differenza donnaUna giornata dedicata interamente ai diritti delle donne rifugiate e richiedenti asilo, quella che si è svolta lo scorso 23 marzo alla Casa internazionale delle donne, a Roma. L’associazione Differenza Donna, che da diciassette anni persegue l’obiettivo di far emergere e contrastare la violenza di genere, ha organizzato una conferenza per presentare la ricerca ‘Gendering Asylum Protection System’. Il lavoro, realizzato con il supporto di Feminist Review Trust, indaga la violenza di genere, in questa epoca di grandi migrazioni, attraverso le esperienze che Differenza Donna ha raccolto in anni di confronto con le richiedenti asilo, sia nella fase di accoglienza che in quella di determinazione dello status, e cerca di approfondire il dibattito femminista sul tema, affrontato a livello internazionale ma piuttosto ignorato in Italia. L’incontro, concentrato sulla ricerca ‘Gaps’ con dei focus su prassi di protezione internazionale, campi profughi e centri di identificazione, e vittime di tratta, è stato un tavolo di confronto, di discussione, di condivisione, a cui hanno partecipato rappresentanti del mondo della ricerca e della cooperazione, del volontariato e dell’associazionismo, delle istituzioni e della Giustizia.

Dopo i saluti iniziali della presidenta di Differenza Donna, Elisa Ercoli, la mattinata ha preso il via con l’intervento dell’avvocata Ilaria Boiano, che ha introdotto il dibattito sull’accoglienza disegnando un quadro chiaro e significativo in termini numerici: di 18.000 donne accolte da DD dal 1989 ad oggi, oltre il 40% è costituito da migranti. Inoltre – ha spiegato la Boiano – la percentuale delle richiedenti asilo in Italia è passata dal 27% del giugno 2015 al 55% di questi ultimi giorni, con il continuo aggravarsi della situazione in paesi come Siria, Afghanistan e Iraq. Sempre l’avvocata di DD ha presentato la ricerca ‘Gaps’, nata con lo scopo di definire la figura della richiedente asilo e di comprendere i motivi che l’hanno spinta a fuggire dal paese d’origine, ma anche con quello di analizzare il quadro legislativo italiano per valutare se è in grado di far fronte alle richieste di protezione di chi ha subito persecuzioni, e, non meno importante, porre al centro della riflessione il nostro sistema di asilo e le esperienze delle donne che vi si sono affidate.

Sono i racconti delle richiedenti, infatti, la principale fonte di questo rapporto, e la Boiano ha riferito come alcune donne intervistate hanno raccontato dell’assenza dell’avvocato davanti alla Commissione territoriale in fase di audizione per la richiesta di asilo, o come si sono accorte che gli interpreti non traducevano integralmente le proprie dichiarazioni. Dichiarazioni spesso da non ritenersi affatto ininfluenti per determinare se ci si trova o meno davanti a una vittima di violenza di genere: una donna moldava, rileggendo il verbale, non aveva trovato il punto in cui aveva pronunciato la frase “mio marito voleva uccidermi”.

Numerosi gli interventi dei partecipanti al tavolo: a prendere la parola Jane Freedman, professoressa e ricercatrice dell’Université Paris 8, che ha sottolineato in prima battuta come ci sia una carenza di statistiche accurate sulla GBV (Gender Based Violence). La Freedman ha definito con precisione gli ostacoli cui vanno incontro le donne richiedenti asilo, che rappresentano il 30% delle richieste nei paesi industrializzati, tra cui il pericolo di violenze e abusi sessuali durante tutti i passaggi della migrazione. Durante il suo intervento la ricercatrice statunitense ha più volte fatto riferimento alla Convenzione di Ginevra del 1951 (relativa allo Status dei Rifugiati), ponendo un importante interrogativo circa il documento che individua cinque motivi per cui una persona possa ritenersi perseguitata nel proprio paese e potersi perciò rifugiare altrove: la razza, la religione, la nazionalità, le opinioni politiche o l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale. “Non dovrebbe essere aggiunto il ‘genere’ come sesta motivazione?” ha commentato la docente dell’università parigina, già collaboratrice di Unhcr e diverse ong.

Significativo, tra gli altri, l’intervento di Elisabetta Rosi, consigliera della Corte di Cassazione, che ha arricchito il dibattito raccontando alcune determinanti revisioni di sentenze, che hanno permesso a donne, vittime di persecuzioni, di ottenere lo status di rifugiate in Italia.

A raccogliere il testimone è stata quindi Enrica Rigo, ricercatrice in Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, che ha proseguito la narrazione in termini legislativi con alcuni esempi paradigmatici, come quello delle 66 donne nigeriane, oggetto di un provvedimento di restringimento, trattenute a lungo all’interno del CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) di Ponte Galeria, fatto giunto alla cronaca grazie all’impegno e alla denuncia delle associazioni che nel centro forniscono supporto e assistenza agli ospiti-detenuti.

