“DUE LIBRI, UNA STORIA – quella di un campo di concentramento – ” – IL CIELO SOPRA L’INFERNOdi Sarah Helm e RAVENSBRÜCK di Ambra Laurenz
Giovedì 21 aprile sono stati presentati alla Casa Internazionale delle Donne di Roma (via della Lungara, 19) due libri riguardanti lo stesso soggetto: IL CIELO SOPRA L’INFERNO di Sarah Helm e RAVENSBRÜCK di Ambra Laurenzi. L’incontro con le autrici e con la storica Anna Foa è stato introdotto Francesca Koch. Io, Carla Guidi, ho coordinato il dibattito.
Diversi tra loro i due libri, ma con una tragedia in comune: un campo di concentramento per donne a Ravensbruck.
I due libri sono stati concepiti non solo per documentare il perché di questo campo e quanto in esso avveniva, ma anche per raccontare il coraggio delle donne che in molti casi sono riuscite a reagire a tanta violenza … due volumi per capire i perché di un silenzio durato decenni. Una cancellazione storica inconcepibile. Un lager per donne scomode, ma non solo. Fu ideato da Heinrich Himmler, l’architetto del genocidio. Un uomo fanatico dell’occulto che diede forma concreta all’idea di igiene razziale di Hitler.
Era un Campo per sole donne non necessariamente ebree. Venivano rinchiuse tutte quelle che si opponevano politicamente o facevano parte della Resistenza. molte perché erano considerate esseri inferiori: zingare, testimoni di Geova, disabili, prostitute, lesbiche, “pazze” o semplicemente indigenti.
Si trattava di un progetto non solo razziale ma antiumano, antivitale, criminale. Era stato concepito un luogo dove si praticavano sistematicamente sterilizzazioni, aborti e stupri. Poi si costringevano le donne al lavoro coatto. Le loro mani erano più adatte di quelle degli uomini per eseguire lavori precisi e veloci. Un lavoro che veniva interrotto solo dai cosiddetti esperimenti medici che fecero rivoltare Ippocrate nella tomba.
Quando infine l’Armata Rossa lo liberò nell’aprile del 1945, del Campo femminile era rimasto poco, poiché le ceneri dei corpi e delle schede identificative delle prigioniere erano state già affondate in grande quantità nell’acqua stessa del lago Schwedt (lago di Fürstenberg/Havel) e l’Armata rossa, non esente da crimini contro le donne superstiti, non documentò in alcun modo quelle ultime tracce o forse non ne conservò le immagini a futura memoria, ma viceversa occupò il Campo per scopi militari, negli anni della Guerra fredda, lasciandolo infine solo nel 1994.
Il tentativo di controllare il corpo femminile, il legame fondante tra madre e figlio è antico, ma viene il sospetto che in questo caso la segretezza del Campo servisse anzitutto a nascondere la massima vergogna e la più turpe magia nera, il tentativo illusorio di impossessarsi della matrice della creazione della vita e delle sue funzioni. Sappiamo quanto il Nazismo fosse affascinato dall’occulto, tanto che Himmler arrivò a fondare un mistico rapporto tra le SS e le leggende teutoniche di Enrico I l’Uccellatore e Federico il Grande dei quali si credeva la reincarnazione … e la magia ha sempre avuto a che fare con l’ipnosi, la forza dell’estetica dell’immaginario, perché l’altra faccia di Ravensbrück fu il progetto Lebensborn, ben strutturato e funzionante come un formicaio, dove si inserì addirittura un piano criminoso di rapimento di bambini a grandi numeri, accennato nell’ordinanza dell’inverno del 1941, qualsiasi bambino ma che avesse visivamente i tratti somatici idonei all’ideale che si voleva ottenere a rappresentare la “Razza eletta”.
Questi libri delle due autrici, che hanno fortemente voluto essere presenti insieme, hanno in comune come dicevo il desiderio di far luce sui perché e sui come di questa ennesima persecuzione e violenza sessuale inferta alle donne, ma anche spiegare i perché di questo Gap, di questo salto quantico, di questa assenza di memoria e rimediarvi attraverso scelte diverse.
