È partendo dall’ultimo libro di Lilli Gruber che forse è possibile aprire un discorso comune sulle regole e sui valori. Cosa ci aspettiamo in un futuro in cui l’islam avrà un ruolo sempre più importante, anche in Italia? Quanto ancora dovremmo lottare contro culture maschiliste che limitano la libertà delle donne?
A pagina 281 Lilli Gruber racconta la sua visita alla moschea di Centocelle a Roma. A pagina 287 dopo aver variamente parlato con alcuni uomini, un altro la raggiunge e le mette in mano un libretto intimandole di leggerlo. Il titolo è invitante: “La dignità della donna nell’Islam”. L’autore un certo Abdul-Rahma al –Shela. Apre il libro e legge: “L’emancipazione della donna è una tra le tante furberie del nuovo ordine mondiale”. Rinviata la lettura, Lilli Gruber s’intrattiene con l’imam che le spiega come la sharia dovrebbe essere legge dello stato. Anche in materia di parità tra i generi? Sì. La separazione tra legge religiosa e giurisprudenza? “Da questo orecchio, l’imam non ci sente”. Anzi, precisa che proprio in materia di diritto di famiglia, ogni comunità dovrebbe avere le proprie regole. Già, il multiculturalismo!
Terminata l’intervista a Centocelle, L.Gruber si dedica al libretto e scopre che a pagina 73, il capitolo 10 è intitolato “Punizione e correzione delle donne”.
“Prigionieri dell’Islam” è il titolo del suo ultimo libro (ed. Rizzoli) uscito in aprile.
Immediata le reazioni di ambito musulmano. Su facebook una reazione violenta la si deve al noto avvocato delle comunità musulmane Luca Bauccio, seguito da commenti indignati e offensivi nei riguardi dell’autrice. Scrive Bauccio (14-5-2016): “Mi chiedo: possibile tutto questo cinismo pur di vendere qualche copia in più? Come vi siete ridotti? Sembrate venditori ambulanti (con tutto il rispetto) di cose fasulle, non vostre, rubate ad altri. Voi e il vostro circo straccione a venderci perbenismo, frasi fatte, paure, collaudate. Se solo sapeste scrivere e solo aveste un po’ di amore proprio non vi ridurreste a ridicoli fenomeni da baraccone, ci direste qualcosa di autentico coraggioso onesto. Ma non ne siete capaci. Autori, case editrici e parassiti, vari accodati… siete bottegai, questo siete, bottegai acidi e bavosi.”
Il libro è un ‘inchiesta su e giù per l’Italia, tra centri culturali islamici e moschee con aggiunta di riferimenti geopolitici anche ricavati dalla sua esperienza d’inviata e da interviste a specialisti. Sul quotidiano La Repubblica ha curato una recensione entusiasta Licio Caracciolo (3 giugno, Né paure né buonismi l’Islam visto da vicino). Scrive: “mentre respinge le terribili semplificazioni dei teorici (pratici) della ‘guerra santa’ all’Islam, Gruber si tiene lontana dal ‘buonismo’ che tende a negare i problemi della convivenza e soprattutto dell’integrazione dei musulmani in Italia. ”
Federico Rampini nella recensione sull’inserto de La repubblica (Donna del 26-5-2016) scrive che gli immigrati italiani in America potevano avere mille nostalgie e un grande amore per la terra di origine. Potevano anche conservare valori premoderni, arcaici e oppressivi come la cultura mafiosa. Ma avevano saldo un principio: adottare le e regole e i valori della società nuova, come lo Stato di diritto. Quest’accettazione ha funzionato anche per gli islamici immigrati in America. Non funziona invece in Europa dove la narrazione generale impone che l’Islam “è moralmente superiore, non ha nulla da imparare, anzi deve evitare ogni contaminazione con un Occidente privo di valori. Questo rende certi flussi migratori di oggi molto più problematici che in passato. ”
Anche perché i residui della sinistra post, post sessantotto, persino il femminismo, sono sempre pronti a criticare aspramente il cristianesimo e, in Italia, la Chiesa cattolica, mentre dimostrano accondiscendenza e talvolta esplicita difesa dell’’Islam dell’emigrazione. Anche in area cattolica succede questo in nome del dialogo interconfessionale, dove tra preghiere e poco altro, si sorvola facilmente su tutto il resto. Per esempio, un giornale online di cattolici di sinistra e “comunità di base”, ha pubblicato un lungo articolo di una musulmana contro Lilli Gruber per il suo libro. Titolo: “A Lilli Gruber vorrei dire…”(WWW.il dialogo.org,2016)
L’autrice Amina Donatella Salina si firma come la cofondatrice di ACII Moschea al Huda di Roma. Definisce senza mezzi termini la Gruber islamologa e neocolonialista; conclude scrivendo che l’Islam è in forte crescita perché la gente sta aprendo gli occhi. Su che cosa? Nessun cenno al libretto messo in mano alla Gruber e che circola proprio nella moschea e centro culturale di cui lei è cofondatrice.
