Gli indizi di tempo e spazio nella poesia di Antonietta Lestingi
Ho conosciuto ed apprezzato l’amicizia e la poesia di Antonietta Lestingi già molti anni or sono, quando andavo in vacanza a Polignano a Mare (dove Antonietta vive e lavora) che, come molti ricorderanno, è il paese che ha dato i natali a Domenico Modugno, autore della canzone fortemente simbolica chiamata poi popolarmente Volare, per questo divenuto l’eroe del Sogno italiano negli anni del boom economico. Lui fu portatore del nostro persistente orgoglio (dal 1958) a livello addirittura mondiale, cosa che in qualche modo alleviò la nostra sottomissione, non solo emotiva, all’impero americano … Ma non dimentichiamo che anche Pino Pascali è nato qui. Come James Dean lui ebbe una carriera folgorante ed una tragica morte nel settembre del 1968, a soli 32 anni, a lui qui è stato dedicato un museo che porta il suo nome, l’unica Fondazione interamente dedicata all’arte contemporanea in Puglia. Poetico e profetico ribelle, fu più vicino al Neo Dada europeo che all’invadente Pop Art americana; espose armi finte e gli indimenticabili enormi pesci bianchi che uscivano dalle pareti, soprattutto espose quei quadrati azzurri d’acqua che qui esistono, ovvero grandi vasche squadrate, scavate nella roccia, nelle quali entra il mare.
Questa la circostanza, questo è il paesaggio di Antonietta Lestingi, paesaggio dove anch’io mi sono persa un tempo, in una campagna da sempre dissodata dai sassi (come ossa o conchiglie) e segmentata da geometrici muretti a secco, ma ancora disseminata di archeologia preziosa, dolorosa, che si sta sgretolando entro scenari sfolgoranti di bellezza che evocano il volo, il respiro, sopra acqua marina di un blu minerale, intenso (Nel blu dipinto di blu come cantava Modugno) ma che possiede ancora quella trasparenza che credevamo di avere perduto per sempre. Questo è il Genius Loci al cospetto del quale è nata la poesia dell’autrice, apparentemente semplice, ma sottilmente corrosiva, mentale, con un ritmo musicale che ci conduce soavemente in un viaggio della memoria che è anche la nostra, insieme con le allusioni al sogno americano/rimasto in un cantuccio/ e le disperazioni per un’altra storia o preistoria che lei ugualmente evoca – Maciullati/ i miei calcagni/ non versano/ una goccia di sangue/ ma scorre a fiotti/ zampillando/ disperata delusione/ per le colonne/ i rosoni/ le statue/ abortiti/ i trulli/ i muretti/ le chianche/ in disuso/ i dolmen/ ridimensionati/ i menhir/ sostituiti/ da altri/ mirabili simboli/ di come tendiamo/ ad andar verso l’alto/ in realtà/ per lo spazio/ che manca/ qui in basso. –
Danno il titolo al testo Le foglie, in un simbolismo che allude alla caducità ed alla trasformazione, nell’eterno intersecarsi di vita e di morte; però qui le tracce portano ad altre allusioni, ad altre conclusioni … La rima di Antonietta è breve, veloce ma sussurrata, in versi spesso di una sola parola, contenenti indizi che penetrano per osmosi, insieme all’esorcismo dei titoli, eppure mantenendo segnata (ma con discrezione) la sutura di una suddivisione del libro in due parti, come un avvertimento su ciò che dovremo aspettarci, ognuna corredata di una diversa dedica al padre …
Il manoscritto mi è arrivato senza numeri di pagina, anche per questo motivo ho ritenuto opportuno interpretarlo come un sotteso desiderio di rimanere inscritto in un tempo circolare , quello fisiologico delle stagioni e della ciclicità degli avvenimenti naturali, non in quello esasperante di un procedere temporale lineare, ansioso, crudele, che non conosce il senso del limite ma nel quale purtroppo tendiamo oggi a voler illusoriamente procedere.
Nella parte intitolata – Né in cielo né in terra – A mio padre che mi ha insegnato il viaggio e la sosta – si accede con un fermo immagine, quasi un’eternità magica nella quale il viaggio è importante tanto quanto la sosta. E’ il tempo del simbolico che evoca l’albero cosmico al quale fu appeso Odino, un collegamento sacrificale tra il cielo e la terra; ma si allude anche al non-luogo, al paradosso temporale dove Giove, ancora infante, fu sospeso in una culla d’oro per scampare a Saturno-Kronos, il distruttore dai torti pensieri. Non secondariamente tutto questo fa pensare alla ribellione adolescenziale alla “legge degli uomini” (non solo alla “legge temporale”) all’illusione di un percorso di fuga dal mondo che Italo Calvino attribuì a Il barone rampante.
