Due lettere aperte al ministro della Salute Speranza: una sull’aborto farmacologico in Umbria, l’altra sulla ascientifica “sindrome di alienazione parentale”
LA LETTERA DELL’UDI CATANIA
Caro Ministro,
siamo le donne dell’UDI Catania, da sempre impegnate a difendere i diritti e le libertà delle donne e a combattere ogni forma di illegalità. Desideriamo dirle con assoluta chiarezza che siamo indignate per l’iniziativa assunta dalla Presidente della Regione dell’Umbria, volta a costringere le donne che scelgono l’aborto farmacologico a subire un ricovero ospedaliero di almeno tre giorni. Come dire che il “peccato” si paga. È insopportabile! Anche perché a pagare sono innanzitutto le donne più fragili: giovani donne, immigrate, senza lavoro, ecc.
Le chiediamo non solo di rintuzzare con forza questo ennesimo attacco alla legge sull’aborto, ma di fare valere il diritto fondamentale delle donne all’autodeterminazione con riguardo agli atti e alle pratiche mediche che riguardano il loro corpo. Lo dice, innanzitutto la nostra meravigliosa Costituzione e lo ribadisce nello specifico, la legge 194, della quale chiediamo ancora oggi la piena attuazione.
Le chiediamo di richiamare la Presidente e tutti gli altri Presidenti di Regione a rispettare le leggi dello Stato e a non ritenere di disporre di un potere che non hanno: incidere con i loro provvedimenti sui diritti fondamentali delle persone. La recente esperienza vissuta in tempo di Coronavirus ha destato, sul punto, e non solo in noi molte preoccupazioni.
È utile intervenire sulle linee guida? Lo si faccia subito, come da Lei proposto; ben sapendo che gli atti di indirizzo non possono in nessun modo entrare in conflitto con le norme di legge, la cui attuazione devono favorire.
Le chiediamo, infine, di difendere il valore prezioso della laicità dello Stato, quale Ministro di tutti gli italiani.
È tempo che ognuno faccia la propria parte, noi ci proviamo.
La ringraziamo sin d’ora per le azioni intraprese e per quelle che si renderanno necessarie per la difesa dei
”livelli minimi” della civiltà e della democrazia, nello spirito che anima il movimento delle donne: cambiare e migliorare la vita delle donne per cambiare e migliorare la vita di tutti.
Catania 18 giugno 2020
UDI Catania
Giovanna Crivelli – Adriana Laudani
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LETTERA APERTA AL MINISTRO DELLA SALUTE A PROPOSITO DELL’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE N. 4-02405 E RICHIESTA DI INCONTRO
Al Ministro della Salute
p.c. alla Senatrice Valeria Valente
Gentile Ministro, Nella Sua risposta all’interrogazione parlamentare n. 4-02405 Lei dice di voler ribadire la bocciatura della PAS, Parental Alienation Syndrome, definita “ascientifica” da tutta la Comunità Accademica Internazionale, ma poi inserisce elementi che finiscono per contraddire l’assunto iniziale di grande rilevanza, inficiandone così la portata. Riteniamo pertanto, come madri e come associazioni che si occupano di difesa delle donne madri vittime di PAS e di trattamenti sanitari disumani, di mettere in rilievo alcune criticità che rischiano di offuscare la determinazione, che per altro apprezziamo, con cui Lei ha affrontato il tema dichiarando in primis la non scientificità della sindrome di alienazione genitoriale.
La prima criticità che rileviamo è che non esiste nel DSM5 da lei nominato nessuna configurazione di un disturbo di alienazione parentale o genitoriale. «… si è ritenuto che l’esclusione o l’alienazione di un genitore non corrisponda a una sindrome, né a un disturbo psichico individuale definito, ma piuttosto a un disturbo della relazione tra più soggetti, una relazione disfunzionale alla quale contribuiscono il genitore alienante, quello alienato e il figlio/la figlia, ciascuno con le sue responsabilità e con il proprio “contributo”, che può variare caso per caso.»
Non solo la PAS non compare nei manuali ( DSM-5 e ICD 11) e non ha quindi patente di scientificità ma anche non compare in questi manuali alcun disturbo relazionale; pertanto non vi è un crisma di scientificità neanche per un costrutto che vada sotto il nome di “disturbo relazionale” tanto meno ha senso, a valle di questo pseudo disturbo, parlare di relazione disfunzionale con responsabilità varie di soggetti alienanti, là dove è di tutta evidenza che parlare di soggetti alienanti fa rientrare dalla finestra ciò che si voleva escludere dalla porta e cioè proprio la sindrome di alienazione parentale.
