Educare alle differenze 2
Roma 19-20 settembre – Dopo un anno dal primo incontro si riunisce la rete nazionale “educare alle differenze”.
L’incontro nazionale è stato organizzato dalle tre associazioni che hanno promosso la rete fin dallo scorso anno, dal blocco dei libretti UNAR in poi: SCOSSE (Roma), Progetto Alice (Bologna) e Stonewall (Siracusa).
La sede, una scuola, come la prima volta. Scegliere una scuola vuol dire confermare il senso politico del progetto su cui la rete si è costituita: è nella scuola, nella scuola pubblica, che si può e si deve educare alle differenze, al rispetto delle soggettività e delle identità, ma anche alla decostruzione delle identità precostituite, degli stereotipi.
Le associazioni adesso in rete, i soggetti collettivi che hanno co-promosso questo secondo incontro sono quasi 10 volte di più, 250 – dice Monica Pasquino di SCOSSE, che insieme a Tiziana Biondi di Stonewall e Giulia Selmi di Progetto Alice introduce i lavori.
Presenti circa 800 persone, fra educatori/educatrici, docenti, attivisti/e di movimento. Età media incoraggiante per chi scrive e si trova spesso a registrare con disappunto l’età avanzata delle partecipanti ad assemblee femministe, ma anche a riunioni politiche miste. Le donne sono in maggioranza e, molto probabilmente, fra i maschi presenti sono in netta minoranza gli eterosessuali.
Due gli obiettivi: dare a chi partecipa un’occasione di autoformazione, attraverso lo scambio di esperienze fra coloro che nella scuola operano, docenti o educatori/trici di attività extracurriculari, e fare un passo importante verso la trasformazione della rete informale, come è stata finora, in una struttura più formale, pur mantenendo caratteristiche di rete.
Una rete formalmente costituita può pretendere di essere sentita (audita, in gergo burocratico) nelle audizioni presso le istituzioni sia a livello legislativo che amministrativo, può ottenere inoltre l’accreditamento presso il Ministero dell’Istruzione come soggetto educante, partecipando a bandi, presentando progetti, può insomma essere un soggetto politico forte sia per la ricchezza dei contenuti, che per il numero delle adesioni.
Il secondo incontro nazionale si svolge in un momento cruciale per la vita della scuola: appena partita (più sulla carta che nella realtà) la riforma della cd “buona scuola”, quel fronte clerico-fascista formato da manif pour tous, sentinelle in piedi, pro vita e altri gruppi di cattolici integralisti, che si è costituito contro la fantomatica ideologia o teoria del gender, ha individuato la presenza di questo fantasma nel comma 16 del primo articolo della legge n.107/2015, che dice testualmente:
Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche…
La Ministra Giannini ha risposto emanando una circolare in cui nega che questo voglia dire introdurre nell’attività scolatica e nei piani di offerta formativi “ideologie di qualsivoglia natura”. La stessa ministra però in altre circostanze ha più volte affermato che nessuna attività extracurriculare sarà svolta nella scuola senza il consenso dei genitori, dando quindi ad essi una priorità nelle scelte educative che può tradursi anche in un ostacolo all’attuazione dei principi sopra enunciati.
Di tutto questo si è parlato nell’incontro, in particolare nel tavolo “politica e diritti” che ha messo a confronto donne presenti nelle istituzioni, a tutti i livelli, con le associazioni promotrici.
I punti su cui le associazioni chiedono un impegno alle donne presenti in parlamento e negli enti locali sono: la partecipazione delle associazioni impegnate su questi temi all’elaborazione delle linee guida di cui parlano sia la legge, che la circolare; un serio impegno per avere testi scolastici che, a partire dal linguaggio, si muovano nella stessa direzione; un altrettanto serio impegno per la formazione del personale docente. La risposta è apparsa debole: fatto salvo l’impegno personale è sembrato che, soprattutto a livello nazionale, le donne nelle istituzioni si sentano sole e incapaci di imporre non solo le soluzioni, ma nemmeno l’agenda dei problemi su cui discutere. Diversa la situazione a livello locale: con le amministrazioni comunali si ha spesso un’interlocuzione positiva, anche se a volte contraddittoria. La loro prossimità agli “umori” della popolazione può portare a scelte come quella del sindaco di Trieste che ha individuato l’ideologia del gender in qualche decina di libri per l’infanzia, imponendo che venissero ritirati dalle biblioteche comunali.
Il cuore dell’incontro sono stati comunque gli altri tavoli di discussione, quattro per fasce d’età e altrettanti per temi trasversali. Un lavoro di restituzione è stato brillantemente svolto nella plenaria di domenica da Giulia Franchi (SCOSSE) che ha enucleato alcuni temi comuni ai lavori condotti con entusiasmo e rigore.
Il filo conduttore è stato una risposta implicita all’accusa di “indottrinamento”: la chiave dei lavori in corso nelle scuole è il “partire da sé”, dal vissuto di ciascuno/a, docente e discente. Alla base delle buone pratiche qui messe a confronto c’è la condivisione di emozioni. I linguaggi usati sono anche quelli non verbali, anche il corpo viene messo in gioco. C’è bisogno di mettere a confronto gli strumenti, di crearne di nuovi, ma soprattutto di costruirli insieme, in modo che siano tarati su ogni contesto, che va quindi prima di tutto indagato e conosciuto.
Un esempio citato: in una scuola di Empoli è stato evitato accuratamente l’uso della parola “stereotipo”. A un certo punto per indicare i fenomeni su cui stavano indagando, le situazioni di cui prendevano coscienza, i bambini e le bambine hanno coniato la parola “costri(n)zione”. Solo alla fine la maestra ha svelato l’esistenza della parola “stereotipo”. Niente di meglio per capire il valore performativo del linguaggio e l’importanza di possederlo.
Il senso complessivo delle due giornate è stato riassunto da Giulia Selmi e Monica Pasquino. E’ stata fatta autoformazione, grazie anche a una straordinaria autodisciplina nel lavoro dei tavoli (rispetto dei tempi, per esempio) ed è cresciuta la consapevolezza che bisogna lavorare a tutti i livelli: a livello nazionale, dando alla rete una struttura formale che le consenta di essere un interlocutore forte del Ministero e del Parlamento, ma ancor di più a livello locale, dando vita a reti territoriali in grado di interloquire con le amministrazioni disponibili e di confliggere con quelle ostili.
Tutto ciò senza ignorare la necessaria lotta contro chi demonizza le attività in corso con l’invenzione dell’ideologia del gender, ma privilegiando la presentazione in positivo di quello che viene fatto, offrendo materiali e strumenti a chi nella scuola subisce non solo gli attacchi frontali, ma anche le pressioni di genitori “spaventati”.