Due donne e un patto temerario
Riceviamo e accogliamo l’invito alla pubblicazione della seguente lettera aperta a Concita De Gregorio non pubblicata su “l’unità” in merito al film “Viola di mare”, attualmente in visione nelle sale cinematografiche.Mi permetta, innanzi tutto, di esprimerle il mio consenso per i suoi recenti interventi in televisione, la mia stima di lettrice dei suoi libri e del suo giornale. Ma non so come esprimere il mio disappunto e la mia incredulità, condivisi da numerosi amici e amiche, rispetto alla recensione di {{Crespi}} [{Il pasticcio “Viola” di Donatella Maiorca} “l’unità”, 17 ottobre 2009, pag. 39] e al suo incomprensibile livore su un film bello e coraggioso come {{Viola di mare}}.
_ Una voce dissonante e fuori dal coro di approvazioni, sia della stampa (cito tra tutti l’autorevolezza di {{Natalia Aspesi}}) che del pubblico, prova ne sia il successo del film al botteghino, con sale affollate da spettatori attenti, coinvolti e plaudenti.
Ottima ma povera {{prova di misoginia}}, quella di Crespi, misoginia che trasuda dalle righe e dietro le righe della sua critica, lo avvertirebbe anche la meno consapevole delle lettrici e il meno accorto dei lettori. Sappiamo che l’impulso misogino è violento e irrefrenabile, non ha colore politico e si aggira pericolosamente in questo nostro povero paese, oggi più che mai; ma facciamo fatica ad accettarlo quando si leva dalle pagine di un giornale come l’Unità, con l’aggravante di avere un direttore di sesso femminile e anche “consapevole”.
“Schermi al femminile”, esordisce Crespi nel suo articolo, ponendo subito il cinema a firma femminile nella riserva del genere o meglio dire, del sottogenere di film di “donne, su donne, per (non solo) donne”, un “non solo”, forse, per qualche buon uomo di buona volontà che conceda il suo sguardo benevolo.
_ Il buon Crespi continua il suo attacco appellandosi alla inverosimiglianza della storia. Ma si sarebbe dovuto documentare meglio, perché la storia non è solo verosimile, ma vera. Questo si è detto e scritto dappertutto ed è proprio sulla verità dei fatti che hanno sapientemente lavorato la {{Maiorca}} e gli sceneggiatori. La regista “pasticciona”, – ma nessuno è perfetto! – non voleva affatto, cosa ben chiara nel film, fare un film “fantastico e surreale” come le suggerirebbe Crespi. Ma {{un film realissimo su una storia altrettanto reale}}. Egli è ancora in errore quando legge il lavoro di {{Maiorca}} come “film sul travestitismo psicologico e sessuale”. Suggerirei, a tal proposito, più che Shakespeare, di scomodare la numerosa letteratura (Woolf, Eliot, Attanasio…) e il cinema (Arzner, Greenwald…) che ci hanno dato opere magistrali sull’uso dell’identità maschile, da parte delle donne, come lotta o strategia ai limiti loro imposti dalle società patriarcali. E’ troppo evidente che {{nel travestitismo, imposto e non voluto, della protagonista di Viola di mare, Angela, non c’è alcuna perversione edonistica ma solo una tra le più antiche e praticate strategie femminili di sopravvivenza sociale.}} E’ questo e solo questo il senso chiaro del film.
Due donne, amandosi, stabiliscono un patto temerario, {{il massimo della disobbedienza in un sistema patriarcale,}} eteronormativo il cui potere è assicurato dalla separatezza tra le donne, il ricatto affettivo, la manipolazione del desiderio, l’uso dei loro corpi e delle loro menti. Film di grande modernità, mi sembra, quello di Maiorca, con un valore aggiunto che risiede nella battaglia di Angela, contro l’ingiustizia sociale.
Nel film, oltre alla {{bella fotografia}} di una Sicilia che passa attraverso i sensi, tra le cose più lodate dalla critica e dal pubblico, ci sono, le {{“schitarrate rock” e l’ottima tecnica di ripresa}} che tanto hanno disturbato Crespi. Anche queste, ahimé, a mano femminile, come la produzione e gran parte del cast tecnico. Per non dire della bravura di {{Isabella Ragonese}} e del consenso tributato alla forza interpretativa di {{Valeria Solarino}} che Crespi ha giudicato investita di un ruolo superiore alle sue forze.
Insomma, oggi come ieri, ci sono chiari i motivi della sua critica, possiamo solo suggerirgli di rivedere il film con occhi puliti da pregiudizi e forse ne coglierà il valore.
Spero che “l’Unità” voglia tributare a quest’opera che ha suscitato, in una Italia di veline sculettanti, tanto interesse e accesi dibattiti, il suo giusto merito. Non fosse altro che per il fatto di essere arrivata in un momento così socialmente e politicamente oscuro, in cui la bocciatura della legge contro l’omofobia è chiara testimonianza.
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