Sembra veramente un’altra storia, una storia incredibile quella che qui narra Sarah Helm, con uno splendido ed asciutto stile, ricco di riferimenti ma perfettamente in equilibrio nell’esposizione, un libro finemente documentato attraverso lunghe e difficili indagini, perché il silenzio di cui si parla ha riguardato, come spesso avviene, anche le donne stesse. L’autrice narra come sia riuscita faticosamente a raccogliere le testimonianze di alcune sopravvissute, una riluttanza delle vittime a parlare che veniva percepita da loro stesse come una vergogna per quello che avevano dovuto subire, come se fosse stata una colpa. Purtroppo la violenza sessuale all’epoca era quella che balzava in primo piano, oscurando il resto, concepita socialmente come uno stigma, come una ipotetica forma di pagamento disdicevole per aver salva la vita, stigma sopravvissuto a volte fino a tempi più recenti e nel silenzio che da sempre ha avvolto il cosiddetto stupro etnico.
Per un motivo simile anche le stesse partigiane non avevano tutte sfilato nelle piazze con i loro compagni maschi al momento della liberazione, per non farsi riconoscere, per paura di non essere più accettate per aver praticato una ipotetica promiscuità sessuale. Racconta invece la Herlm anche di altre che si decisero a parlare ma addirittura non furono credute, tanto era profonda la crudeltà della quale erano state oggetto e straziante il rapporto con i loro figli uccisi o sottratti, che suscitò troppo orrore e forse vergogna in chi le ascoltava. In Unione Sovietica sembra invece che le sopravvissute rimanessero zitte per paura. Stalin pretendeva che i soldati combattessero fino alla morte, chiunque sopravvivesse poteva essere accusato di tradimento e spedito in Siberia.
Anche la Natura che Sara Helm ci fa conoscere attraverso gli occhi ed i sensi di queste donne è una Natura bellissima all’interno nei boschi a nord di Berlino, narrando anche come queste donne, viaggiando in treno e poi su camion, annusarono nell’aria l’odore del mare e sperarono in un lavoro agricolo vicino alla costa. Attraversando poi gli enormi cancelli di ferro, furono subito aggredite pesantemente da insulti, urla, latrati di cani e percosse delle guardie, perché sapessero da subito che quello era l’Inferno.
Una seconda storia all’interno del libro, è quella delle Altre donne, quelle che controllavano il Campo, spesso amplificatrici del disprezzo maschile nei loro confronti, che fecero di tutto per essere degni esemplari del Reich senza riuscirvi, ma tanto da stupire per la loro crudeltà le stesse SS.
Diversamente si narra questa stessa storia attraverso le foto poetiche di Ambra Laurenzi, lei figlia e nipote di deportate politiche nel campo di concentramento di Ravensbrück, riuscita ad illuminare con immagini questa “assenza”, questa mancanza di parole e di memoria. Con l’inserimento nel suo libro di splendide fotografie, realizzate negli ultimi dieci anni, l’autrice ha scelto di privilegiare non tanto l’immagine storica del campo, ma la sua contemporaneità, attraverso le sensazioni che il luogo sollecita oggi, percorrendolo senza smarrirne il senso ed tempo. La scelta narrativa deriva dalla convinzione che un luogo della Memoria debba essere percepito come ancora in grado di interrogarci e di stimolare un viaggio interiore nella consapevolezza. Qui hanno rappresentanza sculture e lapidi, posizionate negli anni ad esprimere i sentimenti allora negati alle deportate, il dolore, la paura e primo fra tutti quel sentimento di solidarietà che le univa in un unico grido silenzioso … Un percorso storico-narrativo sottolineato da testi curati da Aldo Pavia e brevi frasi significative o tratte dalle testimonianze delle deportate.
Non mancano le dediche alle donne sopravvissute che, dopo aver creato nel 1948 un primo nucleo di ex-deportate appartenenti a quattro diverse nazioni, hanno costituito ufficialmente nel 1965, con l’iniziale partecipazione di 11 Paesi, il Comitato Internazionale di Ravensbrück, che ancora oggi persegue i suoi obiettivi.
