Donne e Welfare. Una cittadinanza incompiuta
La rivista della CGIL Rivista delle Politiche Sociali (Rps)dedica il numero 2/2009 al tema “Donne e Welfare. Una cittadinanza incompiuta”.
Curato da Alessia Sabbatini il volume accoglie saggi di alcune delle studiose che negli ultimi tre decenni si sono più proficuamente dedicate all’argomento, da Laura Balbo Franca Bimbi e Chiara Saraceno a Annette Borschorst Berte Siim e Jane Jenson, riproponendo i temi centrali del dibattito nell’intento di dar conto sia delle trasformazioni già avvenute che dei processi di cambiamento, delle resistenze e degli ostacoli in atto. Costituisce quindi sia un utile strumento per un quadro di sintesi del dibattito socio-politico degli ultimi decenni che un tentativo di messa a punto dei problemi che attraversano l’attualità nel percorso di trasformazione dei welfare europei.
_ Utile pure il tentativo, che percorre trasversalmente alcuni saggi, di rileggere, contestualizzandolo nel dibattito sul welfare, il problema antico e sempre aperto di una nozione di uguaglianza tra i sessi che tenga conto della differenza.
Anche se non sempre riconosciuto nella letteratura specialistica sull’argomento, le esigenze e le politiche espresse dai movimenti femministi e le analisi delle studiose femministe hanno contribuito, da un lato, a far emergere la necessità di riforme dei welfare per adeguarli alle trasformazione dei comportamenti femminili e alle attuali società post-fordiste e, dall’altro, ad ampliare la nozione stessa di welfare e a rivederne i modelli.
Hanno con ciò contribuito ad ampliare la stessa nozione di cittadinanza politica e sociale includendovi dimensioni tradizionalmente relegate nell’ambito privato, come la cura, l’affettività, il tempo libero, lo sviluppo personale (si veda la multidimensionalità del welfare di cui parla il saggio di Borchorst e Siim).
_ E soprattutto i movimenti femministi hanno contribuito all’ampliamento della nozione di cittadinanza attraverso la lunga battaglia per il riconoscimento dei diritti riproduttivi e della libertà di scelta procreativa, facendo emergere nell’area del pubblico e del politico anche questi temi tradizionalmente considerati privati (Marques-Pereira).
Tuttavia la cittadinanza delle donne rimane incompiuta, secondo l’espressione usata nel dibattito femminista e ripresa nel sottotitolo del volume {Rivista delle Politiche Sociali}.
_ Incompiuta rispetto al persistere dell’ambiguo statuto dei diritti riproduttivi, mai pienamente riconosciuti o ancora negati e sempre rimessi in discussione, e incompiuta anche perché la parità di genere rimane tuttora, e forse non può che rimanere, una tensione e approssimazione continua verso la parità, un orizzonte verso cui indirizzarsi.
_ Ciò non solo perché permangono oggi le disuguaglianze nel lavoro, retribuito e non, o perché è ancora dalle donne che principalmente ci si aspetta che vengano conciliati cura e lavoro retribuito, o perché la parità non è raggiunta neppure nei paesi scandinavi in cui i servizi di cura per l’infanzia sono un diritto sociale e le politiche di uguaglianza di genere sono state un fiore all’occhiello del modello di Welfare socialdemocratico, ma anche perché non si potrà mai dare il caso che il lavoro di cura abbia un riconoscimento economico e sociale paragonabile a quello di mercato e perché non si potrà forse mai dare vera e piena interscambiabilità dei ruoli materno/paterno (Sabbatini).
Benché le disuguaglianze permangano, le aspettative di uguaglianza di genere sono comunque enormemente diffuse e, come diceva Tocqueville, l’uguaglianza, una volta apparsa nella storia, non ne potrà più essere scacciata, potrà essere frenata soffocata ma non estirpata.
La conciliazione tra lavoro retribuito e cura rimane questione centrale irrisolta nonostante i progressi certamente innegabili.
_ Le battaglie politiche dei movimenti di donne e femministi nel glorioso decennio dei ’70 per trasformare le attività di cura “naturalmente” attribuite alle donne in rivendicazione di diritti sociali hanno avuto esiti molto differenti in Europa e, comunque, in qualche misura positivi per quanto attiene alle attività di cura legate alla maternità, ma pressoché inesistenti per quanto riguarda la cura di anziani e di adulti disabili o non autosufficienti.
E’ grazie alle lotte delle donne e alle politiche che ne sono scaturite che il problema della cura e del bilanciamento tra partecipazione al mercato del lavoro e compiti di cura viene oggi percepito come “nuovo bisogno sociale” (Saraceno). Ma è anche grazie alle istituzioni dell’UE che le politiche di conciliazione tra lavoro nel mercato e responsabilità familiari di uomini e donne hanno visto la luce in stati membri, come ad esempio quelli mediterranei.
