Fuori dalla famiglia, fuori dal lavoro: reddito per tutti e tutte
Pubblichiamo l’intervento del gruppo femminista Amatrix per ragionare sulla proposta di un reddito per l’autodeterminazione. Nonostante i cambiamenti intervenuti nella famiglia e la
moltiplicazione delle forme familiari, rimangono inalterati i
rapporti di potere tra i sessi. Malgrado si proclami l’eguaglianza
tra donne e uomini l’appropriazione del corpo delle donne resta il
paradigma delle relazioni familiari.{{La violenza rappresenta ancora una caratteristica diffusa della
struttura familiare}}: la violenza sessista da parte di compagni,
mariti, padri, fratelli è infatti la principale causa di morte e di
invalidità permanente delle donne tra i 16 e i 44 anni in Europa. E’
strumentale, quindi, denunciare solamente la violenza compiuta da
uomini di cultura non occidentale e tacere sulle violenze degli
uomini italiani contro le donne, italiane e migranti. Se c’è qualcosa
che unisce gli uomini di ogni cultura è infatti proprio la violenza
contro le donne che è funzionale al mantenimento di rapporti di
potere tra i sessi.
{{Eppure la famiglia diventa sempre più oggetto di promozione e tutela}}
da parte dei pubblici poteri. Il governo di centrosinistra ha
ripristinato, come durante il fascismo, un ministero apposito. La
stessa disciplina sulle convivenze di fatto Di.Co, in discussione al
Parlamento, finisce per riproporre il modello unico della famiglia
tradizionale, invece di consentire a tutt@ il libero esercizio dei
propri diritti e delle proprie responsabilità.
{{
Della volontà di difendere la famiglia resta emblematica la legge 40}}
che, contro ogni forma di autonomia delle donne, impone di essere in
coppia eterosessuale per poter accedere alla procreazione
medicalmente assistita (pma). Questa legge ripropone la scissione tra
gestante ed embrione, mettendo in contrapposizione i diritti delle
donne con il bene del concepito. Creando lo statuto giuridico
dell’embrione si vuole ristabilire il controllo sul corpo delle donne
e sulla riproduzione che sono tuttora il cuore del potere patriarcale.
_ {{La gestione della riproduzione}} è, infatti, parte essenziale della
divisione sessuale del lavoro. Le relazioni tra i sessi sono ancora
fortemente segnate da una divisione del lavoro del tutto sbilanciata
a sfavore delle donne in quanto mogli, compagne, amanti, sorelle,
figlie, nonne.
Già trent’anni fa le donne di Lotta femminista rivendicavano, in
attesa della sua socializzazione, il {{salario per il lavoro domestico}}.
Da allora, se si è prodotta la cosiddetta “femminilizzazione” del
lavoro, non si è verificata però una “maschilizzazione” del lavoro di
cura e di ri-produzione. Nonostante le caratteristiche del lavoro
cosiddetto femminile – capacità relazionali, disponibilità e
reperibilità assolute – siano diventate paradigma generale delle
nuove forme della precarietà, il lavoro di cura e ri-produzione
continua a non trovare riconoscimento e ad essere compiuto
esclusivamente dalle donne.
_ Se nel discorso politico corrente al
lavoro “produttivo” vengono riconosciute le caratteristiche di quello
“riproduttivo”, non avviene il contrario, ossia {{non si riconosce al
lavoro riproduttivo il suo carattere, appunto, di lavoro}}. Crediamo
che l’esternalizzazione di quest’ultimo alle donne migranti e la sua
conseguente monetarizzazione non abbiano modificato la divisione
sessuale del lavoro. Negli anni 70 la parte del movimento femminista
che ha chiesto un salario contro il lavoro domestico aveva colto la
centralità di una lotta per il riconoscimento, come lavoro, delle
attività di cura che le donne, non retribuite, svolgono nelle
famiglie. Questa forma del lavoro è l’unica che non sia
strutturalmente cambiata. Oggi che strumento abbiamo per cambiare le
cose?
{{
Noi oggi non chiediamo il salario solo per – e quindi contro – il
lavoro domestico}}, ma un reddito per l’autodeterminazione per tutt@
come strumento per sovvertire la divisione sessuale del lavoro e per
{{scardinare l’impianto familista, lavorista e nazionalista}} dello stato
sociale. Per potere uscire dalla famiglia e dal lavoro è necessario
pretendere un reddito sin dal momento della nascita, scisso da ogni
stato civile e condizione produttiva. Solo il riconoscimento del
reddito anche ai minorenni libererebbe le donne del peso che ancora
sopportano per la cura dei figli.
{{Un reddito permetterebbe di non trovarsi costrette e costretti ad
accettare condizioni di lavoro poco dignitose}}, spesso in grado di
spegnere anche la passione più sfrenata per la propria attività. Non
c’è sciopero che tenga di fronte alla possibilità stessa di sottrarsi
al lavoro! Il reddito è lo strumento più robusto di cui le
lavoratrici e i lavoratori possono servirsi per ridisegnare le regole
dello stesso lavoro.
_ {{La possibilità di liberarsi dal lavoro percependo un reddito}}, infine,
potrebbe favorire il diffondere di stili di vita improntati alla
decrescita e liberi dal consumismo compulsivo in cui ti spinge un
lavoro poco gratificante che risucchia tutta la tua esistenza.
Il reddito è una pretesa legittima, almeno finché si aspira
all’autodeterminazione.
_ La rivendicazione di un reddito, di per sé economica e materiale, ha
secondo noi anche un {{valore simbolico}} e deve essere accompagnata da
una battaglia politica.
_ {{Il reddito che chiediamo è contrapposto agli
assegni familiari e a tutte quelle politiche che legano l’assistenza al “ruolo nella società”}}: nel caso delle donne quello di
“riproduttrici della specie” o almeno di “dolce metà” di un uomo. In
questo senso intendiamo il reddito, individuale e incondizionato,
anche come strumento simbolico di liberazione dal dispotismo emotivo
della coppia che viene proposta come destino sociale, luogo del
privilegio emotivo, il privato opposto al resto del mondo.
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