DIVERSITA’
Abbiamo condiviso questo link e riproposto al Paese delle Donne
— Mio figlio più piccolo, Matija, che ha dieci anni e mezzo (dieci anni e mezzo compiuti il 12 marzo, come ci tiene a sottolineare), qualche giorno fa ci ha chiesto di potersi colorare i capelli di rosso. L’idea gli è venuta guardando i video di un rapper, un certo Sfera Ebbasta (credo si scriva così). Ha insistito un po’, con la perseveranza che lo caratterizza. Noi abbiamo resistito per due giorni e poi abbiamo ceduto; così, martedì mattina è andato a scuola con la sua nuova capigliatura.
Matija non è nuovo a queste iniziative. Spesso è mosso da desideri fuori dall’ordinario. Gli è chiaro che tingersi i capelli di rosso non è “usuale”; non è ingenuo, perché sa perfettamente che non tutti vedono di buon occhio chi si colora i capelli. Prima di andare a scuola, ha avuto molta paura: temeva che la maestra l’avrebbe rimproverato. Ha però aggiunto, con una punta di orgoglio, che i capelli sono suoi e ha il diritto di scegliere come averli.
Come aveva previsto, la novità non è stata accolta bene. La sua maestra, una signora sulla sessantina, gli ha detto che è inguardabile; sempre la maestra ha poi continuato a sottolineare il suo disappunto scuotendo la testa per due giorni. Fuori da scuola, alcune mamme hanno fatto notare a mia moglie che nessun bambino in tutta la scuola ha i capelli rossi. Una mamma, in particolare, ha detto che lei, al suo posto, avrebbe detto di no, aggiungendo queste testuali parole: “bisogna tarpargli le ali”.
Lo ammetto, non credo che mio figlio stia bene, con i capelli rossi. Sembra un truzzo. Quando mi ha chiesto un parere, gli ho detto che secondo me, dal punto di vista estetico, non è una scelta molto furba ma che se lui si sente di volerlo fare, avrebbe avuto il mio supporto. Non è semplice accompagnare un figlio in una strada che noi non abbiamo percorso, e che forse non vorremmo che percorresse. Non è semplice neppure sapere che tuo figlio è l’unico bambino della scuola ad avere i capelli rossi – sapere che questo è un problema per la maestra e per le mamme dei suoi compagni di classe. Però Matija, nonostante la paura, è stato fermo nella sua decisione. Altre volte, quando la maestra ci faceva notare, a me e a mia moglie, come Matija fosse “strano”, lui piangeva dicendo chiaramente: cosa c’è di male a essere diversi?
Si diventa genitori credendo di avere qualcosa da insegnare; poi, si scopre che i propri figli possono insegnarti qualcosa: sulle tue debolezze, sulla tua insicurezza, sul tuo bisogno di ricevere l’approvazione degli altri. L’omologazione agisce attraverso il rimprovero silenzioso, colpendo i centri nervosi della vergogna. Essere diversi è oggettivamente un problema. Affermare la propria diversità, senza nascondersi, è un problema ancora più grande. E supportare la diversità, per quanto piccola e insignificante, è il problema per eccellenza. Avremmo dovuto tarpare le ali a Matija, come si augurava la mamma di quel bambino. Insegnargli che se desidera avere i capelli rossi, nonostante tutti gli altri non ce li abbiano, sta sbagliando; e che il motivo non risiede nel particolare colore che ha scelto, e nemmeno nel risultato estetico ottenuto, ma nel fatto che, colorandosi i capelli di rosso, si diventa diversi da tutti gli altri… Avrei dovuto dirgli che per me e per la mamma sarebbe stato molto più facile se lui si fosse mescolato agli altri, mettendo a tacere i suoi desideri stravaganti. Ma avrei perso un pezzo di mio figlio, quello che lo rende unico. E per la prima volta ho sentito l’orgoglio di avere un ragazzino che segue la sua strada nonostante tutto. Guardandolo, ho pensato: ecco, tu potresti essere il mio eroe.
Oggi, alla stazione di Bologna, ho visto due donne che si tenevano per mano. Non c’era spavalderia ma una normale, quotidiana tenerezza. Mi sono guardato intorno: nessuno faceva caso a quel gesto che, solo pochi anni fa, avrebbe fatto girare mezza stazione. Il mondo sta cambiando, quindi. I nostri figli appartengono a una generazione che sta crescendo spalla a spalla con ragazzi di altri paesi; hanno un’apertura mentale che molti di noi – io per primo – non abbiamo mai avuto: per fare un esempio, a scuola di Jurij, che fa le medie, una ragazzina è fidanzata con un’altra ragazzina da sei mesi, e a nessuno sembra qualcosa di insolito.
E quando ho detto a Jurij che Matija si era colorato i capelli (per inciso: anche sulla storia dei nomi sloveni dei miei figli ci sono state mille critiche) ha detto, ridendo, che per due mesi non avrebbe più potuto invitare amici da noi. Ma quando è tornato a casa, e l’ha visto, ha sorriso e gli ha detto che stava bene, anche se non lo pensava; e poi l’ha accompagnato in bagno e l’ha aiutato a lavarsi i capelli (erano pieni di gel) e poi l’ha asciugato con il phon, come se fosse un barbiere, con una tenerezza che non aveva bisogno di proclami: li sentivo parlottare in bagno e ho pensato che forse questi ragazzi sono migliori dei maestri che li stanno facendo crescere. Perché quello che hanno capito, e che a noi è quasi sempre sfuggito, è che non è necessario essere d’accordo con le scelte degli altri: è sufficiente accettarle.
Una nota a margine: A partire da questo post, inizio una collaborazione con una grafica italiana che curerà l’aspetto iconografico del blog; poiché non si tratta di una collaborazione professionale (nel senso che non ci sono di mezzo transazioni economiche), preferisce rimanere nell’anonimato, e io rispetto questa scelta. Come era emerso da un commento a un post di qualche tempo fa, non ho alcun talento per gli aspetti estetici: ho sempre scelto le immagini a caso, consapevole che una ricerca più approfondita non avrebbe portato a risultati migliori. La cosa che mi piace, di questo scambio di competenze, è sapere che le immagini non si limiteranno a ridondare il contenuto del post ma aggiungeranno un nuovo punto di vista. Nel caso di questo post, che ho condiviso all’ultimo momento, la grafica ha pensato a un film che non conoscevo, Sing Street. Felice di questa novità!
Post scriptum: mentre mi accingo a pubblicare questo post, Matija è impegnato a strapparsi i jeans con una pinzetta da elettricista e un righello per calcolare le esatte proporzioni dei buchi. Sembra un sarto. Anche in questo caso, non approvo ma accolgo!