Dice Ambra laurenzi: “Il libro deriva dalla convinzione che i luoghi contengano per osmosi ciò che lì è accaduto …”. Non sbaglia e non è la prima persona a denunciare queste presenze … Vorrei citare a questo proposito il premio nobel Luc Montaigner che sta indagando fenomeni straordinari che evidenziano il ruolo fondamentale delle onde elettromagnetiche nella biologia molecolare, la cosiddetta “memoria dell’acqua”, (già scoperta dallo sfortunato Jacques Benveniste) e le foto suggestive Masaru Emoto che ha fotografato le deformazioni di cristalli d’acqua esposti a vibrazioni diverse. Ma per gli scettici possiamo semplicemente sottolineare la capacità dell’Arte di superare, nella sua funzione simbolica e direi terapeutica, l’angoscia assordante di questa assenza, immersa in una Natura silenziosa e bellissima. Il libro contiene foto di rocce arse, costruzioni grigie che si rispecchiano nella trasparenza del lago che sul fondo conserva ceneri, grigie anch’esse, ma riflette panorami di splendida natura dai toni pastello.
Anche il nostro Primo Levi, citato più volte dalle autrici, sembra abbia avuto con la poesia un rapporto fondamentale e di grande trasporto – “Ho l’impressione che la poesia in generale stia diventando uno strumento portentoso di contatto umano” mentre per quanto riguardava Adorno ebbe a dire “La mia esperienza è stata opposta, in quegli anni avrei riformulato le parole di Adorno: – Dopo Auschwitz non si può fare poesia se non su Auschwitz” – (Entrambe le citazioni da un’intervista di Levi con Giulio Nascimbeni, alla pubblicazione della sua silloge lirica “Ad ora incerta” – da Conversazioni e interviste 1963-1987, Einaudi 1997).
ANNA FOA ha insegnato storia moderna all’Università “La Sapienza” di Roma e ha inoltre tenuto corsi al Corso Superiore di Studi Ebraici, alla Hebrew University di Gerusalemme e all’Università Gregoriana. Si è occupata principalmente di storia sociale e culturale della prima età moderna, di didattica della storia e di storia degli ebrei. Tra i suoi libri: Ebrei in Europa dalla Peste Nera all’Emancipazione (Laterza 1992,1999), Giordano Bruno (Il Mulino 1998, 2015), Eretici, storie di streghe, ebrei e convertiti (Il Mulino 2004, 2010), Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento(Laterza 2009), Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del 1943, (Laterza 2013), Andar per ghetti e giudecche (Il Mulino 2014). Collabora a Pagine Ebraiche, L’Avvenire, L’Osservatore Romano.
SARAH HELM, autrice del libro documentario Il Cielo Sopra L’inferno (Newton Compton Editori, traduzione dall’inglese di Francesca Prencipi) vincitore del Premio UK’s Longman History-Today (febbraio 2016) dedicato a Primo Levi “se questa è una donna” – è stato così definito da fonti autorevoli – «Questo libro merita attenzione, per le straordinarie interviste e per un’ulteriore analisi del nazismo e di coloro che ne furono vittime.» Publishers Weekly – «Ravensbrück dev’essere ricordato.» The Economist – «Un racconto davvero coinvolgente.» The Guardian – «Straordinario, potente, devastante, scioccante.» The Independent – «Proprio quando si pensa di sapere tutto sui campi di concentramento, la Helm ci racconta la storia semisconosciuta di questo lager femminile.» Kirkus Reviews.
Sarah Helm, già redattrice del «Sunday Times» e corrispondente estera dell’«Independent», attualmente collabora con diverse testate. È autrice della biografia A Life in Secrets: Vera Atkins and the Missing Agents of WWII e di un’opera teatrale sulla guerra in Iraq, Loyalty. Vive a Londra con il marito e le figlie.
AMBRA LAURENZI
Fotografa dal 1983 con particolare attenzione alla fotografia di narrazione.
E’ docente di Linguaggio Fotografico e Progettazione preso l’Istituto Europeo di Design, sede di Roma e ha tenuto seminari di Storia e Linguaggio fotografico presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste.
Ha pubblicato il DVD Le Rose di Ravensbrück, Storia di deportate italiane, un racconto-documento del lager femminile di Ravensbrück, presentato in Germania, Austria e Ungheria.
Figlia e nipote di deportate politiche nel campo di concentramento di Ravensbrück, è delegata per l’Italia nel Comitato Internazionale di Ravensbrück, membro del Consiglio Nazionale dell’Aned Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi di concentramento nazisti e consigliere della sezione di Roma. Libro pubblicato a cura dell’ANED,