In questa parte, che allude quindi alla sospensione, dominano l’aria e l’acqua alla quale l’autrice rivolge una lunga dedica sulla ciclicità e l’immortalità della loro natura, ma rivolge anche un’attenzione alla mancanza ed all’attesa – le inconsolabili attinie che soffrono quando tarda la marea, poi ancora le creature alate, l’ape che ha smarrito la strada del ritorno ed un angelo (che) /s’attarda/ in un affresco/ tutto solo ormai/ dopo che gli altri/ personaggi e la scena/ si sono sgretolati/ …
Seguono il corpo, la mente ed il cuore, ai quali l’autrice finge di dare un peso concreto, trovando punti di riferimento affettivi in questo vago galleggiare, ma in fondo sentendo che è proprio quella diletta leggerezza che sarà poi pesata nella psicostasia, alla quale tutti saremo sottoposti prima o poi. Sono infine le nuvole a segnare il ritorno alla concretezza della terra … le nuvole mi insegnano/ a guardare/ dall’alto/ nell’insieme/ ogni particolare/ ma poi si fanno pioggia/ e toccano con mano/ i profili/ le facciate/ s’appigliano/ a tutte le sporgenze/ convergono/ nei grembi/ inzuppano/ pelle carne ossa … poiché la Natura è costretta a seguire le sue leggi, come l’acqua che scorre verso il basso – perché non può non farlo, quando la terra inclina verso il mare … –
La parte dal titolo: Tra le pagine foglie, segue una nuova dedica – A mio padre che mi ha insegnato a seminare e a coltivare – Questa è all’insegna di una delicata persistenza degli oggetti, dei ricordi e delle esistenze, meno acquosa e più appartenente alla ciclicità terrestre. Anche le partenze, gli addii acquistano a volte la pesantezza di un ciottolo spiaggiato oppure una rinuncia all’eternità illusoria per una semplice gioia quotidiana, tangibile, reale – T’amo/ d’aver saputo/leggermi sul viso/ che preferivo/ al diamante per sempre/ tre pezzi di vetro …
Le foglie del titolo, ormai cadute, sono state raccolte con cura in mezzo alle pagine, sono diventate parole, che fanno rifiorire fulgide ginestre nella terra riarsa da impossibili amori, sono anche petali che possono essere separati, quelli che t’amano da quelli che non t’amano più, piante e fiori immaginati o dipinti, reali come ranuncoli, surfinie luminose e vanitose, rose che si cristallizzano come quelle del deserto, o splendono in quel cesto rosso d’amore, regalato in autunno (che da noi è come di maggio) cesto che nel tempo ha contenuto anche altri oggetti, frutta, lana, castelli di carta, bugie … Poi i semi, semi prodotti dall’orticello, diventano grani di un rosario, pane infine, ma che vale soprattutto per il gesto, quasi sacerdotale, di essere spezzato e condiviso … o il bere da una tazzina dall’orlo sbrecciato, per ricordare un’essenza cretosa. Un elaborare questo sul tema terrestre che evoca figure maschili, vaghe, volutamente indefinite, ma preziose, amate, che spariscono a volte, lasciando baci sfiorati sulla punta delle dita o sui capelli.
La terra ed il fuoco sono quindi gli elementi di questo sedimentare di emozioni, di ricordi, mentre lo stesso tempo-distruttore, si presenta a volte come un fuoco che arde in profondità, con una capacità tutta umana di produrre calore, conforto, ma anche nella versione di trasformatore alchemico, sacrificale – Ti vedo sfiorire/un giorno/poi ritornare/ a fiorire/ma la linfa/ la linfa/che scorre/ appena sotto/ la corteccia del tronco/ non passa/ dal cuore/ legnoso/ che esperti/ sapranno asportare/ lasciandoti vivo/ senz’alcuna/ ferita apparente –
Io ho visto Antonietta, molti anni fa, raccogliere fiori, ma anche arrampicarsi per prendere boccioli di cappero; ho notato che la sua grazia, nel vestirsi e nel muoversi, non era banale, era stata concessa da una divinità pagana, così come il suo amorevole gioco estetico del raccogliere le parole in un erbario, definendole con eleganza, apparentemente senza ripensamenti. Mi è venuta in mente la figura di Flora, nell’affresco di Villa Arianna, rinvenuto durante gli scavi archeologici dell’antica città di Stabiae. A piedi scalzi, con un chitone giallo mosso da una leggera brezza, su di un fondo verde, avvolgente, che evidenzia la figura leggera, solo attraverso la frastagliata linea di contorno. – M’avvolge/ con telo leggero/ di lino/ il tuo invito/ a fare due passi/ nel fresco di sera/ su chianche/ bagnate di luce/ aranciata/ove tutto/è perfetto/se il silenzio/ è perfetto.
Antonietta Lestingi nasce a Polignano a Mare nel 1954 da famiglia contadina. Dopo un agile percorso degli studi classici, intraprende il corso di laurea in Scienze Geologiche, una laurea ritagliata e concessa dal tempo dovuto a diverse esperienze lavorative in campo amministrativo, il matrimonio e la nascita di tre figli.
Dopo la morte prematura del marito, dopo nove anni di matrimonio trascorsi al paese di lui in Basilicata, torna con la famiglia al paese d’origine e si dedica all’insegnamento di Matematica e Scienze, attività che svolge tuttora. Foglie è il suo undicesimo libro di poesie dopo le raccolte poetiche: Fotogrammi (1998), Coniugando tracce (2000) con M. La Volpe, Il volto delle donne (2002), In punta di dita (2008), Poco ho da dire (2009), Come matasse all’arcolaio (2012), Della terra il respiro (2013), Nella valle sommersa (2014), Sulla pietra o nell’erba (2015), Voci (2016). E’ coautrice del testo poetico teatrale Luna di marzo (2005). E’ presente nelle antologie “Concerto”, “Voci per Polignano”, “L’infanzia primaditutto”, “Poeti italiani nel mondo”, “Parole di donna”, nel Quaderno di poesia n.47 “Il Calamaio”, “I poeti incontrano la Costituzione” a cura di Carla Guidi e Massimo De Simoni con prefazione del Senatore Franco Marini (Ediesse 2016). Ha curato la versione italiana di “Rumo aos altares” (2006) di M. Basacchi.
Il libro di poesie Foglie di Antonietta Lestingi, con note a margine, lirica per lirica, di Anna Maria Galizia, ed i commenti inseriti nel testo degli scrittori Rosita Calabria, Maurizio Di Palma, Carla Guidi,” Maria La Volpe, Mariella Napoletano, Scipione Navach, Marco Palladini, Francesco Carmine Tedeschi, è stato pubblicato da A.G.A. editrice nel 2019 e si può trovare sul sito https://www.editriceaga.it/product/foglie/ –