_ Come è noto, infatti, la legislazione e le politiche comunitarie, fin dall’origine, hanno incentivato la lotta contro le discriminazioni tra uomini e donne e la promozione delle pari opportunità nel mondo del lavoro e, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’90, hanno incoraggiato misure per aumentare la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e rendere possibile la conciliazione con le responsabilità familiari, mediante le flessibilizzazione di tempi e condizioni di lavoro, i congedi parentali per uomini e donne e l’incremento dei servizi per l’infanzia (Bernardi e Caldarini).
_ Ma mentre nelle prime linee guida della Strategia Europea per l’occupazione la promozione delle pari opportunità delle donne era un pilastro centrale che si raccomandava di integrare orizzontalmente in tutto l’arco delle politiche occupazionali, successivamente, a partire dalla revisione del 2003, le politiche di pari opportunità hanno gradatamente perduto di rilevanza.
Nella Strategia Europea per l’occupazione l’accento si è spostato quasi esclusivamente sulle politiche di conciliazione tra responsabilità familiari e lavoro nel mercato e, in particolare, sulla promozione delle strutture di accudimento dell’infanzia, in conseguenza, secondo l’interessante ma discutibile analisi che ne fa Jenson, dell’emergere a livello internazionale del paradigma teorico dell’investimento sociale e, dunque, della rilevanza dell’investimento nello sviluppo delle capacità cognitive dei bambini ai fini della produzione di un migliore capitale umano, adeguato alle sfide del presente e alle trasformazioni dello stato sociale.
Allo stesso tempo, nelle politiche occupazionali come in altre aree, a livello dell’UE come a livello degli stati membri, le politiche di pari opportunità per le donne hanno gradatamente lasciato il posto alle politiche di gender mainstreaming: sempre meno azioni dirette alla promozione delle donne per favorire, invece, una spesso ipotetica (a volte solo cartacea) integrazione della prospettiva di genere all’interno di tutte le politiche.
E’ per questa via che nell’UE le politiche contro le discriminazioni sulla base di sesso/genere e le politiche di pari opportunità per le donne sono venute a diluirsi all’interno di generali politiche antidiscriminatorie e di politiche di promozione delle pari opportunità per tutti (Jenson).
_ Del resto le politiche dell’UE, anche nelle fasi di maggior impegno per le pari opportunità tra uomini e donne, non sono riuscite a scardinare le differenze tra gli stati membri che rimangono enormi, così come grandi permangono le diversità tra i quattro modelli europei di stato sociale (mediterraneo, socialdemocratico-scandinavo, liberale-anglosassone e corporativo-continentale).
Infatti, se nei paesi del Nord Europa il modello familiare del {dual earner} sta largamente sostituendo il modello di {male breadwinner} e le politiche hanno promosso responsabilità e diritti dei padri nella cura dei figli (la rifamiliarizzazione dei padri di cui parlano Siim e Hobson et al), in Italia, come si sa, i tassi di occupazione femminile sono tra i più bassi d’Europa, gli asili nido coprono solo il 10% del fabbisogno, la percentuale di padri che usufruisce di congedi parentali è meno che irrisoria e la cura degli anziani è affidata solo alla famiglia ossia al lavoro delle donne (Del Boca, Raitano).
A questo cronico sottosviluppo dei servizi di cura supplisce il lavoro delle immigrate che, mentre è diventato indispensabile per i nostri figli ed anziani, sta provocando nei loro paesi d’origine un gigantesco care drain e indicibili sconvolgimenti di tutti i sistemi di relazione.
Queste disuguaglianze nella distribuzione della cura non sono che uno degli aspetti delle disuguaglianze tra nord e sud del mondo, delle disuguaglianze tra classi sociali “razze” e etnie, disuguaglianze che sono tutte intersecate dalle disuguaglianze di genere (Balbo).
_ Mentre ai livelli più alti della scala sociale le disuguaglianze di genere si sono ridotte, le disuguaglianze tra le donne si sono ampliate in conseguenza dell’ampliarsi delle disuguaglianze sociali in tutti i paesi europei e non solo.
A fronte delle poche donne di successo nella scalata alle cittadelle maschili del potere economico e politico, le donne in maggioranza, secondo Balbo, sono ancora percepite nelle nostre società come outsider, come invasori di spazi pensati per i maschi. Il campo del dominio del patriarcato è dunque ancora ampio, benché in forme mutate, meno visibili ma non meno insidiose.
Nonostante i progressi compiuti nella conquista di diritti e di parità, comportamenti, posizioni, rapporti di forza, norme, culture dominanti nelle sedi di potere presentano resistenze forti e ostacoli insuperati verso il cambiamento, come stiamo clamorosamente vedendo oggi nella rappresentazione mediatica della lotta per il potere in Italia.
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