Eleonora Duse. Una storia sospesa tra realtà e fantasia – “Senti come suona il clacson!”
Valeria Moretti ha dedicato alla nostra direttora Marina Pivetta, che ci ha lasciate nel 2020, il racconto ispirato a Eleonora Duse “Una storia sospesa tra realtà e fantasia”. Ne pubblichiamo oggi, 17 agosto 2022, giorno del compleanno di Marina, la terza e ultima puntata.
La prima puntata è stata pubblicata il 3 agosto. La trovate a questo link. La seconda puntata, pubblicata il 10 agosto, è a questo link.
“Senti come suona il clacson!”
Il treno. Un piccolo villaggio. La steppa. Una breve sosta. Una folla di bambini. Mi guardano increduli. Il notabile del posto: “E’ la grande ballerina Isadora Duncan, la compagna Duncan, andate via mocciosi, non la infastidite!”
Ma loro restano là impietriti a guardarmi. E’ mattina presto e i loro occhi sono ancora umidi di sonno e di sogni…
Io prendo il grammofono che porto sempre con me, lo aziono e…
“Spassiba, bambini! Questi lamponi che avete raccolto per me sono i più buoni del mondo. Credete agli spiritelli del bosco? Io sì”.
Poi confidai loro un ricordo di famiglia.
Quando i pellerossa attaccavano i carri, in piena battaglia, tra gli schioppi di fucile e le frecce che piovevano da ogni parte, mia nonna cantava le nostre canzoni irlandesi.
E ogni volta che gli Indiani venivano sconfitti saltava giù dal carro e si metteva a ballare la giga. Lei non si spaventava neppure quando i bisonti caricavano.
Ricordatevi, non bisogna mai aver paura…”
“Mamma, che ne pensi di Nietzsche? Nietzsche, secondo me, è un filosofo danzante.
Dove sei?
Fatti vedere ancora…
La tua figura è talmente scolpita nella mia memoria che mi pare di vederti ovunque vicino a me… Tienimi per mano, mamma! Non si esaurisce mai, sai, il bisogno di te!”
I tuoi piedi mamma sotto il pianoforte. Il pedale dorato e il tuo piede sopra.
Da piccola mi rifugiavo sotto il pianoforte e stavo ore a guardare i tuoi piedi.
Dicevi: “Il pianoforte è scuro, ma è come uno specchio, ci si può vedere, ci riflette”.
“Il do è lilla, il re è cobalto, il mi è scarlatto…”
“I tasti, il nero e il bianco, la perfezione della luce e dell’ombra, il loro incontro…”
“Ascolta il metronomo, bambina mia!”
Si può essere di Fuoco essendo di Neve.
Vieni. Prendimi. Non so chi tu sia.
Mi prostro di fronte a te come verso un altare.
Che l’orizzonte sparisca.
Come la Fenice un figlio rinasca dalle ceneri del mio ventre.
“Isadora, non tentare di nuovo il Fato” mi diceva Eleonora Duse.
Nacque il mio terzo figlio e, dopo poche ore, morì.
Poi accadde che il sipario calò di colpo.
Nelle mie sale di danza non più luminose baccanti ma file di letti di ferro, crocifissi neri e corpi straziati…
Decisi di dare al governo francese il castello di Bellevue che Singer mi aveva donato per farne una scuola.
Ero incinta del mio terzo figlio ma aiutai i medici come meglio potei.
Uno di questi medici mi guardava in uno strano modo…
Mi spogliai. Lo spogliai.
Mormorò una data: 19 aprile 1913.
Era Lui di servizio il giorno in cui annegarono i miei figli, era Lui che aveva tentato inutilmente di salvarli infondendo il suo respiro nei loro polmoni… bocca a bocca.
E’ quella stessa bocca che ora io, in una sorta di allucinazione, continuo a baciare…
“Suonate la Marcia Funebre di Chopin”.
“Perché? Non l’avete mai danzata”.
“Non so, suonatela”.
Insistetti tanto che Skene, il mio pianista, finì col cedere e io danzai quella sera la Marcia Funebre. Interpretai una creatura che porta fra le braccia il suo bambino morto, con un passo lento, esitante… la discesa alla tomba… l’involarsi dello spirito che fugge dalla sua prigione di carne, e che sale, sale verso la luce. Quando ebbi finito, guardai Skene. Era pallido, tremava.
Quando ritornammo a Parigi nell’aprile 1913, Skene suonò ancora per me la Marcia Funebre al Trocadero. Ci fu un lungo silenzio, poi scoppiarono applausi frenetici; alcune donne tremavano, altre piangevano.
Forse il passato, il presente e l’avvenire sono come una lunga strada. Al di là di ogni svolta, la strada continua noi non possiamo vederla, l’avvenire è già là ad aspettarci.
Vi sono dolori che uccidono, anche quando ci sembra di sopravvivere. Il corpo continua a trascinarsi, ma lo spirito è annientato per sempre.
Ho sentito della gente affermare che il dolore nobilita; tutto quello che io posso dire è che dopo la morte dei miei figli, Deirdre e Patrick, io non ho più avuto che un desiderio: fuggire dall’orrore.
