Dubravka Ugrešić scrittrice transnazionale che, con occhio critico, attraversa generi, miti e culture con creativi incroci linguistici
Europa in seppia è il suo ultimo lavoro, un’analisi urgente e lucida spalmata su una realtà geo culturale a 360 gradi. Perciò ,come sottolinea Clotilde Barbarulli, come possiamo meravigliarci se nel 2011, invitata a New York per un Convegno, Dubravka Ugrešić si precipita a cercare Zuccotti Park, luogo simbolo del movimento “Occupy Wall Street, chiedendo – “dove si trova la rivoluzione?” con la volontà di testare il livello della sua sindrome di bassa intolleranza all’autoritarismo? Non possiamo meravigliarci neanche quando, l’autrice di Europa in seppia, sottolinea come lo storico NO di Tito a Stalin l’abbia segnata al momento del concepimento, e fin dall’infanzia è cresciuta nella convinzione che tutte le persone “abbiano diritto a libertà e uguaglianza”, rendendola “una futura contestatrice.”
Dall’ America dove si trova per parlare di poetica e politica della nostalgia, riflette sul concetto di archivio, che ha senso finché “la sua esistenza è illegale”. Il neologismo jugonostalgija fu introdotto come sinonimo di ostilità verso il neo costituito Stato Croato, quando Tito, i partigiani, la fratellanza e l’unità insieme ad altre cose furono buttati “nella spazzatura della storia, nella zone dei ricordi proibiti”. E l’autrice, avendo rifiutato le bugie politiche, culturali del presidente ultranazionalista Tudjman, fu bollata con l’etichetta di “traditrice”.
Ugreŝić scatta con il proprio iPhone fotografie dell’Europa in questo primo scorcio di millennio, e poi sceglie l’effetto seppia .Nell’Europa in rovina – dove il turismo politico offre ad esempio pacchetti di incontri con “autentiche vittime della guerra in Bosnia. Quelle sopravvissute, è sottinteso” – vede “aggirarsi carne umana, migranti, la nuova schiavitù europea”, mentre i più cercano solo il denaro, obiettivo che ha fatto dileguare parole prima in circolazione, come speranza, sogno, passione, futuro, pietà. “Abbiamo sognato molto durante il comunismo” – scrive Ugrešić – ma quella parte migliore non troverà posto in nessun museo del comunismo, perché è intangibile: si è nascosta nella letteratura, nei film, nella pittura, nell’architettura, nell’arte dalla forza onirica. Sottolinea un decadente processo di “standardizzazione” quando afferma che “la vita intellettuale si svolge in semi clandestinità, in posti remoti, nelle università dove si scrivono libri che poi saranno pubblicati dalle university press. Ma gli intellettuali sono scomparsi dai media mainstream, dai grandi giornali, dalla televisione. Certo, fra loro ci sono le celebrità, ma questo tipo di mercato non può avere tanti intellettuali, una pluralità di voci”.
In Cultura karaoke l’autrice aveva esteso il concetto a indicare metaforicamente tutto ciò che implica narcisismo, esibizionismo insieme con “la necessità nevrotica dell’individuo di lasciare un’impronta sulla superficie indifferente del mondo”.
In questo libro Ugrešić continua – con uno sguardo ironico e dolente che filtra la rabbia per la fine violenta e fratricida della Jugoslavia – a usare la sua “macchina fotografica interiore” per cogliere momenti, immagini “colte in movimento” dell’Europa odierna, in particolare quella dell’Est, per restituirla in color seppia trovandola come sepolta dai suoi miti ormai ridotti a icone consumistiche. Nel romanzo Il ministero del dolore, aveva narrato di un’ insegnante di serbo-croato fuggita dai massacri dell’ultimo conflitto balcanico, che ad Amsterdam insegna letteratura a giovani ex jugoslavi e crea un gioco della memoria: raccogliere in una borsa immaginaria gli oggetti mentali, i ricordi per conservare qualcosa di un paese che non c’è più, una forma di museo personale nella frammentazione di linguaggio e identità. Oggi invece si possono acquistare calzini-souvenirs con la firma e l’effigie di Tito, perciò nel “capitalismo predatorio postjugoslavo” la nostalgia “ha perso la sua carica sovversiva, non è più un movimento di resistenza personale”: invece di essere la chiave per un’indagine seria, per una migliore comprensione del socialismo jugoslavo, generatore di una memoria produttiva per il futuro, la jugonostalgia si è trasformata in un prodotto di consumo privato di immaginazione emozionale, ormai “un’efficace strategia di conciliazione e oblio”.
