Ginecei di pittura
In occasione della riapertura dei musei, desidero dedicare un omaggio alle pittrice del passato e ai loro atelier al femminile.
Nel Seicento, a Bologna, si trovava la casa-bottega di Elisabetta Sirani, punto d’incontro per altre “virtuose” del pennello: Vincenza Fabbri, Veronica Franchi, Lucrezia Scarfaglia…
Nel laboratorio bolognese dove “eccellenza e valentia” portavano la firma di una donna, Elisabetta, le sue sorelle e le discepole, erano costantemente impegnate nel dipingere le proprie fattezze per i numerosi clienti e a ritrarsi l’un l’altra.
Incontri di sguardi, combinazioni, incroci. Elisabetta, specchio alla mano, dirige verso se stessa il proprio sguardo; Ginevra si studia nella superficie riflettente; Ginevra dipinge Elisabetta; Elisabetta osserva Ginevra… E’ un intersecarsi oltre che di sguardi, di immagini e dunque di apparenze, di riflessi, di visioni!
Ugualmente nel colto gineceo di casa Anguissola, a Cremona, Sofonisba ritrae Lucia, Lucia Sofonisba… Sofonisba è già famosa e riceve i primi entusiastici consensi; la più giovane e dotatissima Lucia ne segue le orme. Proiezioni, dunque, le une per le altre, giochi di riflettenze, alimentati da sotterranei sentimenti di ammirazione e di competitività.
Il critico Flavio Caroli nell’attribuire alla timidissima e sensibilissima Lucia il “Ritratto di dama” conservato alla Galleria Borghese (Roma) e nel ravvisarne i tratti che furono di Sofonisba, adombra un legame intenso quanto sfaccettato tra le due sorelle. Scrive infatti: “Pare che Lucia voglia ridurre la sorella estroversa ed affermata per cui dovette nutrire un sentimento di violentissima ammirazione alla propria temperatura sentimentale per così dire: a una sorta di riposta perplessità”.
Amilcare, il padre della Anguissola, bonario gentiluomo cremonese, come ci appare dai ritratti di Sofonisba, fu un esibitore intraprendente delle opere delle sue figliole (perché oltre alla maggiore e a Lucia dipingevano Elena, Minerva, Europa e Annamaria) che severamente aveva educato con l’intento ben preciso di farne delle “virtuose”. E la fama, con il suo carico di leggenda, non tardò ad arrivare a casa Anguissola che le cronache del tempo definirono: “Tempio di pittura e di tutte le virtù”. Atmosfera pacata ed operosa, rallegrata da vivace chiacchiericcio, salotto animato dove con piacere sostavano amici ed ammiratori, sfilavano autorità e dame e gentiluomini si compiacevano di verificare il talento in vesti femminili mentre fioccavano le ordinazioni…
Stessa situazione (per immaginarla basterà trasferirci nella Venezia del Settecento) troviamo a casa Carriera dove accanto a Rosanna sorelle e discepole lavorano attivamente; identico clima nelle stanze del probissimo e valente dipintore Giovanni Andrea Sirani: Elisabetta insegnava i rudimenti della pittura alle sorelle minori Annamaria e Barbara e a giovani allieve, tra cui Ginevra e Lucrezia Scarfaglia il cui autoritratto è conservato nella Galleria Rospigliosi Pallavicini a Roma. Il fondale da sostituire è ora un interno bolognese del Seicento. Tra loro giochi di abilità nel dipingere e reciproci affettuosi ritratti. Omaggi dettati dall’amore e dalla praticità di misurarsi con un modello a portata di mano. Sofonisba ferma sulla tela i volti delle sorelle, Lucia il suo; qualcosa del genere ripete in casa Sirani e in casa Carriera. Rosalba si mostra nell’autoritratto custodito agli Uffizi con in mano il ritratto della sorella Giovanna. Rosalba, Giovanna e Angela oltre che nel disegno erano peritissime nella musica, nel canto, nel latino e nella lingua francese. Si davano inoltre un gran dafare nell’eseguire pastelli e miniature per riuscire ad accontentare prontamente i facoltosi clienti; ricevere visite (anche da loro come già a casa Anguissola e a casa Sirani era un gran via vai di carrozze e gente ben vestita e profumata) e restituirle, leggere i libri per la propria istruzione, fare i conti. E poi c’era da recitare le devozioni, cucirsi gli abiti, aiutare la mamma, preparare le mascherate!