Altra criticità è la seguente: «La comunità scientifica sembrerebbe concorde nel ritenere che l’alienazione di un genitore non rappresenti, di per sé, un disturbo individuale a carico del figlio, ma un grave fattore di rischio evolutivo per lo sviluppo psicologico e affettivo del minore stesso.» Un “grave fattore di rischio evolutivo” non può che essere specificamente definito in medicina ed in psicologia in rapporto ad una qualche condizione patologica attuale o futura; e per converso il trattamento proposto deve chiarire in che modo il rischio viene superato. Di tale incongruità parla la Cassazione rigettando il procedimento di appello (Cassazione civile, sez. I, sentenza 16/05/2019 n° 13274) e precisando che: ” “La Corte d’appello ha dato risalto alla diagnosi di sindrome da alienazione parentale formulata dai consulenti tecnici, fondata sul comportamento materno, ritenuto idoneo a generare ‘un conflitto di lealtà nella prole, che può dare fondamento alla diagnosi di alienazione del figlio nei confronti del padre’. La decisione impugnata non spiega poi per quale ragione l’affidamento in via esclusiva al padre previo collocamento temporaneo dello stesso in una comunità o casa-famiglia, costituirebbe l’unico strumento utile ad evitare al minore un più grave pregiudizio ed ad assicurare al medesimo assistenza e stabilità affettiva”.
Il famoso rischio evolutivo di cui qui si parla, null’altro sarebbe che il rischio di alienazione del bambino dal padre (rischio che come la sindrome non ha alcuna base scientifica), in questo modo faremmo rientrare dalla finestra ciò che avevamo escluso potesse entrare dalla porta: l’alienazione parentale come sindrome/disturbo (che avevamo detto non esistere nel panorama scientifico).
La PAS prevede sia nella definizione originaria, sia in tutte le altre definizioni, che il rifiuto del minore sia sempre frutto di una manipolazione del genitore (nel 90% dei casi la madre collocataria) senza mai argomentare come il rifiuto del bambino sia diretto verso il genitore da cui è stato in qualche modo maltrattato e di cui ha paura (come succede di regola in tutti i casi di violenza domestica a cui il bambino assiste inerme riportando effetti deleteri per la propria salute); in questi casi sia la PAS sia tutti gli altri costrutti derivati dalla PAS non danno mai credito all’ascolto, alle volontà ed alle parole del minore bollato come inattendibile in quanto ‘alienato’ o ‘condizionato’ dalla madre. Questo avviene nelle CTU che vengono redatte ai fini delle decisioni per l’affido dei minori, in caso di separazioni giudiziali denominate impropriamente ad ‘elevata conflittualità’, là dove invece dietro questo termine si nasconde quasi sempre la violenza domestica contro donne e minori. E ancora: «Sembra quindi che la PAS sia meglio definita come un “Disturbo del comportamento relazionale” e non come una sindrome.» Qui si riafferma il concetto di PAS, già definita in precedenza come priva di validità scientifica, ma si suggerisce di chiamarla in altro modo. Ma cambiarle il nome non è sufficiente a darle scientificità. E inoltre, non esiste l’espressione “disturbo del comportamento relazionale” nei testi da lei citati che sono i riferimenti comuni a DSM-5, ICD 11. Poi viene data una definizione di problema relazionale che non troviamo nel DSM-5: «Il DSM 5 definisce i problemi relazionali come “modelli persistenti e disfunzionali di sentimenti, comportamenti e percezioni che coinvolgono due o più partner in un importante rapporto personale”.»
