’ultimo la consapevolezza e la lucidità su quanto le accadeva, sia in relazione ai responsabili dei procedimenti intentati contro di lei e contro suo figlio, sia, certamente, in riferimento ai tempi, ai metodi subiti, e alle proprie reazioni emotive, di cui traccia un’evoluzione chiara e definita, come emerge dalla seguente lettera, destinata a Mussolini, in cui ricostruisce ancora una volta le fasi della propria vicenda e dell’internamento:
Il 15 luglio [1935] sono fuggita da Pergine, il 19 luglio 1935 mi hanno trascinata a Venezia, il 30 dicembre 1935 ho ricevuto una cartolina di mia sorella e nipoti le quali mi dicevano avrai un regalo, il 2 febbraio 1936 – nota la distanza di 32 giorni – Giovanni Fattovich, il sedicente direttore, un miserabile…esclamò:” Ho una lettera di sua sorella, non gliela do perché è diretta alla Direzione, v’è un pacco di biancheria. L’ho respinto alla signora perché le ho tassativamente detto di non spedire nulla senza mio ordine e che non sia vidimato dalla Polizia. In manicomio mi hanno rubato la vita, onore, e soldi. [31]
Il fatto che la Dalser riuscì a mantenere lucida e viva la sua mente è testimoniato in tutti i suoi scritti; persino alcuni biglietti di annotazione consentono di verificare lo sforzo, il tentativo estremo di conservare vigili le proprie facoltà mentali:
retse – ozzapmar
elaiv odlanra ota
nisuf n. 85 azneciv [32]
Luigia Tagliapietra Venezia
p. Burrano.
Emilia Pilisi. Napoli – Marsiglia
Scripilliti com[missario] T. [33]
Arturo Pianca
Astr[…] arelosirg [34]
aizenev [35]
Sono stata colpita da paralisi la sera del 15 aprile 1936 – metà parte del corpo.
Ho ricevuto la visita dei miei tre nipoti Alda, Ester e Livio il giorno 18 aprile 1936.
Ho spedito tre telegrammi a Benito Mussolini (padre), capo del governo. Primo il 17 aprile 1936; il secondo 23 aprile 1936; il terzo il 4 aprile 1936.
Uno a mio figlio diretto a Shangai il giorno 16 Aprile 1936.
Uno a mia sorella Adelina il giorno 23 Aprile 1936 ed uno il 16 Aprile 1936. [36]
Evidentemente, chi scrive riesce perfettamente a gestire le proprie facoltà mentali e linguistiche, come emerge anche dall’inventario preciso e dettagliato dell’annotazione relativa al 19 luglio 1935:
Le lettere al Duce traducono il dolore più grande, quello data dall’incredulità, da un’esperienza che non può appartenere alla sfera emotiva di una madre che se pure può arrivare a concepire l’abbandono e il tradimento, non può giustificare in alcun modo la dimenticanza o, peggio, la rimozione del proprio ruolo di padre di cui evidentemente si rese responsabile il Duce:
lo scandalo d’Italia, la vergogna dell’Europa tenere la madre di tuo figlio , sana di mente, dotata di una bellezza fisica e morale, in manicomio, sottoposta, e schiava di tutta la marmaglia di cui sono infestati e maledetti e ributtanti i manicomi d’Italia.
