Articolo di Serena Danna   –   http://27esimaora.corriere.it/17_gennaio_24/femminismo-donne-marcia-aborto

pussypower-ky5-U43280101182708ND-1224x916@Corriere-Web-SezioniLa premessa, necessaria, è che tutti i presidenti repubblicani l’hanno fatto prima di lui. Per questo, si potrebbe considerare la decisione di Trump di ristabilire la cosiddetta «Mexico City Policy» — una disposizione che taglia i fondi alle organizzazioni non governative che aiutano le donne ad abortire nei Paesi dove non è possibile — una «tradizione repubblicana». La politica introdotta da Reagan nel 1984 durante una conferenza delle Nazioni Uniti a Città del Messico (da qui il nome) è stata, infatti, cancellata da Clinton e Obama e reintrodotta dalle presidenze Bush. Quello che sorprende però è che la mossa arrivi nel primo giorno di ufficio del presidente Trump, «rendendo evidente — come ha sostenuto il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer — che abbiamo a che fare con un presidente pro-life».

L’urgenza del provvedimento non è l’unico motivo di preoccupazione: un’azione così forte contro i diritti riproduttivi delle donne giunge due giorni dopo la grande marcia che ne ha portato più di due milioni nelle piazze d’America e — le coincidenze a volte sono davvero crudeli — il giorno dopo il 44esimo anniversario della sentenza «Row contro Wade» che ha di fatto reso l’aborto legale nel Paese.

Con il Congresso controllato dai repubblicani, un presidente reazionario e la Corte Suprema spostata nuovamente a destra, si prospettano anni molto difficili per le donne americane, che negli ultimi anni hanno dovuto difendere dalle incursioni statali diritti che sembravano acquisiti da decenni.

D’altronde, il nuovo modello femminista ch potrebbe affermarsi nell’era Trump— svuotato della dimensione politica e basato su una presa di coscienza e di potere femminile del tutto arbitraria — ha già trovato il suo volto perfetto nella prima figlia del presidente, Ivanka, la giovane (ex) imprenditrice che ha fieramente sentenziato « il lavoro più importante per una donna è essere madre», e che, come ha scritto il New York Times, «vende femminilità tradizionale e supporto del potere maschile ben infiocchettati nel femminismo».

Il rischio dunque è che si arrivi a quella che Jessica Valenti ha definito sul «Guardian» una svolta «leggera» della lotta per i diritti delle donne: «Per alcune donne Ivanka è stata molto di più che un simbolo della femminilità conservatrice – ha scritto Valenti -. È stato il permesso per votare per un mostro: il volto di un femminismo distorto che ha aiutato a prendere il 53% dei voti delle donne». Se una battaglia politica per il riconoscimento di diritti universali diventa un generico e individualista «empowerment» di facciata, ha affermato la scrittrice, a pagarne le conseguenze saranno le donne.

Ma è davvero così? La libertà di abortire è una condizione imprescindibile del femminismo oppure no?

Dalla marcia di Washington è stata esclusa un’importante organizzazione di donne contrarie all’aborto, la New Wave Feminists. Inizialmente il gruppo compariva sul sito tra gli organizzatori della manifestazione: un omaggio al «femminismo intersezionale», ovvero alla capacità di includere voci e opinioni diverse nella stessa lotta in difesa dei diritti delle donne. Tuttavia — come ha fatto notare il sito Quartz — proprio l’approccio inclusivo della marcia è stata oggetto di feroci critiche sui social network: la scrittrice femminista Roxane Gay, per esempio, ha scritto su Twitter che «il femminismo intersezionale non include un’agenda pro-life. Il diritto di scegliere è una parte fondamentale del femminismo».

Alla fine, l’organizzazione della marcia è stata costretta a ritirare il sostegno della New Wave Feminists, come di altre organizzazioni femministe anti-abortiste, dalla marcia, suscitando l’indignazione delle escluse. La presidentessa dell’organizzazione Students for Life of America Kristan Hawkins ha commentato al Washigton Post: «Si sono impossessate di qualsiasi discussione sul femminismo nel Paese, diffondendo l’equazione che se sei contraria all’aborto, sei contraria alle donne».

Non è forse così?

Non c’è dubbio che i movimenti femministi siano entrati in una fase politica e sociale diversa, che nuove strade vanno trovate e percorse per affermare i (nuovi?) diritti delle donne. Tuttavia pensare che per evolversi sia necessario rinunciare a quelli acquisti si configura già come uno dei dilemmi che ci accompagneranno nei prossimi anni.