In definitiva il costrutto della PAS o della AP (alienazione parentale) non ha mai trovato nei manuali scientifici una sua collocazione nelle varie formulazioni che di volta in volta i suoi sostenitori hanno cercato di accreditare. Parliamo anche di costrutti che vanno oltre la PAS e l’AP che partono da attribuzioni alla donna di essere madre malevola ( un’altra pseudo teoria di un certo Turkat) madre ostativa, madre simbiotica, madre generatrice di conflitto di lealtà, che finiscono tutte per individuare una situazione tipicamente descritta da Gardner di un padre accusato di abusi, di un figlio che rifiuta il padre, le cui ragioni del rifiuto sono attribuite alla presenza di una madre ‘cattiva e manipolatrice, alienante’ che opera con ogni mezzo (consapevole o inconsapevole, perché anche l’inconscio viene presentato in tribunale come prova!) per ostacolare il padre nel suo diritto ad accedere al figlio. Infine tale costrutto, in tutte le sue varie declinazioni e sinonimi, è utilizzato soprattutto per occultare la violenza contro le madri e ribaltare così i ruoli di vittima e carnefice: il rifiuto del bambino verso un padre violento diviene il rifiuto indotto da una madre non più vittima di violenza ma alienante!
Al livello internazionale, infatti, PAS ed AP vengono considerati strumenti che i padri maltrattanti/abusanti ed i loro avvocati utilizzano abitualmente nei processi di abuso e violenza, per bypassare ogni tipo di accertamento su di sè e dirigere l’attenzione esclusivamente sulle madri, per di più tartassandole per anni e anni e costringendole a difese onerose. Le giriamo a questo riguardo quanto l’APA (associazione degli psicologi americani) dice a proposito:
“La maggior parte delle vittime di violenza familiare avrà qualche contatto con il sistema legale che non è ben organizzato per gestire tali casi.
Molte donne maltrattate si trovano in posizioni pericolose perché i tribunali spesso non danno credito o peso sufficiente a una storia di violenze dei partner quando devono prendere decisioni sull’affidamento dei minori e sul diritto di visita. Gli abusi al momento e dopo la separazione sono così gravi che i tribunali devono prestare attenzione ai modi per mantenere più sicure le donne maltrattate (Abuse at the point of and after separation is so serious that courts must pay attention to ways of keeping battered women safer). I ricercatori indicano che l’uso della mediazione non è appropriato quando la violenza familiare è un problema. Le decisioni in materia di affidamento e visita dei minori devono essere prese con la piena conoscenza della precedente violenza familiare e il potenziale rischio successivo” (APA, 1996). 1 . “I tribunali familiari spesso riducono al minimo l’impatto dannoso che i bambini assistono alla violenza tra i genitori e talvolta sono riluttanti a credere alle madri. Se la corte ignora la storia della violenza come contesto per il comportamento della madre in una valutazione di affidamento, può apparire ostile, non collaborativa o mentalmente instabile. Ad esempio, può rifiutare di rivelare il suo indirizzo o può resistere a una visita senza sorveglianza, specialmente se pensa che suo figlio sia in pericolo. I valutatori psicologici che minimizzano l’importanza della violenza contro la madre, o patologizzano le sue risposte ad essa, possono accusarla di alienare i figli dal padre e possono raccomandare di dargli la custodia nonostante la sua storia di violenza. Alcuni professionisti ritengono che le accuse di abuso fisico o sessuale di minori che insorgono durante le controversie di divorzio o di custodia siano probabilmente false, ma la ricerca empirica fino ad oggi non mostra un tale aumento delle false notizie a quel tempo. In molti casi, i bambini hanno paura di stare da soli con un padre che hanno visto usare la violenza nei confronti della madre o di un padre che li ha abusati. A volte i bambini chiariscono alla corte che desiderano rimanere con la madre perché hanno paura del padre, ma i loro desideri vengono ignorati.”
