Femminismi musulmani. Un incontro sul Gender Jihad
Dall’incontro di donne italiane e straniere, musulmane e cattoliche, laiche e non credenti è nato un “nuovo pensiero femminista”, il “Gender Jihad”, sintetizzato nel volume presentato il 30 gennaio scorso a Roma, alla Casa internazionale delle donne, “Femminismi musulmani. Un incontro sul Gender Jihad” (Fernandel editore). Il libro, curato da Ada Assirelli, Marisa Iannucci, Marina Mannucci, Maria Paola Patuelli, è nato da un convegno tenutosi anni fa a Ravenna e ha permesso a gruppi di donne diverse tra loro di incontrarsi e cominciare un percorso di ricerca e di reciproco riconoscimento.
“Il Jihad, termine molto usato dai media negli ultimi anni (ed erroneamente al femminile, è stato spiegato), non ha nulla a che fare con la guerra – ha spiegato Marisa Iannucci, studiosa del mondo islamico e presidente dell’associazione Life -. In arabo vuol dire sforzo, impegno. E’ tutto quello che è lotta per raggiungere un obiettivo, concreto e spirituale. Per questo abbiamo pensato che non fosse improprio tradurlo come lotta femminista, come sforzo per l’emancipazione e per la realizzazione di sé. Contiene in sé gli sforzi delle donne musulmane dei nostri giorni, impegnate, dagli anni 90 a oggi, nella difesa dei diritti delle donne e per il miglioramento delle leggi dei loro paesi”. Il volume e’ scritto da una pluralità di donne e da una sola firma maschile, il ricercatore spagnolo musulmano Abdennur Prado che si definisce “femminista”, tutti concordi con l’idea che il patriarcato dell’Islam abbia aspetti comuni con quello del Cristianesimo e che il Corano sia compatibile con le battaglie di liberazione dal patriarcato. “Un libro da diffondere anche nelle scuole perché’ potrebbe fare da argine all’islamofobia e alle retoriche sulle scontro di civiltà che sono sempre più diffusi” ha detto l’antropologa Annamaria Rivera introducendo la conferenza di presentazione moderata dalla giornalista Nadia Pizzuti, a cui hanno preso parte, insieme alle autrici, la filosofa Maria Luisa Boccia e la ricercatrice Renata Pepicelli.
(dalla notizia dell’Agenzia Ansa redatta da Francesca Bellino, g.c.)
Proseguendo nel resoconto, ulteriori elementi sono emersi.
Abbiamo un mondo comune, come femministe, perché nelle differenze ci accomuna la critica a quelle culture patriarcali che – tutte – non ci hanno previsto come soggetti pensanti e parlanti, ha sostenuto Maria Luisa Boccia; e in questo mondo ricollochiamo noi stesse. Sono processi di decostruzione e ricostruzione del nostro modo di stare al mondo. Nel mio percorso l’incontro con altri femminismi, con donne mussulmane ha voluto fare i conti con i veli dell’Occidente, farmi spiazzare dall’altra rispetto alla mia tradizione, quella della laicità, della modernità laica, illuminista, progressista. Ha significato criticare la laicità come secolarizzazione che non favorisce l’ascolto, la relazione, lo scambio con donne di altre culture e religioni. Ero presente alla manifestazione di Parigi, dopo gli attentati a Charlie Hebdo e alla Porte de Vincennes: non è stata contro l’islam, ma questo non vuol dire che non ci sia il rischio di un fondamentalismo occidentale. Dobbiamo sempre problematizzare le “identità” occidentali e/o musulmane, anche quella femminista, altrimenti rischiamo di rinchiuderci nei recinti delle appartenenze.
L’universale è un verbo, aperto al cambiamento, non un sostantivo chiuso e immobile, aveva detto Annamaria Rivera.
Si possono distinguere tre tipi di femminismo nel mondo musulmano, ha schematizzato Renata Pepicelli: quello secolare, di antica data, che si incrocia con il femminismo occidentale nelle lotte per il suffragio universale e per i diritti politici e civili; quello dei movimenti delle donne per nuovi Codici di famiglia ; e il femminismo islamico, quelle donne che si sono sentite escluse dal lavoro esegetico sui testi sacri, che propongono una nuova esegesi basata sui valori di uguaglianza e giustizia, presenti nel Corano. Sono donne che pagano un prezzo alto quando, di fronte alle affermazioni e alle pratiche fondamentaliste , ribattono: non in nostro nome, non in nome dell’islam.
Un incontro, quello che alla fine ha prodotto il libro, che è costato fatica, la fatica delle diversità, perché le relazioni sono state in presenza, ravvicinate, da donna a donna; non un confronto sulle ricerche, sui libri, a distanza, ha detto infine Paola Pattuelli, dell’Associazione Femminile Maschile Plurale.
E una bella fatica è stata anche la discussione accesa che si è svolta nell’incontro di cui diamo qui solo una sintesi parziale e soggettiva. Dopo le relazioni iniziali, molte domande sono emerse, dalla diversità delle situazioni nei vari paesi a maggioranza arabo-musulmana, al ruolo delle donne nelle rivolte del Nord Africa e nei loro diversi esiti politici; dalla loro capacità critica rispetto al rapporto tra Stato e religione islamica, al ruolo delle seconde generazioni in Occidente e alla loro possibile opera di mediazione (tra le altre, Maria Grazia Sentinelli).
Dato l’interesse e la partecipazione, continueremo questi in contri con due approfondimenti , uno sul terrorismo e l’altro sulle nuove generazioni, traendo spunto anche dal libro di Francesca Caferri, Non chiamatemi straniero, e da altre ricerche in corso.
(isabella peretti)
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