Io credo che tu abbia perduta la testa e il cuore. Il bambino è stato fatto da me e da te, che pensi dunque di fare di lui? […] Io sono disposta a darti la mano e il bacio del perdono… non posso dimenticare che sei il padre di mio figlio, e […] Nel mio cuore non ha mai regnato alcun momento d’odio per te sebbene abbia potuto constatare che tu sei stato molto crudele con me e con mio figlio. [ …] [37]
In varie occasioni la Dalser fu vittima di atteggiamenti persecutori ed irrispettosi, fu picchiata, umiliata e derubata dei suoi effetti personali. [38] Quando dopo la fuga, fu costretta a rientrare a San Clemente, Ida si accorse che qualcosa era cambiato a Venezia: al direttore Cappelletti era subentrato Fattovich che, come si è detto, scelse la linea dell’intransigenza, promuovendo terapie aberranti e vessatorie. Ida venne ulteriormente segregata e isolata, le venne imposta la camicia di forza, fu più volte assicurata al letto con le cinghie. Più volte ella denuncia nelle lettere, ma anche durante le visite dei medici, la sporcizia a cui è costretta e il fatto che le vengono sottratte le lettere ai familiari [39], impedendole ogni forma di comunicazione, sia epistolare che telefonica. Spesso costretta a scrivere su pezzi di carta stracciata, a sovrascrivere su testi già redatti in precedenza:
La permanenza nell’Ospedale da lei definito Casa di Martirio la induce spesso a rifiutare il cibo [41] ed a chiudersi nel suo doloroso silenzio:
Contegno altezzoso e sempre più ostile. Non parla e non saluta più né medici, né suore, né infermiere…[42]
In uno scritto rinvenuto nell’archivio di Stato a Trento, la donna fa esplicito riferimento ad un attentato alla sua persona citando un episodio specifico: la sera de 15 aprile 1936 le avrebbero offerto una tazza di caffè avvelenato che avrebbe prodotto in lei effetti devastanti:
Sono caduta a terra colpita da vomito per tre giorni di seguito bave ecc. Il mio corpo è ora deforme. [43]
I trattamenti subiti causeranno un progressivo deperimento del copro fino alla paralisi:
Fui colpita da paralisi provocata per rendermi demente, il braccio, la gamba destra e la testa, sono paralizzati per cui tutti gli arti sono irrigiditi [44]
Sto male…Sono paralizzata metà corpo, desidero subito stringerti fra le mie braccia, non tardare e ti giunga tutto il mio cuore, abbracciandoti con ardore
mamma [45]
In una lettera del ’29 indirizzata a Mussolini Ida aveva scritto:
Tu cadrai quando nostro figlio morirà.
BENITO ALBINO MORÌ IL 25 LUGLIO DEL 1942, ED ESATTAMENTE LO STESSO GIORNO DELL’ANNO SUCCESSIVO, IL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO PROVOCÒ LA DESTITUZIONE E L’ARRESTO DI MUSSOLINI. MARCO ZENI [46], HA PENSATO SPONTANEAMENTE AD UNA SORTA DI PREMONIZIONE E AL SENSO DELLE PROFEZIE. NOI CI INTERROGHIAMO, ATTONITI, SUI SEGNI E LE RICORRENZE DELLA STORIA.
NOTE
[1] Zeni, M. (2005). La moglie di Mussolini. Edizioni Effe e Erre, p. 167.
[2] Galzigna, M. (2007). Museo del Manicomio di San Servolo, la follia reclusa. Arsenale Editrice, p. 21.
[3] Lettera ad Elva Giani, senza data. Archivio Storico dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale di San Servolo-Clemente.
[4] Baratieri, D. (2013). Sanity from a lunatic asylum: Ida Dalser’s threat to Mussolini’s image. In S. Gundle, C. Duggan, & G. Pieri (Eds.), The cult of the Duce: Mussolini and the Italians (p.58). Manchester University Press.
[5] Laurenti, F – Norelli G. (2005). Il segreto di Mussolini. Rai Storia.
[6] Festorazzi, R. (2013). Mussolini e le sue donne. P. Macchione editore, p.84 e ss.
[7] Baratieri, D. (2013). Sanity from a lunatic asylum: Ida Dalser’s threat to Mussolini’s image. In S. Gundle, C. Duggan, & G. Pieri (Eds.), The cult of the Duce: Mussolini and the Italians (pp. 57-71). Manchester University Press.