E ancora la PAS e le sue articolazioni di alienazione parentale e disturbo relazionale sono state rifiutate dal contesto internazionale e nazionale oramai in maniera definitiva ed inappellabile (dai più chiamata anche junk science, scienza spazzatura) per cui non abbiamo bisogno di istituire comitati di esperti tesi alla riabilitazione di questo costrutto, che al di là di ogni disquisizione tecnica, è LA NEGAZIONE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE come emerge da tutte le CTU che accompagnano le sentenze, che affermano che i trascorsi violenti non incidono sui diritti alla genitorialità e che un padre che maltratta la madre può essere un buon padre, addirittura migliore della madre visto che a lui viene poi dato l’affido esclusivo. Questo è il punto su cui noi, avendo letto l’interpellanza a LEI presentata, pensavamo di instaurare con il Suo Ministero un dialogo sulla tutela dei diritti alla salute dei minori e delle madri vittime di violenza come per altro prescrive la Convenzione di Istanbul. Ciò al fine di giungere a risultati concreti che modifichino le prassi finora seguite dai tribunali che invece aderiscono ai costrutti ascientifici attraverso i loro consulenti e non rispettano la Convenzione anteponendo ad essa (nei casi di violenza) il così detto ‘diritto alla bigenitorialità’. A noi oggi preme anche sottolineare però, insieme alla PAS, quelle che sono le conseguenze della PAS e delle altre diagnostiche. Le conseguenze di queste diagnosi insussistenti portano tutte ad un trattamento (indebitamente affrontato dai tribunali) su cui la struttura sanitaria, con le sue articolazioni a partire dai pediatri di base, è l’unica titolata ad intervenire nel rispetto dei diritti alla salute dei minore. Gardner (inventore della PAS) ha abbinato alla PAS un trattamento che si chiama Transitional Site Program4 , per cui tutte le diagnosi – chiamate nei modi più disparati come anzidetto e non solo PAS o alienazione parentale- portano a questo programma e sono pertanto qualificabili coma PAS. Quindi Lei deve sapere che dovunque un consulente consiglia al tribunale questo trattamento siamo sempre e solo nel dominio della PAS che lei giustamente ha rigettato. Come Ministro della salute auspichiamo che non voglia avallare trattamenti di deprogrammazione che richiamano alla memoria torture e campi di prigionia e concentramento ; sui propugnatori di questi trattamenti disumani e degradanti faremo tutti i nomi per il loro deferimento ai rispettivi ordini professionali. Questo trattamento è contrario al codice etico dell’associazione degli psicologi Americani quando afferma: Secondo gli standard etici dell’APA, gli psicologi devono rispettare e tutelare i diritti umani e civili ed in particolare: ” Il diritto alle proprie convinzioni è considerato il più fondamentale dei diritti umani. Il confinamento lontano da genitori e amici in un ambiente non familiare di un bambino che non ha commesso nulla di male, al fine di costringerlo ad adottare un nuovo sistema di convinzioni, può violare i suoi diritti civili fondamentali”.
PROPRIO DA QUESTO PUNTO VOGLIAMO RIPARTIRE, come madri ed associazioni, dalle Sue competenze come Ministro della salute, che devono valere avocando a sé ogni questione sanitaria (trattata indebitamente dai tribunali, come le sentenze di Cassazione hanno peraltro affermato) che deve transitare nel SSN nel rispetto della legge 833. Nel rispetto anche degli articoli 33/35 della legge là dove si vuole mettere mano a trattamenti sanitari obbligatori. “Questa cosiddetta “terapia” ricorda il tipo di tecniche di lavaggio del cervello usate nei campi di prigionia dove la privazione e l’isolamento sono usate per costringere false confessioni e per forzare i cambiamenti ideologici nei prigionieri. Mentre queste tecniche possono produrre cambiamenti nella credenza e nel comportamento, siamo preoccupati che queste tecniche siano dannose per la salute mentale dei bambini. Uno dei pericoli concreti di questo tipo di terapia è che è stata usata per costringere i bambini a riunificarsi con adulti che hanno commesso crimini violenti contro di loro, mettendo così i bambini a rischio di ulteriore vittimizzazione.