Alle tre sorelle Carriera, predilette dal cielo, l’amica poetessa Luisa Bergalli dedicava i propri versi: “Voi che spregiate il gentil sesso, voi d’Angela, di Giovanna e di Rosalba venite a mirar l’opre, e dite poi, dite pur s’io mentisco e se m’inganna la passione, e dite pur se noi donne all’ago e al fuso il ciel condanna”.
Luisa Bergalli, poetessa arcadica e moglie di Gaspare Gozzi, era allieva di Rosalba e faceva parte insieme a Felicita Sartori, nipote di Giovan Battista Sartori, di quel cenacolo di donne colte che tanto entusiasmo suscitava nella leggiadrina società aristocratica veneziana ed europea.
Quando Augusto III, elettore di Sassonia e re di Polonia, visto fallire il tentativo di condurre con sé Rosalba, portò in moglie ad uno dei suoi cortigiani Felicita, (piuttosto fascinosa se il suo autoritratto a Dresda dice il vero) la pittrice, sebbene a malincuore, perché la Sartori era la più brava delle sue discepole, la sostituì con Angioletta, sorella di Felicita.
Difficile definire i termini precisi di questa collaborazione con la pittrice di sorelle e allieve il cui stile è strettamente modellato su quello dell’insegnante; così per i quadri che con velocità uscivano dallo studio di Rosalba come del resto dall’atelier della Sirani e dell’Anguissola possiamo dire, come si usa per gli antichi maestri: opere di bottega.
Tra scoppi di risa e tirate di capelli nella loro casa-bottega le sorelle Anguissola, le sorelle Sirani, le sorelle Carriera si esercitavano in pittura ritraendosi a vicenda e lo specchio passava di mano in mano mentre malignavano, bisticciavano, si complimentavano, si invidiavano.
Fantastica fusione di mani e di riflessi che ha reso assai difficile per gli studiosi stabilire l’identità dell’esecutrice e della ritrattata ed ancora oggi su molti di questi dipinti persistono dubbi.
L’immagine di Rosalba agli Uffizi, nell’atto di dare gli ultimi ritocchi al dipinto che rappresenta la sorella, è certamente aderente alla tipologia ufficiale degli autoritratti dei pittori del suo tempo in posa accanto ai loro ritratti, ma racchiudendo nella stessa effigie di presentazione e celebrazione oltre alle proprie fattezze quella dell’amata Neneta, (la sorella Giovanna cui affidava volentieri, pressata dalle richieste, la cura delle repliche e talvolta le rifinture), come non leggervi un modo per rendere omaggio all’amica e alla fedele collaboratrice?!
Femminile atmosfera di cooperazione che si afferma nel nobile esercizio della pittura senza tradire la continuità di una tradizione familiare: un’artigiana del pizzo era Alba, la mamma delle sorelle Carriera; e di piccole complicità. Così le sorelle Carriera avevano soprannominato “burattino” il devoto maritino di Angela, la più bella delle tre e l’unica uscita di famiglia.
Atmosfere squisitamente femminili, di studi artistici, occupazioni quotidiane, divertimenti, documentate da Rosalba nel suo libro dei conti: “Comprato il satin per la signora madre… andata con la madre e le sorelle a veder li fochi artificiali… Fatte le visite insieme con Giovanna… andata con le sorelle alla commedia… andata al ballo con la sorella…”
Ai fragori di una serata mondana Rosalba però preferiva la quiete della sua casa-atelier sul Canal Grande scossa solo dal piacevole sciacquio delle acque, magari facendo una partita a scacchi con Angela e Giovanna.
Svago condiviso dalle sorelle Anguissola: Sofonisba ritrasse le sue sorelle intorno ad un tavolo da gioco sorvegliate da una vecchia fantesca. E mentre una dà scacco matto all’altra la più piccola sorride alla perdente.