Essere come tutti
Non voglio dare un giudizio “politico” di questa biografia parallela, dell’autore e della sinistra italiana. Mi limito quindi ad alcune notazioni “superficiali”, per rimanere sul terreno privilegiato da Piccolo, che individua il tratto principale del suo carattere proprio in questa superficialità, intesa come rifiuto dell’eroismo e della tragedia, ricerca di normalità, e quindi riconoscimento della “forza delle cose”, l’essere come tutti, nel bene e nel male. Anche se il TUTTI del libro era anche il titolo usato dall’Unità per descrivere la straordinaria partecipazione al funerale di Berlinguer, il leader cui viene unanimemente attribuita (solo) l’orgogliosa rivendicazione della diversità comunista.
Cresciuto in una famiglia di ceto medio meridionale: padre affettuoso ma convintamente conservatore, madre generosa ma “superficiale”, abitano a due passi dalla reggia di Caserta. ”Per mio padre, in modo ossessivo, e per tutta la vita, se uno è comunista non potrà mai chiedere le chiavi della macchina. E qualora dovesse avere una macchina, poi, il bollo lo dovrà pagare Berlinguer. Se ne avrà due, dovrà darne una a un operaio” (pag.41). ”A sedici anni la mia situazione era la seguente: a casa, se nominavo il Pci, ero considerato una specie di terrorista; fuori casa, se nominavo il Pci, ero considerato una specie di democristiano. Quindi, per un po’, ho smesso di parlarne” (pag.73). Più tardi scoprirà che il padre, fascista e democristiano, conservava nell’armadio un archivio completo di tutti gli articoli pubblicati da lui nel corso degli anni.
“Essere come tutti” implica la rinuncia al ruolo di osservatore giudicante ed impunito, come aspirava ad essere (invano) Atteone, che nella fontana monumentale della Reggia osserva Diana al bagno e da lei viene trasformato in cervo, per poi essere sbranato dai suoi cani. Così Camilla Cederna aveva messo in ridicolo Giuseppe Leone e la sua famiglia, con ampio uso di particolari irrilevanti, Sofia Loren – in carcere a Caserta per evasione fiscale – viene braccata dai fotografi, lui stesso si finge simpatizzante di AN per partecipare in incognito ad un raduno e carpire qualche particolare pittoresco per un suo reportage.
Passando all’autocoscienza del “nostro campo”, spicca la descrizione del gruppo dei ciclisti che – anziché godersi la passeggiata in bicicletta e manifestare allegramente la propria felicità – occupa tutta la strada e punisce i non ciclisti, inquinatori per definizione in quanto ancora dipendenti dall’auto o dalla moto: loro si sentono diversi e “superiori”, e per questo legittimati a giudicare. I giustizieri dell’ecologia, anziché convincere, allontanano gli “altri”, escludono anziché includere. Raffigurazione plastica di un modo di essere della sinistra, minoritario e perdente.
Al contrario, nel finale del Caimano – film di cui Piccolo ha scritto la sceneggiatura – è Nanni Moretti a recitare il ruolo dell’Eversore: volutamente viene rifiutata qualsiasi separazione fra “noi” e “loro”, fra innocenti e colpevoli, perché tutti in qualche misura siamo responsabili. Per questo – aggiungo io – il fascismo non era una parentesi, e dal ventennio berlusconiano non si esce semplicemente mandando a casa Berlusconi. Non si sentono responsabili invece quelli che per vent’anni hanno detto di voler andar via dall’Italia: un paese che non li merita, o del quale comunque – secondo Piccolo – facciamo parte?
Un’ultima notazione, che non vorrei perdere: laddove Piccolo dice che non è necessario essere neutrali per essere imparziali: con parole mie, si può anche stare da una parte, “appartenere”, senza per questo perdere la lucidità, e soprattutto la libertà di criticare “secondo coscienza” quello che non ci convince. Così anche ci si può permettere, senza “tradire”, di riconoscere quanto di valido, o di condivisibile, viene dagli “altri”.