Il Consiglio direttivo ha parlato con diverse vittime di questo tipo di terapia che sono state traumatizzate dal trattamento” questi devono essere motivati in modo appropriato sul piano diagnostico/ prognostico e devono essere prescritti, non da consulenti dei tribunali, ma dai medici in via autonoma e libera (la professione medica non è subordinata all’AG ma vive di propria autonomia nel rispetto del giuramento ippocrateo) ed in primis dai medici di prossimità che conoscono la storia del paziente adulto o minore. Ma soprattutto, vogliamo sottolineare che questi trattamenti devono essere esclusi dai tribunali e esclusi da finalità di pseudo-cura del rifiuto del bambino verso un padre, nella generalità dei casi, maltrattante. Abbiamo sottolineato tutte queste criticità della Sua risposta, per poi passare a parlare di noi e delle nostre esperienze dolorose di madri di figli sottratti o di figli in procinto di essere sottratti e Le diciamo, al di là dei manuali, per esperienza diretta che i bambini allontanati da noi madri, a cui viene attribuita una qualsiasi diagnosi fantasiosa (madri ostative, rancorose, simbiotiche, alienanti , malevole, ecc.) subiscono tutti lo stesso trattamento, che è quello previsto da Gardner per la presunta sindrome di alienazione parentale. Si tratta di un prelievo forzoso e repentino dei nostri bambini (o si tratta di minacce da parte dei giudici e tribunali di portarci via i nostri figli perchè alienati da noi) preferibilmente a scuola, quando non siamo presenti a tutelarli, ed il loro successivo collocamento in una struttura intermedia (il famigerato transitional site pogram di Gardner) per decondizionarli da presunte manipolazioni nostre prima di essere ricollocati presso il padre che rifiutano o di cui hanno paura (quasi sempre per maltrattamenti o abusi pregressi diretti o assistiti da parte dei padri, spesso denunciati per questo quando non anche condannati). Se noi madri dopo questo prelievo forzoso dei bambini, non ammettiamo le nostre colpe (una moderna forma di inquisizione) ovvero non ammettiamo (a parere dei periti del Tribunale i famigerati CTU) di aver inculcato nei figli l’odio verso il padre e non ci mostriamo collaborative con i servizi sociali (incaricati dal tribunale di monitorare gli incontri tra noi ed i nostri figli, una volta che li hanno portati va in quel modo barbaro) e non ci assumiamo la piena ed esclusiva responsabilità di aver alienato il figlio al padre (e quindi avallando la PAS), non ci saranno concessi incontri o incontri liberi con i nostri figli per mesi o anni ed anni. Un caso per tutte, la vicenda di Ginevra Amerighi, privata della bambina quando aveva 18 mesi che da allora ad oggi, dopo circa 10 anni, non l’ha più rivista né sentita neppure al telefono e con lei tutta la famiglia del ramo materno. Ciò in antitesi all’uomo condannato all’ergastolo per femminicidio (trasmissione ultima di storie maledette) autorizzato dal tribunale a intrattenere rapporti epistolari liberi con la figlia che liberamente a sua volta può frequentare il ramo paterno. Se noi quindi non mostriamo di aver sviluppato una adesione al trattamento disposto dal tribunale (se ad esempio qualcuna di noi continua a sentirsi vittima di ingiustizia e se percorre altre vie giudiziarie per chiedere giustizia per sé e per i figli) potremo non vedere il bambino per mesi o per anni o per sempre, o essere sospese o decadute per ordine del Tribunale dalla responsabilità genitoriale senza che nessuna di noi abbia mai fatto del male ai propri figli. Molte volte gli stessi giudici ed i CTU ci dicono che le nostre denunce mostrano che siamo ancora conflittuali (alias non siamo guarite dalla PAS) e fin quando non siamo vinte e piegate sotto l’ingiustizia non rivedremo i nostri figli o non li vedremo in libertà. Alcune di noi hanno urlato sotto un servizio sanitario in Puglia a Maglie (luogo scelto per prelevare forzosamente un bambino in alternativa alla scuola): ‘DONNE NON DENUNCIATE LA VIOLENZA SE NO VI PORTANO VIA I FIGLI”. A noi è proibito per un periodo vedere e sentire i figli, fin quando non li ‘decondizionano’ e poi ci assegnano visite super-protette; ma diversamente da quello che accade ai padri maltrattanti (per i quali dopo pochi incontri protetti sono subito predisposte visite libere) , le nostre sono visite protette senza un termine, sine die; visite diradate nel tempo (una volta ogni settimana/15 giorni/un mese), per un’ora ogni volta , sotto la stretta sorveglianza di uno o più operatori (una sorta di 41 bis). Molte di noi non ce la fanno a resistere sotto questa tortura…è 6 una strage di madri…eppure sono,siamo madri, professioniste, insegnanti apprezzate che hanno vite normali, che hanno allevato i loro figli nella massima cura, eppure siamo trattate come pericolose criminali, senza che abbiamo mai commesso un reato o null’altro contro i nostri figli (che risultano sempre ben cresciuti ed inseriti a scuola e nel contesto sociale, all’atto in cui ce li sottraggono e che infatti chiedono di essere lasciati a vivere con noi) o contro il partner da cui ci siamo solo difese quando era violento; eppure siamo trattate come malate mentali senza che mai un servizio sanitario interpellato (DSM) abbia confermato l’esistenza di una patologia in noi (anzi perfino quando è stata accertata l’assenza di psicopatologie per madri e figli già sottoposti a questi TSO). Patologia che invece allegramente i CTU, gli psicologi che si autoproclamano forensi per l’appartenenza a società private di psicologia giuridica, ci attribuiscono sempre sub specie di alienazione parentale. E tutto questo accade partire da una diagnosi di PAS (o similari) che Lei ha stigmatizzato come non scientifica. Si renderà conto Signor Ministro come sia importante valutare, con gli strumenti della ragione e della scienza, nel campo che i tribunali abusando di un potere che non è il loro occupano, questo pseudo percorso diagnostico terapeutico, fuori delle regole della comunità scientifica, di cui l’interpellanza Le chiedeva conto e su cui chiedeva un Suo intervento.
