Tre generazioni di donne hanno raccontato il proprio rapporto con il lavoro, la crescita verso una piena cittadinanza fra pari, e la rivendicazione della propria diversità, che nel tempo ha prodotto trasformazioni nelle loro vite e nell’organizzazione del lavoro.
Nell’ambito dell’edizione 2014 di Umbria Libri, è stata presentata la Ricerca [Donne e lavoro in Umbria,->http://www.libereta.it/prodotto/donne-in-umbria] edita da LiberEtà e curata da Carla Arconte e Roberta Perfetti.
Lo scopo dichiarato della Ricerca, promossa dal Sindacato Pensionati della Cgil Umbria (Spi Cgil Umbria) in collaborazione con l’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea (Isuc), è promuovere la trasmissione culturale tra generazioni di donne, oggi bruscamente interrotta dalla crisi e dalla contestuale costruzione ideologica dello scontro generazionale.

{{Trenta donne hanno raccontato le loro esperienze di vita e di lavoro}} sullo sfondo di un contesto regionale che, in sessant’anni, è stato attraversato da profonde trasformazioni sociali, economiche e culturali.
Tre sono le fasce di età che l’indagine ha preso in considerazione: le over 65, le donne fra i 45 e i 64 anni che, insieme alle “Grandi anziane”, hanno vissuto la stagione delle lotte e delle conquiste civili e sindacali, e una terza fascia composta da trentenni e quarantenni, una generazione segnata dalla precarietà, sottoccupazione, redditi bassi e nessuna previdenza. Si tratta di una situazione di povertà che, come rilevano le curatrici, accomuna le generazioni precarie – se pur per ragioni molto diverse – alle“grandi anziane” che oggi percepiscono la pensione minima o la pensione sociale.

Si tratta di {{donne provenienti da diverse realtà territoriali umbre}} e che rappresentano molteplici tipologie di lavoro. Un’altra caratterizzazione importante delle intervistate è senza dubbio la loro partecipazione al sindacato per cui, come sottolinea Roberta Perfetti, curatrice del volume e segretaria regionale Spi Cgil Umbria, “dalle interviste emerge con forza una grande consapevolezza e capacità di analisi derivata dalla formazione e dall’esperienza sindacale”.
Nel capitolo dedicato alla presentazione della ricerca, Perfetti ne illustra le premesse teoriche, le metodologie e le tecniche utilizzate.

{{Le interviste effettuate sono di tipo semi strutturato}}, una forma flessibile e centrata sul soggetto che prevede un ascolto attivo ed empatico. Le intervistatrici (tra cui, per dovere di cronaca, vi è anche l’autrice di questo articolo) si sono trovate di fronte donne che, raccontando la propria vita, ripercorrendone conquiste e sconfitte, soddisfazioni, dolori e disillusioni, hanno manifestato grande preoccupazione per le/i proprie/i nipoti o figlie/i, e in generale per la condizioni di vita e di lavoro delle generazioni precarie. A volte è accaduto un ribaltamento dei ruoli, con l’intervistata che, con curiosità e preoccupazione, cercava di comprendere la situazione lavorativa dell’intervistatrice.

{{Carla Arconte}}, collaboratrice dell’Isuc e Presidente dell’Istituto per le ricerche storiche per l’Umbria meridionale, ha curato lo studio analitico delle interviste e, attingendo brani dalle interviste stesse, ha organizzato il discorso su alcune chiavi di lettura. Seguono poi le riflessioni sulle tematiche emerse da parte di donne che hanno responsabilità dirigenziale sia nello Spi, sia nella Cgil locale e nazionale.
“Conosco personalmente come sono ricche queste testimonianze, come sono dense dal punto di vista emotivo e conosco l’opera certosina della loro trascrizione” ha sottolineato Paola Falteri, docente di antropologia culturale e dell’educazione presso l’Università degli Studi di Perugia.

