Elogio dell’inutilità
Vado/non vado, voto/non voto, voto utile/voto inutile, rifiuto la scheda … A meno di due settimane dalla tornata elettorale molte di noi stanno ancora ripensando all’importanza e/o validità di ogni scelta possibile.
In questi dilemmi, anch’io come altre, ripenso alla storia del mio rapporto con il voto.
Anna Rossi Doria, alcuni anni fa, dedicava il suo libro sulla storia del voto alle donne in Italia a {{sua madre, che nel 1946 aveva votato per la prima volta}}. Mi era piaciuta quella dedica – non amo le dediche, peraltro – perché anch’io sono figlia di una donna che ha votato per la prima volta nel 1946, e lo ricordava spesso con orgoglio. E poi, secondo una leggenda familiare, mio padre avrebbe indetto nel suo paese abruzzese le prime elezioni amministrative democratiche facendo votare le donne prima della legge apposita (non chiedetemi come fosse possibile …).
Dunque. {{sono cresciuta all’insegna dell’importanza dell’andare a votare in un paese democratico}} e l’ho sempre fatto, ma ora mi rendo conto che anche non andare a votare ha una sua valenza politica democratica, o che, per lo meno, il voto non è il solo garante della democrazia. Cosa è cambiato?
Si parla tanto di crisi nel rapporto con la politica, direi piuttosto che {{la crisi è nei confronti dei partiti la cui identità si è andata modificando fino a perdersi.}}
Nelle elezioni politiche – {{voto dalla IV legislatura (1963)}} – fino alla fine degli anni 80 le mie scelte hanno riguardato essenzialmente il partito, il simbolo da barrare. E da una prima scelta di stampo familiare (Partito repubblicano) sono poi via via passata a Partito socialista, Partito comunista .. forse, come cantava Giorgio Gaber, non sono io che sono andata a sinistra ma sono stati i partiti che si sono spostati a destra, superandomi. Sappiamo bene cosa ne è stato dei partiti “storici”.
Certo è che {{il mio voto a sinistra è diventato più problematico}} e forse anche più rispondente al significato di rappresentanza: ho dato importanza a candidati e candidate. Quando mi è stato proposto, scelta secca, Bartolo Ciccardini – dal passato democristiano o giù di lì – mi sono rifiutata e credo di aver annullato la scheda.
Poi è cominciata la fase del {{“vota donna”,}} ovviamente scegliendo all’interno delle liste di sinistra, , guardando quali fossero le liste con nomi di donne per me affidabili, facendo voto disgiunto… tutto questo a conferma di un mio ridotto riconoscermi nei programmi dei partiti e di un riconoscimento dell’importanza della relazione politica con donne e uomini. discorso d’élite?
Il mio percorso politico è, peraltro, diventato sempre più attento a quanto si muove nella società (sono stata sempre impegnata nel campo dell’informazione), mettendo al centro alcuni nodi a partire dal mio essere donna e dove “un altro mondo è possibile” significa proprio {{“un altro mondo” a tutti i livelli materiali e simbolici}}.
Abbiamo certo bisogno di spazi di resistenza al pensiero dominante, sempre però riconoscendo l’importanza delle istituzioni, senza le quali ogni discorso sui diritti, su pace e guerra, sulla salvaguardia dell’ambiente va a farsi benedire.
Oggi, in queste elezioni, mi sembra importante l’interrogativo{{ “quale sinistra vogliamo?”}} ma innanzitutto {{“quale democrazia?”}} quella del {{voto “usa e getta”?}} del voto “utile” alle tattiche delle gerarchie di partito? La legge elettorale attuale, porcella quanto si vuole, non è la sola responsabile di questo clima: sono piuttosto i modelli di società che mi si presentano davanti che non corrispondono al mio percorso di donna laica, autonoma finché è possibile nelle sue scelte, in relazione con altre ed altri in una polis trasparente e senza confini.
Oggi penso, che ad {{una democrazia che voglia essere innanzitutto duale e plurale}} possa anche essere utile un voto inutile, per una lista di poco successo, o il rifiuto motivato della scheda (vedi intervento di Doriana Goracci).
L’importante è salvaguardare la pluralità delle forme di partecipazione anche ai momenti elettorali.
A inizio di campagna elettorale, al Tg7, un giornalista di cui non ricordo il nome concordava con Miram Mafai sull’importanza del bipolarismo e, come ciliegina sulla torta, commentava: così noi giornalisti non dovremo – per par condicio – intervistare anche rappresentanti del partito del 4%! pensate un po’ che spreco di tempo !
E se, nella società degli sprechi, sprecassimo anche un voto? {{Non ditemi che è qualunquismo, non vi do retta.}}
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