Ecco Ministro non la chiamiamo neanche più PAS, se i nostri aguzzini (tribunali e consulenti) le cambiano il nome continuamente, ma possiamo sempre identificarla, perché serve solo ad allontanare i bambini che stanno bene e sereni con noi madri, spesso vittime di violenza domestica; bambini che temono giustamente i padri maltrattanti, e che non vogliono essere allontanati dalle loro madri; non chiamiamola PAS, non serve darle un preciso nome, Lei può identificarla ogni volta quando si trova davanti un reclamo per un trattamento sanitario obbligatorio improprio, quando prelevano un bambino spaventato e urlante dalla scuola sotto gli occhi stravolti ed impauriti dei compagni ( il caso del bambino di Cittadella, docet) per allontanarlo dalla madre.
Per tutti questi motivi, desideriamo incontrarLa e portarle i nostri casi concreti perché i minori devono esser e protetti nel bene salute mentre i prelievi forzosi, di questi TSO striscianti, sono altamente traumatici per loro ed il loro sviluppo. Un trauma certo ed attuale sono questi prelievi e, questi sì, sono anche un rischio accertato per il loro sviluppo futuro. Il trauma del prelievo forzoso è ampio perché con esso il bambino non è solo allontanato da una madre con cui sta bene (e ciò è già gravissimo) ma è anche allontanano improvvisamente dai luoghi conosciuti (scuola, famiglia allargata, dagli amici, sport, dalle sue consuetudine, dal suo domicilio). E’ questo il tema che noi leggiamo nell’interpellanza Valente che noi condividiamo e che costituisce oggi per noi madri rivittimizzate nei tribunali e donne delle associazioni, il terreno comune su cui interagire anche con l’organizzazione di un tavolo di interlocuzione permanente tra istituzioni e madri, ma dentro un luogo di politica delle donne, perché la PAS non è solo un costrutto a-scientifico ma anche una grave discriminazione contro le donne (discriminazione di cui vi è chiara traccia anche in ricerche dei c.d. psicologi giuridici esperti sulla PAS che , guarda caso, riguardano solo le donne).
Su questo tema per cui è stata a Lei proposta l’interpellanza, noi oggi LE CHIEDIAMO, quale organo istituzionale preposto alla tutela della salute dei cittadini e delle cittadine, UN INCONTRO URGENTE per porre fine ad una procedura sanitaria (diagnostica e trattamentale) che non ha nessuna finalità di cura, che contraddice all’abc dei codici deontologici delle professioni sanitarie il cui primo fine è non nocere, che contrasta con le leggi vigenti in Italia sul trattamento sanitario obbligatorio e l’art. 32 della nostra Costituzione.
Associazioni firmatarie:
Comitato Madri Unite Contro la Violenza Istituzionale,
Arci Donna Napoli,
CPO ANM,
Donne insieme,
Mai più violenza infinita,
Protocollo Napoli,
Salute Donna,
Sudestdonne,
Udi Napoli
Aderiscono:
Collettivo Luna Rossa
Associazione Terra di Lei
Comitato One Billion Rising Napoli
Comitato No Pillon
Laura Di Mascolo, psicologa psicoterapeuta
Eleonora Bisaccia, sociologa
Verginia Ciaravolo, Mai più Violenza infinita,
Gaetana Castellaccio-Cooperativa sociale Dedalus
Manila Del Giudice, operatrice antiviolenza Cooperativa sociale Dedalus
Anna Gorrino, insegnate
Guido Nieddu, informatico
Erika Nieddu, farmacista
Marisa Porzio, Ginecologa
Angela Mona, grafologa
Rotondo Rosaria, insegnante
Eleonora De Nardis, giornalista
Marianna Guarino, dirigente scolastico
Marigliano Antonella, insegnante
Vittoriana Amoroso, avvocata
Alfio e Angelica Romano, Associazione un ponte per
Roberta Alfano, counselor
Dina Speranza, Ass. Donne Insieme
Rosaria Esposito, Ass. Maddalena
Teresa Potenza, funzonaria banca
Avv. Maria Pia De Riso
Avv. Gabriella Gensini
Avv. Barbara De Francesco
Segretaria Federico II Serena De Stefano
Daniela Villani, Presidente Onlus riprendiamoci napoletani
Livia Turco, imprenditrice
Elisabetta Riccardi, Ass. Le Kassandre
Titti Tidone, Mamme antismog
Ambretta Occhiuzzi, insegnante
Maddalena Verrone, operatrice sportello migranti
Maria Carillo, consorzio Matrix
Marina Galzignato, impiegata
Laura Cappiello, impiegata
Vincenza Barba, impiegata
Rita Zafano, impiegata
Simona Serretiello, op. esercizio Maria Esposito, O.E.
