Dopo la sentenza della Consulta sulla legge Merlin, un sospiro di sollievo ma lo sguardo va tenuto alto e va additato ogni silenzio
La paura stavolta è stata grande. Mai probabilmente così tanta. Sapevamo, noi donne, noi femministe, che sarebbe stato un vero downgrade per tutte, il nostro corpo ridotto a “luogo di lavoro” (Julie Bindel) se il muro fosse crollato, se la Consulta avesse giudicato incostituzionale la legge Merlin e depenalizzato lo sfruttamento della prostituzione.
La sentenza l’abbiamo accolta con enorme sollievo, il sentimento è stato questo, pur sapendo che la lotta non è certo finita.
La lobby prostituente non molla. L’efficacia del modello abolizionista nordico (punibilità del cliente) adottato in Canada e in grande parte d’Europa –Grande Nord, Irlanda, Islanda, Francia, in dirittura anche la Spagna- mette a rischio i suoi colossali profitti.
In Italia la normalizzazione del cosiddetto sex work, outfit glitterato per tratta e sfruttamento, incontra invece interlocutori anche tra le forze di governo e nel fronte dirittista GBTQ, e si giova dei tentennamenti della sinistra progressista.
Paese in decrescita infelice, esportiamo il maggior numero di turisti sessuali. Liberato dai lacciuoli della Merlin anche il mercato interno potrebbe dare maggiori soddisfazioni. Risignificata come libertà e autodeterminazione -e le ragazzine che ci cascano- la vendita del proprio corpo intero o in tranci costituirebbe anche un’accettabile alternativa di lavoro, e garantirebbe un ottimo sigillo al dominio maschile fuori tempo massimo. In più, per la buona pace di Signore&Signori, finalmente le strade si libererebbero di questo sconcio.
Colpi di coda, io dico. Violentissimi, ma l’animale è morente. La fiducia non va smarrita. Lo sguardo va tenuto alto, all’orizzonte.
Ma il giorno dopo, vigilia di 8 marzo, di tutto questo –della paura e del sollievo, della resistenza, della sofferenza delle prostituIte, della forza delle sopravvissute- sui media mainstream non c’è traccia. Tolte alcune testate, quella che leggete, in prima linea, e poche altre, sul colpo della Consulta al papponismo universale un raggelante silenzio, come se fosse una cosa imbarazzante e da tenere nascosta. Il che può dare misura del business: la tratta di esseri umani è il terzo per “fatturati”, dopo armi e droga. E della fatica immane della nostra lotta a mani nude. Ma ce la faremo. Sono certa che ce la faremo.