L’intervento di Alessandro Lanni, coordinatore del sito Open Migration, si è invece concentrato sui numeri e, attraverso dati e statistiche, infografiche e slide, ha illustrato alla platea l’affluenza migratoria dell’anno corrente in Italia, a metà tra Spagna e Grecia (paese col maggior numero di sbarchi), e il numero delle donne che hanno richiesto asilo nel 2015 (in Europa sono 339.955, solo in Italia 9.435). Open Migration, attraverso una ricerca su Google Trends, ha composto un grafico da cui si evince come, nell’ultimo anno, sia cambiata la conoscenza della parola ‘rifugiato’: analizzando l’arco temporale del decennio 2005-2015, si è registrato un picco, ad ottobre dello scorso anno, in cui nelle ricerche degli italiani la parola ‘rifugiato’ ha superato per la prima volta la ricerca della parola ‘clandestino’.

Ancora molti gli ospiti convenuti a questo convegno partecipatissimo, inframmezzato da un pranzo conviviale che ha maggiormente alimentato il desiderio di misurarsi sulle tematiche proposte: Chiara Spampinati, responsabile del centro anti-tratta Prendere il volo, ha raccontato alcuni aneddoti della sua commovente esperienza allo sportello del Cie di Ponte Galeria; Luisa Del Turco, Consulente in Cooperazione internazionale, ha sollevato la questione degli abusi non solo dovuti alla presenza dei conflitti nei territori, ma anche causati dagli stessi operatori che sono in quei territori per portare aiuto; Martina Pignatti Morano, presidenta di Un Ponte per, ha descritto i centri comunitari per rifugiati siriani che, in Giordania, sono gestiti da associazioni di donne palestinesi; Cinzia Greco, della Campagna LaciateCIEntrare, ha ribadito quanto sia fondamentale cambiare l’ottica dell’accoglienza e continuare a creare una rete, che spesso diventa anche l’unico punto di riferimento umano per le persone detenute nei centri; e ancora Augusta Angelucci, esperta di genere e salute; Angelo Trovato, presidente Commissione Nazionale per la protezione internazionale; Francesca Nicodemi, esperta di ‘trafficking’ per l’Unhcr; e avvocate, attiviste, docenti e volontarie provenienti da realtà fondamentali per tracciare uno schema verosimile di quella che è la situazione attuale per tutte quelle donne che, nel mondo, cercano di resistere, di affrancarsi, e di trovare la libertà.

 

di Marina Berarducci

 

Una giornata dedicata interamente ai diritti delle donne rifugiate e richiedenti asilo, quella che si è svolta lo scorso 23 marzo alla Casa internazionale delle donne, a Roma. L’associazione Differenza Donna, che da diciassette anni persegue l’obiettivo di far emergere e contrastare la violenza di genere, ha organizzato una conferenza per presentare la ricerca ‘Gendering Asylum Protection System’. Il lavoro, realizzato con il supporto di Feminist Review Trust, indaga la violenza di genere, in questa epoca di grandi migrazioni, attraverso le esperienze che Differenza Donna ha raccolto in anni di confronto con le richiedenti asilo, sia nella fase di accoglienza che in quella di determinazione dello status, e cerca di approfondire il dibattito femminista sul tema, affrontato a livello internazionale ma piuttosto ignorato in Italia. L’incontro, concentrato sulla ricerca ‘Gaps’ con dei focus su prassi di protezione internazionale, campi profughi e centri di identificazione, e vittime di tratta, è stato un tavolo di confronto, di discussione, di condivisione, a cui hanno partecipato rappresentanti del mondo della ricerca e della cooperazione, del volontariato e dell’associazionismo, delle istituzioni e della Giustizia.

 

Dopo i saluti iniziali della presidenta di Differenza Donna, Elisa Ercoli, la mattinata ha preso il via con l’intervento dell’avvocata Ilaria Boiano, che ha introdotto il dibattito sull’accoglienza disegnando un quadro chiaro e significativo in termini numerici: di 18.000 donne accolte da DD dal 1989 ad oggi, oltre il 40% è costituito da migranti. Inoltre – ha spiegato la Boiano – la percentuale delle richiedenti asilo in Italia è passata dal 27% del giugno 2015 al 55% di questi ultimi giorni, con il continuo aggravarsi della situazione in paesi come Siria, Afghanistan e Iraq. Sempre l’avvocata di DD ha presentato la ricerca ‘Gaps’, nata con lo scopo di definire la figura della richiedente asilo e di comprendere i motivi che l’hanno spinta a fuggire dal paese d’origine, ma anche con quello di analizzare il quadro legislativo italiano per valutare se è in grado di far fronte alle richieste di protezione di chi ha subito persecuzioni, e, non meno importante, porre al centro della riflessione il nostro sistema di asilo e le esperienze delle donne che vi si sono affidate.

