E LA CHIAMANO VECCHIAIA
Ho bisogno di pensare che non si perde la grazia, nemmeno quando si arriva in fondo, ha scritto Lidia Ravera sulla sua pagina Facebook .
Prosegue, qualche rigo più in giù, con l’affermazione essere il terzo tempo quello della riconciliazione, quando ci si incontra al pub con gli avversari , e magari si beve con loro un bicchiere.
Nella vita il terzo tempo rappresenta un penultimo tratto, dopo la piena maturità, come un piano inclinato inesorabilmente verso l’odiata vecchiaia.
E’ possibile abitare quel tempo senza permettergli di fare di noi quello che vuole, chiede Luisa Ricaldone in Ritratto di donne da vecchie?
Ci sono percezioni di vecchiaia e vissuti del sentirsi già una vecchia, magari troppo vecchia, anche se si naviga da poco nel ruolo di giovane anziana .
Usualmente si ricorre, anagraficamente parlando, ad una distinzione inerente lo stato di avanzamento nella biologia. Ci sono, infatti, giovani vecchi, di età compresa fra i 65 ed i 74 anni, cui seguono vecchi vecchi, coloro che transitano fra i 75 anni e gli 85 anni e si finisce con i grandi vecchi, collocati dopo l’ottantacinquesimo anno di età.
Annosa questione il disquisire di vecchiaia.
Ha avuto inizio con Platone, è stata discettata da Cicerone.
Da sempre gli uomini, nel senso di maschi, attraversano in modalità soft le varie fasi della esistenza, già legittimati nella conquista, in vecchiaia, di posizioni di saggezza .
Per le donne eguale accesso non è affatto scontato, stante l’onere di sopportare la senescenza nel ruolo di percepito di second’ordine.
La Rigotti sostiene la parola vecchia non suoni bene, e in nessuna lingua.
E’ la sensazione di non avere più l’onore di un posto fra coloro che si continuano a pensare propri simili il vero perturbante nel vissuto del sentirsi vecchia?
Certo, il corpo cambia, tanto ma lentamente. Da principio è lo smacco, più o meno momentaneo, seguono le defaillances, performances che deludono aspettative, anche inconsapevoli .
Un processo naturalmente naturale?
O, piuttosto, un’ arte, anche obbligo ineludibile in una fase nell’esistenza ove lo sguardo s’appresta a leggere la temporalità del vivere?
Se la biologia del cambiamento induce alla conclusione esista, inevitabile, una fisiologia dell’invecchiamento, con maggior fatica si accetta la patologia nell’invecchiamento. Sbiadisce pian piano, forse, un bisogno nostro, magari profondo, che bisbiglia una richiesta di stabilità nella forma di un desiderare ancora antico, quello che si aggiunge, con sconcerto, all’inevitabile disincanto razionale davanti ad un corpo non più immutabile.
Dunque potente è la perplessità che rivendica e al tempo stesso abbandona la rappresentazione di un corpo ed una mente con funzioni ancora valutate accettabili, talora ambivalenti, non approvate in piena serenità, indotte noi a risillabare che del diman non vi sia certezza.
Vale il “ sono ancora io”, io nel corpo, nella mente, nell’anima, nonostante…gli anni, pur con un retrogusto agrodolce che è sano dover provare, virtuosamente dentro il tempo dell’attesa in elaborazione paziente dei significati delle morti altre già incontrate?!.
Ho bisogno di pensare che non si perde la grazia, nemmeno quando si arriva in fondo, mi piace ripensare con la Ravera, in direzione della conquista di equilibri nuovi, soprattutto di uno spazio interiore non disgiunto dal consenso nell’essere ancora socialmente visibili.
Con l’orgoglio di aver raggiunto anche un traguardo di libertà sempre più profonda, quella che Luisa Ricaldone invita a conservare sparando sugli stereotipi, non fingendo e non mentendo, non levandosi gli anni, ma sapendoli portare con fierezza, per scacciare quel tempo dell’anima uggioso di tristezza, anche di disincanto .
Punge di verità qualche scampolo di un ripensarsi nuovo, inconsueto.