Ugrešić ha abbandonato il paese per difendere i suoi testi da ristrette letture nazionali, etniche, di genere, l’ha fatto “per la libertà”: una simile dichiarazione si addice ai contestatori ribelli, ma quando esce da una bocca femminile, gli ascoltatori “alzano gli occhi al cielo”come fosse la battuta di una “soap intellettual-kitsch”. In realtà è stata la Jugoslavia separandosi in varie parti ad averla abbandonata: “con violenza i nuovi piccoli paesi si spartivano gli abitanti dividendoli in base gruppo sanguigno – un’umiliazione difficile da sopportare”, così era partita portando con sé la lingua.
Mentre ci si occupa ossessivamente dei problemi dell’identità letteraria, storica, nazionale, etnica ed europea, una vasta zona grigia di letteratura non territoriale cresce negli interstizi letterari europei (e non solo). Questa zona è abitata da autori – sostiene Ugrešić – “etnicamente inautentici”, migranti, scrittrici in esilio, scrittori che appartengono simultaneamente a due culture, autori bilingui che scrivono “né da qui né da lì”, in ogni caso oltre i confini dellem loro letterature nazionali. Molti scrittori europei “etnicamente puri” si coccolano il loro polveroso concetto di letteratura nazionale, godendo come topi nel formaggio, dove però i buchi stanno diventando sempre più grandi: chi avrebbe anche solo sognato che Lolita si sarebbe svegliata un giorno a Teheran (Ugrešić 2009)?
L’autrice vive così in una zona letteraria Out of Nation, una ON-zona, cittadina di una letteratura transnazionale che attraversa generi, miti e culture con incroci linguistici ed uno sguardo critico. Se dunque aumentano giovani scrittori e scrittrici che usano le lingue dei paesi che li ospitano, tuttavia le trappole ci sono, ed anche la sua posizione può diventare esotica ed attraente con la dicitura di “scrittrice croata che vive ad Amsterdam”, mentre ogni etichetta è solo un’interpretazione testuale semplificatrice, quasi sempre fuorviante. In mezzo a queste macerie anche la letteratura sembra aver perso importanza, e gli scrittori sembrano presi solo da eventi come lo zoo dei festival della letteratura.
I motivi più frequenti della protesta artistica e intellettuale – fascismo, nazionalismo, xenofobia, violazione dei diritti umani e simili – sono stati pervertiti dalla voracità del mercato, allora forse la sua ON-zona è una tenda fragile innalzata tra i giganteschi grattacieli di una nuova cultura corporativa: è diventata insieme ad altri una “senzatetto”? Ma Ugresic continua a scrivere dalla “terra di nessuno” mandando messaggi in bottiglia e contrastando il tempo post-utopistico in cui “i concetti svolazzano intorno a noi come vecchie bandiere smangiucchiate dalle tarme”, e in pochi credono ancora nella democrazia, nella giustizia, nei diritti.
Dubravka Ugrešić, Europa in seppia, Nottetempo 2016, pp. 349, euro 18,50 , Il ministero del dolore, Garzanti 2007 , “Cosa c’è di europeo nella letteratura europea?”, Nazione Indiana 5 nov. 2009 on line,Cultura karaoke, nottetempo 2014
Dubravka Ugrešić Nasce a Kutina, nella Regione di Sisak e della Moslavina – nella parte interna della Croazia – al tempo della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Studia Letteratura e Russo a Zagabria, frequentando parallelamente un corso di Filosofia e interessandosi successivamente ai Diritti dell’Uomo che, secondo lei, la Jugoslavia non prende abbastanza in considerazione.
Esordisce come scrittrice nel 1971 con il romanzo Mali plamen, cui seguono Filip i sreća, Poza za prozu e Nova ruska proza. Ottiene il successo sperato solo nel 1981 per Štefica Cvek u raljama života (tradotto in Inglese con il titolo Steffie in the Jaws of Life, Stefania nella mascella della vita), romanzo ironico d’impronta post-modernista; nel 1984 il regista croatoRajko Grlić ne trae un film, U raljama života.
Avendo scritto in precedenza articoli canzonatori per diverse riviste, nei quali critica il nazionalismo e la guerra ormai prossima – si tratta del sanguinoso conflitto che sconvolge i Balcani dal 1991 al 1995 -, viene etichettata come traditrice, nemico pubblico, “strega”. Per questo deve lasciare la Croazia nel 1993 per i Paesi Bassi: ancora oggi, sebbene la Jugoslavia non esista più, vive ad Amsterdam.
Nel 1999 le è stato conferito l’Österreichischem Staatpreis für Europäische literatur dal Governo austriaco, confermandosi così tra gli autori europei più noti, come, prima di lei, Kundera, Salman Rushdie, Aitmatov, Ilse Aichinger e Tabucchi. Nel2004, inoltre, ha vinto anche il Premio Feronia a Fiano