Sono i racconti delle richiedenti, infatti, la principale fonte di questo rapporto, e la Boiano ha riferito come alcune donne intervistate hanno raccontato dell’assenza dell’avvocato davanti alla Commissione territoriale in fase di audizione per la richiesta di asilo, o come si sono accorte che gli interpreti non traducevano integralmente le proprie dichiarazioni. Dichiarazioni spesso da non ritenersi affatto ininfluenti per determinare se ci si trova o meno davanti a una vittima di violenza di genere: una donna moldava, rileggendo il verbale, non aveva trovato il punto in cui aveva pronunciato la frase “mio marito voleva uccidermi”.

 

Numerosi gli interventi dei partecipanti al tavolo: a prendere la parola Jane Freedman, professoressa e ricercatrice dell’Université Paris 8, che ha sottolineato in prima battuta come ci sia una carenza di statistiche accurate sulla GBV (Gender Based Violence). La Freedman ha definito con precisione gli ostacoli cui vanno incontro le donne richiedenti asilo, che rappresentano il 30% delle richieste nei paesi industrializzati, tra cui il pericolo di violenze e abusi sessuali durante tutti i passaggi della migrazione. Durante il suo intervento la ricercatrice statunitense ha più volte fatto riferimento alla Convenzione di Ginevra del 1951 (relativa allo Status dei Rifugiati), ponendo un importante interrogativo circa il documento che individua cinque motivi per cui una persona possa ritenersi perseguitata nel proprio paese e potersi perciò rifugiare altrove: la razza, la religione, la nazionalità, le opinioni politiche o l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale. “Non dovrebbe essere aggiunto il ‘genere’ come sesta motivazione?” ha commentato la docente dell’università parigina, già collaboratrice di Unhcr e diverse ong.

Significativo, tra gli altri, l’intervento di Elisabetta Rosi, consigliera della Corte di Cassazione, che ha arricchito il dibattito raccontando alcune determinanti revisioni di sentenze, che hanno permesso a donne, vittime di persecuzioni, di ottenere lo status di rifugiate in Italia.

A raccogliere il testimone è stata quindi Enrica Rigo, ricercatrice in Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, che ha proseguito la narrazione in termini legislativi con alcuni esempi paradigmatici, come quello delle 66 donne nigeriane, oggetto di un provvedimento di restringimento, trattenute a lungo all’interno del CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) di Ponte Galeria, fatto giunto alla cronaca grazie all’impegno e alla denuncia delle associazioni che nel centro forniscono supporto e assistenza agli ospiti-detenuti.

L’intervento di Alessandro Lanni, coordinatore del sito Open Migration, si è invece concentrato sui numeri e, attraverso dati e statistiche, infografiche e slide, ha illustrato alla platea l’affluenza migratoria dell’anno corrente in Italia, a metà tra Spagna e Grecia (paese col maggior numero di sbarchi), e il numero delle donne che hanno richiesto asilo nel 2015 (in Europa sono 339.955, solo in Italia 9.435). Open Migration, attraverso una ricerca su Google Trends, ha composto un grafico da cui si evince come, nell’ultimo anno, sia cambiata la conoscenza della parola ‘rifugiato’: analizzando l’arco temporale del decennio 2005-2015, si è registrato un picco, ad ottobre dello scorso anno, in cui nelle ricerche degli italiani la parola ‘rifugiato’ ha superato per la prima volta la ricerca della parola ‘clandestino’.

Ancora molti gli ospiti convenuti a questo convegno partecipatissimo, inframmezzato da un pranzo conviviale che ha maggiormente alimentato il desiderio di misurarsi sulle tematiche proposte: Chiara Spampinati, responsabile del centro anti-tratta Prendere il volo, ha raccontato alcuni aneddoti della sua commovente esperienza allo sportello del Cie di Ponte Galeria; Luisa Del Turco, Consulente in Cooperazione internazionale, ha sollevato la questione degli abusi non solo dovuti alla presenza dei conflitti nei territori, ma anche causati dagli stessi operatori che sono in quei territori per portare aiuto; Martina Pignatti Morano, presidenta di Un Ponte per, ha descritto i centri comunitari per rifugiati siriani che, in Giordania, sono gestiti da associazioni di donne palestinesi; Cinzia Greco, della Campagna LaciateCIEntrare, ha ribadito quanto sia fondamentale cambiare l’ottica dell’accoglienza e continuare a creare una rete, che spesso diventa anche l’unico punto di riferimento umano per le persone detenute nei centri; e ancora Augusta Angelucci, esperta di genere e salute; Angelo Trovato, presidente Commissione Nazionale per la protezione internazionale; Francesca Nicodemi, esperta di ‘trafficking’ per l’Unhcr; e avvocate, attiviste, docenti e volontarie provenienti da realtà fondamentali per tracciare uno schema verosimile di quella che è la situazione attuale per tutte quelle donne che, nel mondo, cercano di resistere, di affrancarsi, e di trovare la libertà.