Semplicemente vecchie dunque, ma con onore e con un posto d’onore, forti di realistiche considerazioni, dentro risorse della volontà di continuare a fare quello che appassiona, in una sapiente opera di sartoria cognitiva ed emotiva, dandosi spazio, senza esaltare come troppo pressante la presenza di effetti collaterali generati dal tempo che scorre.
E’ il saper creare dunque equilibri nuovi, percependo un minus bilanciato da un compromesso dentro il quale non risulti poi troppo compromessa la nostra capacità di gioire ancora, di appassionarci, spinti da stimoli davvero stimolanti per non omologare nell’anestesia di un vivere ragionato un tempo quotidiano che volta volta s’intreccia all’umiltà che sa farsi introspezione.
E’ un prendere le distanze pur continuando a giocare la propria partita, soprattutto davanti allo stillicidio di tante piccole costanti disfunzionalità, inevitabili piccoli e grandi commiati che dobbiamo metter in conto nella fisiologia dell’invecchiamento, dolcemaro bilancio nel quale si preannuncia già un dopo dentro il quale si incastonerà la nostra fine.
Per dirla con Lella Costa è un rischio nel quotidiano, ma assolutamente da correre.
Volentieri anche, insomma un’impresa ma audace, nella quale ostinarsi a vivere con interezza , pretendendo di più…
E’ audace impresa, si domanda con sognante ironia, aggiungere più uno alla contabilità dell’infinito?
E’ audace impresa invecchiare, conoscendo da prima i luoghi atroci che ti toccheranno, popolati da donne(…) malate, o solo vecchie, col tormento di una memoria monca e l’insulto di sentirsi dire: Guardi nonna che bei cioccolatini, guardi che bravi, son venuti a trovarla.
E mai nessuno che ti chieda con pudore: ci pensi mai?
Ti stai preparando? Hai mai paura?”.
Mi piacerebbe sentire di avere un posto d’onore come nella società giapponese dove i vecchi sono depositari di saggezza e lungimiranza, vengono ascoltati, hanno l’onore di un posto, le fanno eco le parole di Luisa Ricaldone.
In buona sostanza, a mia volta aggiungo, non essere considerata un peso, un dovere, anche nella forma subdola di ricevente troppe (melense?!) attenzioni.
Piuttosto un’attenzione vera, diretta all’anima.
Si, a quella.
Senza l’imposizione di preventiva camicia di forza, quella che sembra imporre giovanilismo ad oltranza, una sorta di imbimbimento cordialmente allegrone, ad alto contenuto glicemico di diminutivi, vezzeggiativi e qualche roboante accrescitivo.
Giusto per dare un’immagine rimpolpata e liftata della meglio seconda gioventù, come qualcuno s’avventura ancora a chiamare la vecchiaia.
Non sarà poi così aspro e faticoso il salire, il crescere fino all’ultimo dei giorni, se adottiamo precauzioni adeguate, perché c’è un tempo per volere una vita spericolata e un tempo per trovare un senso a questa vita – che è anche l’unica che abbiamo(…)C’è un tempo per combattere tutte le battaglie, un tempo per fare la pace, un tempo per esigerla, la pace. C’è un tempo per dire e un tempo per fare (…) C’è un tempo per ballare e un tempo per aspettare, un tempo per correre, un tempo per il silenzio. E se c’è un tempo bellissimo per ricordare, allora ce ne deve essere anche uno calmo per dimenticare ma senza perdere e senza perdersi. Perché se c’è un tempo per dormire e uno per morire, forse (…) se siamo sempre stati bravi e attenti, e continuiamo a tener gli occhi spalancati allora, forse, c’è anche un tempo infinito per sognare.
Riferimenti di bibliografia
https://it-it.facebook.com/raverafanpage letto il 30.11.2018
Luisa Ricaldone, Ritratto di donne da vecchie, Iacobelli editore, Artigrafiche La Moderna, Guidonia Montecchio,2017.
Francesca Rigotti, De Senectute, Einaudi, Torino ,2018
www.liosite.com/citazione/lella-costa-perche-finalmente-lo-abbiamo-imparato letto il 14.12.2018