Sono stata il triste Ebreo Errante, l’Olandese Volante, il Vascello Fantasma su di un mare spettrale…
Tutti intorno a me piangevano, io no, io non piangevo. Per me la morte non esisteva e quelle due piccole immagini di cera non erano i miei bambini, ma solamente il loro involucro. Le anime dei miei bambini vivevano in una nube di luce, vivevano per l’eternità. Due volte solamente risuona il grido della maternità: alla nascita e alla morte. Uno è il grido della gioia suprema e l’altro quello del supremo dolore.
Non è forse vero che in tutto l’universo non c’è che un grido che contiene il Dolore, la Gioia, l’Estasi, l’Agonia ed è il Grido Materno della Creazione?
Ho avuto il coraggio di rifiutare il matrimonio, mi sono opposta a che i miei figli venissero battezzati, ho detto no a quella mascherata che chiamano funerale.
Non avevo che un desiderio: che questa spaventosa disgrazia fosse trasformata in bellezza. La sventura era troppo grande per le lacrime. Non mi vestii di nero. Ho sempre pensato che il lutto è assurdo e inutile.
Byron bruciò il corpo di Shelley su di un rogo presso la riva del mare scintillante! La cremazione è un grande progresso sull’orribile abitudine di nascondere i cadaveri. Fui criticata e condannata per questo, dissero che ero una madre senza cuore, poiché avevo voluto dire addio ai miei bambini senza deporli sotto la terra divorati dai vermi. Quanto tempo dovremo ancora aspettare perché regni fra noi l’intelligenza nella Vita, nell’Amore e nella Morte?
Qualche volta ho l’impressione che i morti non vadano in una lontana contrada e non volteggino invisibili fra noi ma che essi penetrino in noi, prendendo possesso di noi, abitino in noi. Da dove viene il bimbo? Dalla madre e può darsi che morendo il bimbo torni a rifugiarsi in sua madre. La nostra carne è una dimora abbastanza vasta per alloggiare parecchi ospiti che noi neppure supponiamo. Essi abitano nel subcosciente quando siamo abbastanza ricchi per nutrirli.
I miei bambini sono al sicuro dentro me stessa.
Mia mamma diceva: “Le note vivono sui fili del telegrafo, ognuna sul suo, poi saltano sui tasti, ognuna sul suo. Ci sono le frettolose che arrivano troppo presto e le ritardatarie. Le ritardatarie non sono colpevoli, è che vivono ancora più in alto, oltre i fili e ci mettono tanto ad arrivare. Saltano giù ma non sono a tempo. Quando smetto di suonare le note ritornano sui fili del telegrafo e dormono come gli uccellini.
“E le ritardatarie?” chiedevo io. “Beh, loro, a forza di andarsene a spasso si sono perdute…”
I tasti sono lisci ma sotto sono profondi come il mare. Li puoi accarezzare e premere fino in fondo.
Ogni volta che un nuovo amore viene a me, sotto la forma di un demone o di un angelo, o semplicemente di un uomo, ho sempre creduto che fosse il solo, quello che io avevo atteso da tanto tempo e che sarebbe stato la resurrezione della mia vita. L’amore non porta sempre con sé questa certezza? Ciascuna delle mie relazioni avrebbe potuto essere un perfetto romanzo. Che dico? Cento romanzi! Non è stato così.
Ho sempre atteso quella che finisse bene, o che avesse potuto durare sempre, come al cinema.
Che pendolo è la vita! Più la sofferenza è profonda e più alta è l’estasi, più si precipita nella tristezza, nel buio, nel vuoto più si balza verso la gioia! E viceversa…
C’è un giovane uomo ad aspettarmi giù… ha una Bugatti. Vorrei comprarla. Mi sono sempre piaciute le macchine veloci. E mi è sempre piaciuto correre.
E’ rossa, un bolide d’acciaio rosso. Un’automobile da corsa è eccitante come la Vittoria di Samotracia. Vento! Ho bisogno di vento!
“I tasti sono lisci ma sotto sono profondi come il mare…
Isadora, che fiatone hai!… Non esiste Babbo Natale… Ma che ci fanno qui tutti questi bambini? Davvero vuoi insegnargli a danzare?… Vai tu dal macellaio, digli se mi può fare credito… Perfetta è la formica e il topolino è un vero miracolo…
Come? Vorresti sollevarti come un aquilone e volare? Da grande ci riuscirai, ne sono certa. Sarai una dea alata…”
Va bene, va bene mamma, ma ora basta con il passato, basta con i ricordi! La memoria, in fondo, è solo un boccale incrinato dal quale tutto il vino è fuoriuscito lasciandolo vuoto senza aver calmato la sete.
I capelli? Li taglierò alla garçonne! Le gonne? Solo corte!
Ho voglia di ridere, di divertirmi.
Che tutto si muova come il bagliore del fulmine!
Io ero già una donna folle prima degli anni folli.
“Senti come suona il clacson! Che impaziente! Proprio come me!”
“La sciarpa! Ho dimenticato la sciarpa!”
Isadora Duncan morì strangolata dalla lunga sciarpa che si impigliò nei raggi della ruota posteriore della Bugatti decappottabile sulla quale era appena salita.