Loredana Montella, O.E.
Carmen Planeta, O.E.
Ester Monti, O.E.
Ester Martone, Impiegata
Lidia Salvi assistente sociale
Laura Marmorale, Operatrice sociale
Alessandra Mareto, Assistente di Studio medico
Catia Morellato, medica di PS
Annalisa Marchese Ragona, medico
Maria Teresa Pellegrini Raho, architetta e scrittrice
Maddalena Bassoli, logopedista
Paola Suttora, casalinga
Giovanna Vingelli, ricercatrice di sociologia università della Calabria
Manuela Bruschini, dirigente scolastica
Silvia Russo, sindacalista CISL e consigliera di parità provincia di Arezzo
Mari Pia Vigilante, Giraffa Onlus e Centro antiviolenza Paola Labriola
Andrea Mazzeo, Psichiatra
Maria Cinzia Morlino, insegnante
Caterina Mion, infermiera
Maria Cristina Basile, impiegata
Francesca Biasi, educatrice
Michela Soldi, impiegata
Barbara Maestrini, infermiera
Giovanni Ristuccia, presidente SOS Antiplagio
Paola Pieri
Chiara Rossini, OSS
Avv. Annalisa Lucarelli
Marta De Vitali, Casalinga
Marianna De Girolamo, operatrice mensa
Manuela Forni, imprenditrice
Giada Giunti, impiegata
Alice Arena, studentessa
Desirèe Olianas, psicologa psicoterapeuta
Adriana Mora, operaia
Emanuela Natoli, presidente asp MovimentiAMOci
Doriana Righini
Silvia Consoli, grafica
Francesca Sanfelice
Federica Cagnolati
Giulia Silla, commessa
Rossana Guarino
Chegender Community
Etmelaine Amor Almaguer, impiegata
Simona Messori
Antonella Tassitano, fisioterapista e attivista NUDM RC
Ornella Urpis, sociologa
Melissa Maestrini, infermiera
Francesca Fortuzzi, attivista diritti umani
Alessandra Mareto, assistente studio medico
Lia Aurioso, giornalista
Laura Vignali, infermiera
Betty Collura, presidente A.L.I.D.A.
Debora Pasini, studentessa
Antonia Murgo, psicologa
Cristina Canale, operatore sociale
Bianca Trupiano, docente
Anna Lucia Peis, casalinga
Valentina Guidi, attivista di diritti civili e imprenditrice
Katia Tarsia, architetto
Romina Romiti, ass. alla comunicazione
Vincenza Aruta, Associazione Donne insieme Arzano
Raffaella Micale, pensionata
Avv. Marina Bocci
Rosaria Battaglia, presidente Associazione Penta
Grazia Biondi, attivista e presidente Ass. Manden-diritti civili e legalità
Erika Xotta, insegnante
Rita Ricciardelli, Avanguardia femminista Collettivo Stefania Noce
Simona Adelaide Martini, psicologa psicoterapeuta
Bruna Rucci, psicologa psicoterapeuta
Eleonora Baldo, insegnante
Sveva Rinaldi, educatrice
Iole Rita Casà, casalinga
Antonella Leo, impiegata
Melissa Proietti, impiegata
Giovanna Cacciapuoti, avvocata
Sofia Lombardi, avvocata
Sabina Tomasella, impiegata bancaria
Noemi Cammarota, psicologa
Tina Grassini, Associazione Parla con me
Silvana Aristarco, insegnante