FAVARA – Cronache dal paese dell’Arte abusiva
Articolo di Rosanna Pirajno dalla rivista Mezzocielo
— A fine giugno del 2012 mi reco a Favara, paesone dell’agrigentino in cui sta succedendo qualcosa di nuovo e sorprendente in ambito culturale, e ne do notizia con due pezzetti che provano a descrivere il fenomeno della Cultural Farm di Andrea Bartoli e Florinda Saieva, cogliendo l’occasione della istallazione dell’artista Anne Clémence de Grolée che mi aveva sollecitato una visita.
Non ho contatti con il patron dell’operazione, sono una visitatrice come altre che però spende il suo senso critico per farsi un’opinione da condividere su mezzocielo: www.mezzocielo.it/2012/06/la-cultural-farm-nasce-a-favara-e-de-grolee-vi-tesse-un-fil-rouge/
www.mezzocielo.it/2012/07/learning-from-favara-city/
Non ricevo commenti, la faccenda è solo agli inizi. Nel giro di qualche anno, la Farm Cultural Pak acquisisce la giusta fama di impresa culturale “di eccellenza” in un contesto urbanistico – e di resistenze passive – specularmente negativo, acquisisce risonanza internazionale diventando, a mio avviso, il paradigma delle contraddizioni più appariscenti della Sicilia, terra in perenne conflitto con quelle fervide intelligenze che ambirebbero disfarsi della melma di mafia corruzione malaffare connivenze complicità, più ignoranza e ottusa burocrazia, che la soffoca.
Giorni fa, il paradosso: nel paese della più macroscopica anarchia edilizia una solerte ordinanza comunale impone il ripristino dei luoghi ove erano sorte tre istallazioni di artisti, dichiarate abusive e come tali sanzionate. Il fatto finisce su tutti i giornali, l’opinione pubblica si mobilita e Bartoli affila le armi per una azione di contrasto all’ordinanza sindacale del M5S cui egli stesso credo aderisca, ottenendone la revoca. Leggo che è stata trovata una soluzione, che le istallazioni saranno abusive-sanate previa presentazione della, immagino ponderosa, documentazione richiesta e che la Farm Cultural Park avrà il suo bollino di manifestazione stabile di interesse nazionale.
In questa vicenda si intrecciano tanti fattori, dall’invidia all’ottusità alla resistenza al cambiamento, ma prevale su tutto l’avversione ai “visionari culturali” che percorrono la strada accidentata dell’arte per educare alla Bellezza, e qui l’analogia di Favara è con la vicenda, di qualche anno prima, della Fiumara d’Arte di Antonio Presti, anch’egli costretto a difendersi dall’accusa di “occupazione abusiva di demanio marittimo” per aver fatto istallare due stupende opere d’arte, la Finestra sul mare di Tano Festa e Stanza di barca d’oro di Hidetoshi Nagasawa, una sul litorale di Tusa e l’altra sul greto di un torrente a Mistretta, luoghi insediati dalle meglio brutture della sicilitudine edilizia.