E’ in uscita il N° 112 della rivista DWF : Dalla parte delle eroine. Istruzioni per l’uso
Oltre 40 anni fa eravamo Dalla parte delle bambine[1], nello svelamento di quella costruzione culturale e sociale che le educava alla subalternità femminile. Oggi, a distanza di decenni, dopo la rivoluzione sessuale e il movimento femminista, ci troviamo Dalla parte delle eroine. Non più solo fate o streghe, ma guerriere; non più tremebonde giovinette in attesa del principe azzurro ma donne consapevoli, alleate con le proprie simili, con le nostre sorelle e madri.
Cosa è cambiato nella rappresentazione mainstream del femminile? Qual è l’immaginario su cui si costruisce oggi il cammino/destino di bambine e bambini nel percorso di crescita? Il numero che vi presentiamo parte da queste domande per arrivare, come sempre più spesso ci accade, a scoprire molto di più di quello che immaginavamo.
Due anni fa, in un numero di DWF dedicato ai fumetti che è andato esaurito – A tratti femminista. Il (di)segno delle donne (105-106) 2015 – abbiamo mostrato quanto l’arte della graphic novel fosse potente nel veicolare i messaggi del femminismo, anche quando non si definisce tale. Oggi guardiamo alle protagoniste di film, serie tv, cartoni animati e videogiochi come alle figure simboliche dal futuro, che molto ci dicono del presente.
La prima piacevole scoperta è che sono cambiate molte cose anche rispetto a soli dieci anni fa quando Loredana Lipperini, nel suo libro Ancora dalla parte delle bambine[2], metteva in guardia dai modelli di eroine a cui eravamo esposte: belle, alla moda, sexy, famose, ciniche oppure impegnate contro la degenerazione del mondo al punto di non permettersi di cedere ai sentimenti.
Le nostre autrici, che alla chiamata di DWF hanno risposto con entusiasmo, passione e pensiero, ci raccontano un’altra storia. Quello che emerge non è tanto il ruolo sempre più centrale delle protagoniste femminili, ma gli spostamenti e gli strumenti che portano con loro sulla scena le eroine in quanto donne[3]. Sembra saltata definitivamente la dicotomia uomo-forte, invincibile e sicuro di sé VS donna-debole, gentile, delicata, perché queste sfere di esperienza si intrecciano senza escludersi, e scavalcano gli stereotipi.
Ci troviamo infatti di fronte a eroine che non cercano il potere per il potere (Russi), che partono da sé e stringono alleanze con le altre (Travagliati), che sovvertono e scompaginano il modello d’agire dell’eroe tradizionale (Castelli, Chiricosta, Leiss). Quella che si intravvede per il futuro è una prospettiva che ci parla dei mutamenti del nostro quotidiano, nuove forme di alleanza, nuove sorellanze. In un clima in cui l’eroismo tanto bene si sposa con la società neoliberale individualista – sii imprenditrice di te stessa, performativa, pronta a tutto e se ci riesci salva il mondo – queste figure spostano sulla relazione tra donne ridefinendo il significato stesso dell’agire eroico.
Ma non vorremmo che si pensasse a un entusiasmo trionfalistico. Siamo consapevoli dei limiti e delle problematicità di questo posizionamento. Sappiamo che si tratta di donne eccezionali, una (due, tre) su milioni, così come sappiamo che di mezzo, in molti casi, c’è proprio il mercato, che come sempre intuisce gli spostamenti sociali e ne fa marketing. Questa consapevolezza non impedisce però il rilancio, la ripresa in termini imprevisti e femministi, a partire da noi e dalle storie che scriviamo/leggiamo con le nostre pratiche condivise.
Quella fantasia delle donne, il supplemento critico del femminismo ai rapporti di potere, irriducibile a un principio di realtà (Bonacchi) e allo stesso tempo in grado di indagare il rapporto tra spazio, ordine sociale e dinamiche di controllo dei corpi (Borghi), di cui leggerete in Poliedra.
C’è un’intenzione politica dietro la scelta di questo tema, che parte dalla consapevolezza che la raffigurazione non è cosa da poco. Guardare alle donne della fantascienza può essere un atto fondativo di nuove genealogie femminili (Castelli, Chiricosta, Leiss), che partono da una soggettività già consolidata e costruiscono reti tra donne, con cui sostenersi reciprocamente e non soltanto riconoscersi, con cui dare e darsi forza nella lotta contro gli imperi e nelle battaglie quotidiane, dove la sorellanza diventa reciproca responsabilità e l’alleanza si fa politica (Squillante). Genealogie che si trovano nel futuro ma corrono verso di noi sotto forma di figure animate, streghe alate, combattenti arciere e guerriere stellari. Se l’angelo della storia di Benjamin[4] ha il viso rivolto al passato dove vede «una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi», le figure che noi vediamo potrebbero essere intuizioni del futuro, che molte volte la fantascienza ha avuto, o forse sono già lì ad aspettare quello che oggi stiamo costruendo.