{{Falteri}}, intervenuta alla presentazione del volume, ha tenuto a ribadire che la storia orale, il parlato e la testimonianza, e in genere gli strumenti e le tecniche dell’indagine qualitativa, sono di fondamentale importanza nel fare ricerca, anche perché restituiscono visibilità alle persone in carne ed ossa, che spesso sono nascoste, fino a scomparire, dietro la raffica di dati statistici che quotidianamente ci vengono forniti.
L’antropologa ha toccato sinteticamente alcune tra la pluralità delle tematiche emerse, riportando a titolo esemplificativo alcuni brani tratti dalla interviste. Tra le “grandi anziane” cita l’intervista di Lina, infermiera psichiatrica in pensione, che alla domanda perché ha deciso di lavorare risponde: “E’ una domanda grossa. Per essere indipendente”.
Nel racconto delle {{over 65 si fa dunque strada un protagonismo prepotente, un forte desiderio di autodeterminazione}}; mentre per le contadine che lavoravano all’interno della famiglia, rileva sempre la professoressa Falteri, era facile accedere ai più moderni strumenti per lavorare la terra ma non alle innovazione ad uso personale: “Ho imparato a portare il trattore ma non la macchina”.

{{Nella fascia centrale di età emerge la questione della conciliazione}}, le giornate vengono raccontate come un contenitore da saturare, si affaccia la questione della condivisione del lavoro di cura: “Le ore di lavoro erano tante e il passeggio poco e lui non sapeva fare molte cose, gli ci è voluto del tempo per imparare”. In molte di queste interviste emerge la contraddittorietà di un contesto sociale e culturale capace di innovare le relazione tra i generi più che altro a parole proclamate nello scenario pubblico, mentre nel privato ancora erano forti le resistenze maschili alla condivisione del lavoro di cura e al riconoscimento della piena dignità dei percorsi di autonomia femminile. {{Nella terza fascia di età il tema più trattato è quello della maternità}}. Paola Falteri, i cui interessi di ricerca si incentrano su molteplici ambiti tra cui le primi fasi del ciclo della vita (gravidanza, parto/nascita, puerperio e cure allevanti), ha sottolineato come le depressioni post partum non sono poi così rare, e sono dovute anche alle trasformazioni del lavoro.

Secondo Arconte nell’ultima fascia di età presa in esame affiora una soggettività che rimanda ad un simbolico, che potrebbe essere letto come un ritorno al ruolo destinale di madre, eppure nelle parole raccolte nelle interviste{{ emerge una nuova sensibilità, che si manifesta nel desiderio di lavorare, di coltivare i propri interessi, senza rinunciare alla cura}} “non solo tramite l’estensione dei servizi sociali, ma gestendo in modo nuovo l’organizzazione del lavoro, la vita di famiglia, le relazioni sindacali”.

A tal proposito la Consigliera regionale di Parità{{ Elena Tiraccorendo}}, intervenuta anch’essa all’evento, ha sottolineato come da alcune interviste emergono intrecci di modelli culturali interiorizzati: è il caso dei sensi di colpa che affiorano dai racconti di alcune donne, le quali rimproverano a se stesse di aver investito troppo sulla propria soddisfazione professionale, a discapito del tempo trascorso con i figli.

Questo generoso lavoro di ricerca rappresenta senza dubbio un importante riferimento per ulteriori percorsi di indagine che sappiano approfondire le questioni emergenti, come, tanto per rimanere nel perimetro di riflessione trattato dalle relatrici, una forte correlazione tra i dati relativi al mercato del lavoro, la precarietà e il fenomeno della regenderization. Per molte donne la consapevolezza che il proprio lavoro sarà marginale e precario per tutta la vita si accompagna alla valorizzazione della dimensione privata, familiare.
Tutto ciò avviene dentro un contesto culturale che torna a valorizzare fortemente il valore sociale della maternità e opera una essenzializzazione dei generi, ricombinando i ruoli di genere secondo un modello tradizionale.