[8] E poco importa se non sussistono prove certe che sia stato celebrato come matrimonio religioso. A questo proposito Festorazzi scrive: “sebbene la prova documentale della reale esistenza di quelle nozze religiose non sia mai stata prodotta, sono in molti a ritenere, contro ogni evidenza, che quel matrimonio davvero ci fu”. Cfr. Festorazzi, op.cit. p.85. In realtà, come scrive Baratieri, esistono documenti sufficientemente attendibili in relazione al matrimonio civile tra i due: un certificato di stato civile rilasciato dall’ufficio della polizia di Milano, un permesso di soggiorno in Milano datato 29/09/1016, una dichiarazione rilasciata dal Sindaco di Milano datata 21 ottobre 1916 in cui si attesta che la famiglia del militare Mussolini è composta dalla moglie Ida Dalser e dal figlio Benito Albino. Cfr.; Zeni, M. (2005). La moglie di Mussolini, p.63.
[9] Secondo il rapporto del 10 ottobre dell’anno precendente, 1916, infatti, “la Dalser fu da anonimi denunziata come sospetta di spionaggio, ma dalla vigilanza esercitata in di lei confronto NON fu dato raccogliere alcun elemento che potesse dar vita di sospetti…”. Cfr. Archivio Centrale dello Stato ( henceforth ACS), Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza ( henceforth MI), A1,b.Dalser Ida- Soggiorno degli stranieri in Italia, Prot.N.2099 del 29 settembre 1916. Riservata dell’Ufficio centrale d’investigazione del 10 /10/1916. Dei vari trasferimenti ci dà notizia la Dalser stessa nella lettera al ministro Giolitti del 27 agosto 1920 (Archivio Centrale dello Stato, Archivio centrale dello Stato, Prot. N. 2104 del 9 febbraio 1919. Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza, A1, b,Dalser Ida ).
[10] Archivio Centrale dello Stato ( henceforth ACS), Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza ( henceforth MI), A1,b.Dalser Ida- Soggiorno degli stranieri in Italia, Prot.N.2099 del 29 settembre 1916. Nota della Prefettura di Milano al Ministero degli Interni, 18 Aprile 1917.
[11] Riservata – Ufficio centrale d’investigazione del 9 febbraio 1918.Archivio Centrale dello Stato, Archivio centrale dello Stato, Prot. N. 2104 del 9 febbraio 1919. Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza, A1, b, Dalser Ida.
[12] Dinelli, U. (2020). La Mussolina. Cierre Edizioni, pp. 23 et seq.
[13] Sappiamo bene, invece, ed è materia nota, che vi sono prove molteplici e congruenti che sosterrebbero, oggi, le denunce di Ida Dalser; cfr., per esempio, Nemeth, L. (1998).” Dolci corrispondenze. La Francia e i finanziamenti a Il popolo d’Italia 1914-17. Italia Contemporanea, settembre 1998, n.212.
[14] Archivio Centrale dello Stato, Archivio centrale dello Stato, Prot. N. 2104 del 9 febbraio 1919. Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza, A1, b, Dalser Ida. Fonogramma interno n. 663, ibidem.
[15] Ibidem
[16] Archivio Centrale dello Stato, Archivio centrale dello Stato, Prot. N. 2104 del 9 febbraio 1919. Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza, A1, b, Dalser Ida. Telegramma del Prefetto di Trento, Guadagnini, n. 20522 del 20 giugno 1926, ore 13.45. Destinatario: Gr.Uff. Chiavolini, segretario Ecc. Mussolini- Direzione Generale P.S.
[17] Zeni, M. (2005). La moglie di Mussolini, p.258.
[18] Cfr. anche Lettera al Re del 22 marzo del 1936. Archivio Centrale dello Stato, Archivio centrale dello Stato, Prot. N. 2104 del 9 febbraio 1919. Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza, A1, b, Dalser Ida.
[19] Ibidem.
[20] Relazione medica del 17 agosto 1926, Archivio Storico degli Ospedali psichiatrici di San Servolo.
[21] Relazione medica del 19 agosto 1926, Ibidem.
[22] Relazione medica del 18 agosto 1926, Ibidem.
[23] Relazione medica del 7 settembre 1926, Ibidem.
