Dorothy Day, la femminista di Dio?
E’ stata definita l’anarchica di Dio, Dorothy Day, ma forse potrebbe meritare anche il titolo di femminista di Dio, se non altro perché il radicalismo e la stessa pratica del digiuno – cui ricorse più volte nel corso delle sue battaglie – l’aveva imparata nella militanza suffragista.A lei la collana “Maestri” de La Scuola (diretta da Fulvio De Giorgi e Luciano Pazzaglia) ha dedicato un agile ma pregnante volume curato da {{Roberta Fossati}} ({D}{ay. Fede e radicalismo sociale}, La Scuola 2012).
Assieme ad un nucleo di brani antologici che restituiscono le tappe fondamentali della sua parabola politica, Fossati offre una stimolante lettura della biografia e della “lezione” di Dorothy Day, la cui beatificazione, sostenuta dai missionari clarettiani, è stata avviata nel 2000.
In effetti la sua stessa vita è {{cifra di una passione umana e religiosa}} davvero eccezionale, come passo passo la curatrice fa emergere tra le pieghe di una storia complessa e contraddittoria.
Dorothy nasce a New York l’8 novembre 1897, terza di cinque figli. Il padre è un cronista sportivo, costretto a cambiare spesso residenza con tutta la famiglia; la madre frequenta la chiesa episcopale, ma sembra non incidere particolarmente nella vita spirituale dei figli.
E’ invece nella fase adolescenziale che nasce il sentimento religioso, secondo la testimonianza della stessa Dorothy, che amerà scrivere di sé tenendo a modello le pagine agostiniane delle Confessioni. Senza concludere gli studi universitari comincia ad interessarsi di {{socialismo e femminismo}}; trova impiego come cronista in piccoli giornali di area socialista, e nel 1917 viene arrestata per partecipazione ad un picchetto di suffragette davanti alla Casa Bianca, con conseguente sciopero della fame e ricovero all’ospedale.
Al termine della Grande guerra, durante la quale acuisce il pacifismo degli anni universitari, Dorothy vive un periodo inquieto e disordinato: rimane incinta e poi abortisce; sposa quindi civilmente un ricco signore del Greenwich village, da cui si separerà solo un anno più tardi. Finalmente conosce Forster Batterham, cui si lega di un amore profondo e corrisposto: è la conquista della “felicità naturale”, per dirla con Dorothy stessa, che matura un ulteriore personale slancio religioso. Nel ’26 nasce una bambina, Tamar Teresa, che viene battezzata con rito cattolico, nonostante l’opposizione del padre. “{{Ri-battezzata}}” a sua volta, Dorothy si sente ad un bivio della vita e sceglie la coerenza con le sue idee religiose, ormai improntate al cattolicesimo, nonostante lo strazio che la decisione di allontanare Forster le provoca.
E’ con la Grande Depressione degli anni ’30 che il suo impegno sociale cresce esponenzialmente e nel ’32 l’incontro con Peter Maurin, che riconoscerà sempre come maestro, dà un nuovo corso al suo lavoro. Teorizzatore di un cristianesimo radicale di impianto personalista e utopico, Maurin fonda con Dorothy il giornale “{Catholic Worker}” e accanto ad esso una rete di gruppi di discussione, case di ospitalità e comunità fondate sulla centralità dell’agricoltura. Il “Worker” guida così {{un movimento cattolico di solidarietà e assistenza}} di cui le comunità agricole sono la punta di diamante (nel ’36 sono già 33) anche perchè basate sulla teoria del distributismo: una sorta di terza via tra capitalismo e socialismo, in cui tendere alla massima distribuzione possibile dei beni e dei mezzi di produzione.
Sul piano del pacifismo i “Workers” non si esimono dalla critica alle autorità ecclesiastiche, per esempio allo scoppio della guerra civile spagnola, quando la gerarchia parteggia per le forze franchiste, e successivamente durante la guerra fredda o ancora con l’intervento americano in Vietnam: Dorothy più volte avrà modo di ripetere che{{ è la Chiesa la croce su cui Cristo fu crocifisso}}. Dopo aver fondato nel ’41 la Lega degli obiettori di coscienza cattolici, la lotta pacifista continua a viso aperto per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, soprattutto col rifiuto di partecipare alle esercitazioni per simulazione d’allarme atomico e coll’astensione dal pagamento delle tasse destinate alla guerra, inimicandosi in particolare il vescovo di New York Spellman.
Naturalmente il movimento è fortemente coinvolto nella discussione ecclesiale prodotta dal Concilio Vaticano II: la stessa Dorothy si reca a Roma nel ’63 con un gruppo di “madri per la pace”, poi ancora nel ’65 per il digiuno organizzato dalle donne della comunità dell’Arca di Lanza del Vasto. Solo nel ’75 Dorothy abbandonerà ogni ruolo attivo nel “Worker”, pur tenendo ancora una conferenza al Congresso Eucaristico di Filadelfia del ’76, sostenendo che “la penitenza deve precedere l’Eucarestia”.
Come mostrano le pagine antologiche dai suoi scritti, {{il radicalismo sociale}} in lei va di pari passo con {{una fede personale intensamente vissuta,}} ma anche con una concezione teologica nel complesso tradizionale. Così, ad esempio, Dorothy non si trova affatto in sintonia col movimento del Sessantotto e con le sue manifestazioni libertarie: in quelle che giudica vere e proprie forme di permessivismo individua un disordine preoccupante e deprecabile. Il progressismo politico, lo spirito antiautoritario, l’antimperialismo, la difesa dei diritti delle donne e dei neri si coniugano cioè con un vero attaccamento alla tradizione religiosa.
Ciò che caratterizza fino alla morte (il 29 novembre 1980) in modo profetico la sua parola e la sua azione è invece{{ l’amore ai poveri}}, perché –diceva- “coloro che non possono vedere il volto di Cristo nei poveri sono effettivamente i veri atei”.
Lascia un commento