Oltre ad essere un atto fondativo di nuove genealogie, occuparsi e raccontare delle donne della fantascienza è un lavoro sugli stereotipi, poiché rimodella e ridefinisce le possibilità di immaginari inediti, che per bambine e bambini saranno (forse) genealogie. Oggi, su molteplici piani, dalla narrativa ai film, dai videogiochi alle serie tv, si stanno fondando quelli che saranno i riferimenti del futuro: «Uno spazio mitico, insomma, che fonda logoi, narrazioni reali, concrete e situate, in cui le bambine e i bambini possono dare corpo a modelli, aspirazioni, avventure, ma anche trovare un senso a vicende quotidiane, acquisire parole e modi per dire paure, speranze, aspirazioni. In una parola, si tratta qui di Mitopoiesi» (Chiricosta).
Chiunque lavori all’apertura di spazi “liberati” nell’immaginario, contribuisce ad aprire varchi di libertà concreta e quotidiana nelle vite che verranno. E se è vero che l’immaginario collettivo passa ormai da tempo per il grande schermo, è altrettanto vero che molto lavoro per l’educazione di bambine e bambini si sta facendo oggi attraverso narrazioni testuali e albi illustrati che scardinano gli stereotipi, nel tentativo di liberare i sogni e i desideri dei futuri adulti senza costrizioni e costruzioni sociali, lasciandoli liberi di comporre la propria identità (Scosse). Ci troviamo davanti, in questo senso, a operazioni politiche e di civiltà che fanno dell’approccio pedagogico l’unico vero strumento di prevenzione della violenza di genere e delle discriminazioni (Martinelli/Di Martino).
Le ‘cantastorie’ citate da Simonetta Spinelli nel numero di DWF Aliene Quotidiane (1991, n. 13/14) ci danno la possibilità di chiudere con una suggestione: «Le scrittrici di fantascienza che hanno attraversato, personalmente o storicamente il femminismo […] mi sembrano assumere la funzione essenziale di ‘cantastorie’. Circolando in un pubblico di massa, sono portatrici di un racconto che è singolare e collettivo, e che ha la possibilità – proprio perché della narrazione popolare ha la suggestione, il ritmo, l’apertura tematica, l’aggancio con il quotidiano – di trasmettere assonanze, visioni, linguaggio, di delineare ipotesi che non appartengono, almeno esplicitamente, alla speculazione filosofica o all’azione politica. Cantastorie in un mondo dove la tradizione orale si è perduta, utilizzano l’ironia, raccontano il ‘mondo possibile’ riscoprendo e descrivendo i mondi possibili dell’immaginario delle donne» (p. 63).
E proprio a Simonetta, redattrice di DWF per anni, scomparsa lo scorso febbraio, dedicheremo il prossimo numero della rivista.
[1] Elena Gianini Belotti 1973, Dalla parte delle bambine, Milano, Feltrinelli [2] Loredana Lipperini 2007, Ancora dalla parte delle bambine, Milano, Feltrinelli [3] Una testo di riferimento è: F. Giardini (a cura di) 2011, Sensibili guerriere. Sulla forza femminile, Roma, Iacobelli. [4] Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, tesi n. 9. (L’immagine è una rielaborazione da P. Klee, Angelus Novus, 1920)
Per acquistare questo numero scrivi a redazione@dwf.it
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Teresa Di Martino, giornalista, direttrice responsabile di DWF, è laureata in Filosofia politica con una tesi tra Italia e Spagna sulla femminilizzazione del lavoro. È nella redazione di Iaph Italia e ha curato, insieme a Sandra Burchi, il libro Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro (Iacobelli 2013). Ha fondato insieme ad altre i collettivi femministi romani Diversamente Occupate e Femministe Nove, è attiva nel movimento contro la precarietà, fa parte della rete nazionale per il reddito minimo. Gestisce, insieme ad altre, uno Sportello Donne a Pomezia, città dove vive e lavora. – See more at: http://www.dwf.it/chi-siamo/redazione/#sthash.QwVIDFmA.dpuf