[24] Relazione medica del 20 novembre 1926, Ibidem.
[25] Relazione medica del 31 ottobre 1026, Ibidem.
[26] Relazione medica del 16 settembre 1926. Ibidem
[27] Zeni, M. op.cit. p-153 et seq.
[28] Lettera a Mussolini, 1° marzo 1936. Archivio Centrale dello Stato, Archivio centrale dello Stato, Prot. N. 2104 del 9 febbraio 1919. Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza, A1, b, Dalser Ida.
[29] Lettera riservata del Prefetto di Trento al Ministro dell’Interno del 29 luglio 1935. Prot.5999 Gab.Archivio Centrale dello Stato, Archivio centrale dello Stato, Prot. N. 2104 del 9 febbraio 1919. Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza, A1, b, Dalser Ida.
[30] Lettera a Vittorio Emanuele III. Archivio Storico dell’Ospedale Psichiatrico di San Servolo.
[31] Lettera a Mussolini, 1° marzo 1936, Ibidem.
[32] Annotazione del 19 luglio 1935, Ibidem. Leggendo in senso inverso: “Ester Rampazzo, viale Arnaldo Fusinato n. 85, Vicenza”. Si tratta forse dell’indirizzo della nipote Ester di cui annota poco sotto di aver ricevuto la visita.:
[33] Il commissario politico Scripilliti che partecipò alle indagini per la cattura della Dalser dopo la fuga da Pergine. Cfr. articolo dell’8 ottobre 1945.
[34] Leggendo in senso inverso: “Grisolera”; segue una parola mezza cancellata e non ben leggibile.
[35] “Venezia”. Del resto, sulle perfette condizioni mentali della ricoverata si esprimono chiaramente le prime cartelle cliniche , secondo cui la Dalser presentava una percezione pronta, orientamento normale, memoria ben conservata sia degli avvenimenti prossimi che dei lontani.Cfr. cartella clinica del 7 settembre. Archivio Storico dell’Ospedale Psichiatrico di San Servolo.
[36] Biglietto non datato.
Archivio Centrale dello Stato, Archivio centrale dello Stato, Prot. N. 2104 del 9 febbraio 1919. Ministero dell’Interno e di Pubblica Sicurezza, A1, b, Dalser Ida. Biglietto non datato.
[37] Lettera a Mussolini, 1° marzo 1936. Archivio storico dell’Ospedale Psichiatrico di San Servolo.
[38] Cartella clinica del 19/08/1926. Ibidem
[39] Cartella clinica del 20 Novembre 1926, Ibidem.
[40] Biglietto sovrascritto, Archivio Storico degli Ospedali psichiatrici di San Servolo. Difficile l’interpretazione:
“(Verticale) Sto male e sta più male la mia creatura, che voglio con me. Se la mia posizione non sarà tacitata darò ordini tassativi che si pubblichi il diario mio affidato a terzi […]
(Orizzontale) Cadute inesorabilmente. (?)
Al mio viaggio – fra stenti – a Roma si è imposto il manicomio e la questura mi rubò dal portamonete un documento il quale (?) la custodia del mio piccolo Benito.
Vergogna, vergogna D’Italia e il sangue innocente che grida vendetta… vendetta ai barbari. Vivo nella miseria nell’esilio. Spesso la Dalser lamenta il fatto di non avere carta e penna per scrivere. Cfr lettera a Mussolini del 1 marzo1926: Sono senza carta, avrei dovuto copiare questi scarabocchi, non ho né lapis né car[ta].
[41] Cartelle cliniche del 23 e del 24 /08/1926, Archivio Storico dell’Ospedale di San Servolo.
[42] Cartella clinica del 31 ottobre 1926, Ibidem.
[43] Zeni,M, op.cit, pag.214.
[44] Ibidem.
[45] Telegramma al figlio, Archivio Storico dell’Ospedale Psichiatrico di San Servolo.
[46] Lorenzetto S., “Ricostruita la storia della moglie segreta del Duce”. Il Giornale,11 giugno 2009.