Genere primo. Le donne e la primarietà
«Le peculiarità femminili sono sfruttate dal patriarcato e barattate dalle donne. Ciascuno può invece valorizzarle e imparare da esse per pensarsi e vivere meglio insieme, donne e uomini. Riconoscere coloro che per prime si prendono cura della vita comune è un buon punto di partenza per una cultura al femminile come cultura di tutta la specie umana.»
Parole che ben sintetizzano Prima nella vita comune. Impronte femminili nella specie umana (Prospettiva ed., 2016), curato da Chiara Rainieri che firma anche due pagine di riflessione riconoscendo a Sara Morace e a Dario Renzi fondamentali apporti alla corrente dell’umanesimo socialista e «l’invito di guardarci intorno seguendo la via maestra, quella che riparte dal genere femminile».
Un femminile non mitizzato e dichiaratamente non sempre positivo: «come non smetteremo di argomentare, la primarietà femminile non è di per sé positiva; ad esempio, si può curare la vita in tutti i suoi aspetti, educare in tutte le fasi della vita, pensare e vivere i proprio affetti ben dentro la normale, diffusa e radicata cappa patriarcale, aiutando il suo perpetuarsi.»
Rainieri con Martina Caselli, Micol Drago e Sara Rodriguez, fa parte del team ‘Genere primo’ creatosi, su proposta di Dario Renzi, al termine dell’ottava edizione della Scuola internazionale (estate 2013), principale momento formativo della corrente; esso trova in Sara Morace, «guida e ispiratrice», la fonte principale della ricerca sul «genere femminile come genere primo, così cruciale e dirompente per l’umanesimo socialista».
Nel capitolo d’apertura (Il Paradosso), Morace ricorda che «tutto nella vita porta l’impronta femminile: ciascuna sfera dell’esistenza, ciascun passaggio dalla nascita alla morte» e avanza domande: «In che senso dotazioni essenziali proprie dell’umano, tensioni e intenzioni proprie a ciascun individuo, sono particolarmente accentuate nel genere femminile? Quali conseguenze positive possibili per la specie possono avere oltre quelle che attualmente ha? Il peso della cura dell’esistenza, la dedizione agli altri, sono un ostacolo per le donne a considerare più e meglio il proprio essere?»
Se lei parla del «rovesciamento patriarcale» Dario Renzi parla di «rovesciare il rovesciamento per usare una cantilena di stampo marx-engelsiano» e nel ricordare una loro precedente opera a due mani, L’origine femminile dell’umanità (Prospettiva ed., 2012), scrive: «Gli sviluppi possibili di questa coscienza di genere, che diventa coscienza umana tout court, sono straordinariamente importanti, ma questa stessa coscienza suscita e farà emergere grandi contraddizioni. Cerchiamo di evitare atteggiamenti consolatori.»
Il capitolo L’impronta femminile riporta il dibattito del team con interventi, tra gli altri, di Valentina Balma Mion che sottolinea l’importanza «di avere con bimbi e bimbe un approccio meno separato, tentando di pensare alla specie tutta, adulta e cucciola.»
Stessa impostazione a più voci ha quello di chiusura (Per una cultura della primarietà femminile), in cui Morace motiva l’assunzione e la valenza del termine primarietà rispetto a quello di «superiorità; parola che suscitò un vespaio e ancora lo suscita» definendolo «più completo, più ricco, e che si presta a meno equivoci.»
Attinente al tema è una delle ultime opere di Morace, I racconti di domani, ambientato «in un’isola del Mediterraneo orientale che potrebbe essere Creta, dove una genealogia di Madri guida gli isolani»; una dimensione atemporale, a ponte fra l’oggi e il secondo millennio precedente la nuova Era.
Il capitolo riassume in parte anche i lavori della Scuola, con passaggi autobiografici e varietà d’approcci: es. Martina Caselli interviene sul problema del linguaggio e della trasmissione della comunicazione.