In che cosa consisterebbe l’islamofobia della Gruber? Forse nell’aver scritto, a pag.143, il suo timore: “Oggi il velo, domani orari separati nelle piscine, dopodomani i tribunali islamici per regolare ‘secondo le norme islamiche’ divorzi, affidi dei figli, casi di violenza. Idee che causano inquietudine, in un’Italia che ancora è teatro di dibattiti durissimi, per esempio, sull’interruzione di gravidanza. Le donne non si possono permettere di perdere terreno sui diritti conquistati: in politica, sul lavoro e tra le mura domestiche. E guardano con disagio queste ‘sorelle ‘ musulmane, portatrici di un’idea ben diversa di partecipazione femminile nello spazio pubblico”.
O forse nell’aver riportato il parere della sociologa turca Nlilufer Gole:” I musulmani manifestano infatti la loro religiosità attraverso un sistema di segni, gesti e simboli che inevitabilmente, mettono in discussione abitudini nonché valori che credevamo acquisiti. Come la libertà di espressione, di culto e tolleranza. “Secondo la sociologa il nostro spazio pubblico è destinato a islamizzarsi sempre di più. Purtroppo, chiosa la Gruber, perché tutte le religioni dovrebbero starsene fuori.
A Milano è candidata alle amministrative nella lista del PD, Sumaya Abdel Qader . La Gruber racconta di essere stata alla presentazione del suo progetto Aisha, voluto nell’ambito del Caim, il Coordinamento associazioni islamiche di Milano e Brianza.
E’ un progetto interessante contro la violenza sulle donne, pensato per le comunità musulmane.
Un progetto che ha già incontrato molte ostilità all’interno, perché la risposta, piccata, è “non è un problema nostro, perché l’Islam non prevede la violenza sulle donne”.
Invece, racconta Sumaya, ci sono tanti problemi come i matrimoni forzati, l’infibulazione, gli abusi domestici e così via.
L’intervista però, ad un certo punto, s’inceppa su alcune affermazioni che, a dir il vero, circolano in modo maggioritario nell’Islam emigrato. L’occidente impressiona i maschi con i corpi scoperti delle donne. Non è colpa loro se poi, alle donne, saltano addosso come a Colonia. Nel sottofondo mentale patriarcale del maschio italico, persiste d’altronde, la medesima convinzione. Recentemente (la Repubblica, 1 giugno 2016) Zita Dazzi ha intervistato Sumaya Abdel Qader a proposito della decisione -certamente discutibile- della Corte europea – di considerare legittimo vietare il velo sul posto di lavoro. Ebbene Sumaya spiega che il velo non è un simbolo religioso. E’ un atto di devozione nei confronti di Dio.” Poi, contraddicendosi, aggiunge che il velo è una pratica religiosa, che dovrebbe essere garantita dall’ordinamento giuridico. In Internet sono numerosi i siti dedicati al variegato islam italiano e in uno di questo” Cronache islamiche” proprio la candidata Sumaya è stata redarguita perché nell’Islam il voto sarebbe proibito; e poi non ci si candida con i miscredenti. In un post è stato esplicitato l’invito a non andare a votare perché nessuno ha il diritto di legiferare eccetto Allah: “l’Islam è l’unica soluzione reale ed efficace per l’Italia. E’ un sistema di governo completo in cui le leggi di Allah sono implementate e la giustizia rispettata.”
Un Islam variegato insomma, che però è importante capire in modo non superficiale perché comunque si tratta di una religione prescrittiva, dunque una fonte, scrive Gruber, di identità potentissima. E le identità potenti, sappiamo, isolano più spesso che creare ponti.