FirenzePrimumVivere: riflessioni sul tema della riproduzione sociale
Dal convegno femminista di Paestum 2012 nasce FirenzePrimumVivere, un gruppo fiorentino che si incontra ogni martedì da due anni. Ha organizzato 3 incontri pubblici. Due in Palazzo Vecchio e l’ultimo con Antonella Picchio all’Universita di lingue e letterature straniere. Il 4° incontro, sempre sul tema della riproduzione sociale, ha avuto pertitolo “A proposito di cura: una trasformazione radicale nelle relazioni, nella politica, con la natura”
A proposito di cura, ci sentiamo di dire che senza avere cura di sé, nel senso di stare in prossimità del proprio essere autentico, pensante, parlante e desiderante, non possiamo sviluppare un nuovo concetto di cura, con il rischio di rimanere impigliate nella cura che ci ha assegnato il patriarcato, come un dovere (dimenticanza di sé e disvalore).
Il femminismo ha messo l’accento sulle relazioni tra donne -qualità nuova nello stare insieme, politica, pubblica, trasformativa- e se promoviamo la cura non sarà più senza un soggetto femminile forte.
Cura di sé, cura di chi si ama, cura dell’ambiente in cui viviamo e della politica per un benvivere, perché si esprimano le potenzialità di ciascuna/o, si valorizzino le risorse profonde, i desideri, i tentativi di realizzarli, riconoscendo le nostre vulnerabilità. Cura come ascolto, responsabilità, empatia dove il tempo è nodo centrale.
Prendersi cura in una relazione di disparità significa riconoscere la dipendenza, senza agire dominio, bensì ricercando una reciprocità. Corporeità, sessualità, dipendenza e vulnerabilità sono le dimensioni rimosse dal patriarcato.
La cura, dall’eccezionalità alla quotidianità, sentimento della cura e pratiche trasformative, che costruiscano spazi di libertà e rispondano al desiderio di dare un senso al vivere insieme- come paradigma della convivenza, è un’etica dell’umano, può rappresentare uno strumento per contrastare l’attuale ordine economico e politico. Oggi, in cui il deficit di relazioni pesa quanto il deficit di beni, si tratta di pensare alla cura come pratica che riapre il conflitto tra capitale e vita.
Desideriamo anche liberare la cura dalle pastoie delle costruzioni sociali e simboliche che ne depotenziano il significato e ostacolano la forza di cambiamento. Consideriamo inoltre le aspettative sociali, cui molte donne rispondono nel dedicarsi alla cura. Risulta che spesso l’atteggiamento femminile di cura si espande anche verso il corpo d’impresa a causa di rapporti sentimentali in senso lato che molte donne sviluppano verso i progetti lavorativi che le impegnano. La conseguenza di questo slittamento è una tendenziale donazione di sé, del proprio tempo e delle proprie risorse cognitive e di socialità, talvolta al di fuori di qualsiasi compenso economico quasi il compenso fosse rappresentato dalla possibilità stessa di svolgere quel lavoro partecipando all’impresa. Si tende alla gratuità (perniciosa) anche nel lavoro per il mercato.
La propensione alla cura corrisponde anche allo sforzo di conciliare lavoro per il mercato, maternità, accudimento di anziani e malati, impegno sociale, piacere di vivere.
Quanto resta, però, di questo piacere di vivere a tale soggetto femminile così polifunzionale?
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