scalino– Secondo il recente Global Gender Gap Report del World Economic Forum170 sono gli anni che servirebbero per colmare il divario economico tra uomini e donne sul lavoro.  Davvero troppi, occorre accelerare il passo partendo da un radicale cambiamento di mentalità. Un fenomeno intangibile, che influenza enormemente la crescita professionale impattando in modo negativo sull’ambiente di lavoro e allargando il cosiddetto gender gap, è rappresentato dagli stereotipi tradotti in comportamenti abituali, e dai pregiudizi, che connotano lavoro e, soprattutto, società: basti pensare che stereotipi di genere occupano ancora oggi il 50% dell’industria pubblicitaria, nella quale ben il 40% delle donne non si riconosce (e si apre una grande opportunità di business, se si pensa che pubblicità in grado di guardare avanti impattano del 12% in più in termini di efficacia e percepito del marchio).

“Abbiamo capito che per accelerare il processo e colmare la distanza tra uomini e donne sul lavoro il primo passo da fare è cambiare mentalità abbandonando stereotipi e pregiudizi” – afferma Angelo Trocchia, AD e Presidente di Unilever Italia – “Abbiamo da tempo iniziato una rivoluzione a tutti i livelli, in azienda ma non solo. Con la campagna #unstereotype Unilever sta disegnando un percorso di cambiamento che, partendo dall’immagine della donna, si rifletta anche su un ambiente di lavoro nuovo, diverso, dove al centro ci sono unicamente l’individuo e le sue capacità professionali”.

Per approfondire il tema in tutti gli aspetti e portata, Unilever ha commissionato a TFQ (The Female Quotient) e TILLR una ricerca, basata su un campione internazionale di 9.000 intervistati[1]per sensibilizzare tutti i livelli aziendali e la società civile sulla necessità di un cambiamento di mentalità.

Lavorare è (ancora) un mestiere da uomini

Piaccia o meno, siamo tutti vittime di stereotipi sia a casa, sia sul posto di lavoro: lo pensa il 60% delle donne e il 49% degli uomini del panel e un dato decisamente impressionante è rappresentato da quel 77% di uomini e 55% di donne intervistate per i quali, quando al lavoro il gioco si fa duro, a occuparsene debbano (ancora) essere gli uomini. Perché le donne non hanno sufficiente tempo (il 61% del panel pensa che le colleghe siano spesso distratte da figli e problemi domestici) – pesa ancora molto la disuguaglianza nella distribuzione dei carichi di lavoro in famiglia (cura dei figli e casa) -, perché gli uomini sono più bravi, e via di seguito. Il 67% delle donne pensa che occorra “andare oltre” i comportamenti inadeguati (ma non è affatto facile)il 59% delle donne e il 51% degli uomini ritiene che un atteggiamento da “boy’s club” sia nocivo per la crescita delle donne sul lavoro. Il 59% degli uomini e il 75% delle donne, inoltre, pensano che la maggior parte degli uomini non vuole donne nella stanza dei bottoni:

“Siamo vittime di un circolo vizioso” – ammette Gianfranco Chimirri, Direttore Risorse Umane Unilever – “Siamo consci che occorrerebbe fare di più di fronte a comportamenti scorretti – ne è convinta poco più della metà degli uomini (55%) e ancora più donne (64%) – ma continuiamo ad alimentare gli stereotipi che, applicati nel quotidiano, hanno un impatto fortissimo sui temi dell’uguaglianza di genere. Sia che ne siamo consapevoli o meno, tutti noi continuiamo a essere soggetti ai pregiudizi nei nostri schemi mentali: dobbiamo interrompere questo cortocircuito per avviare un vero cambiamento”.

Un esempio immediato e tangibile è quello per cui gli uomini sentono di dover cambiare atteggiamento quando una donna entra in una stanza: la percentuale della percezione di questo cambiamento si attesta sopra il 60%. Per il 62% delle donne questo comportamento contribuisce a rafforzare la disuguaglianza al lavoro inibendo le donne a farsi avanti, e lo pensa addirittura il 65% degli uomini. In effetti, le aspettative nei confronti delle donne al vertice si moltiplicano se paragonate a quelle degli uomini: per questi ultimi è sufficiente “guidare il team” mentre le donne devono “guidare, essere simpatiche e anche carine” (secondo il 57% delle donne e il 51% degli uomini). Non solo: il 55% degli intervistati pensa che assumere donne sia rischioso, perché spesso mettono al primo posto figli e famiglia rispetto alla carriera. E le donne interiorizzano questa percezione più degli uomini (58% versus 52%). Sono le prime a non crederci del tutto. Fortunatamente, le nuove generazioni sono preparate: il 58% dei Millenials uomini è consapevole che un atteggiamento da “boy’s club è dannoso e porta a una disuguaglianza tra uomini e donne sul posto di lavoro e il 55% se ne chiama fuori.

Cosa fare? Abolire definitivamente i pregiudizi è l’unico modo per accorciare le distanze

Cambiare mentalità, a partire dall’alto, dai cosiddetti “vertici”, è l’unica soluzione possibile. Devono essere proprio “i capi” ad assegnare incarichi importanti senza farsi spaventare dal genere e dai pregiudizi ad esso correlati. “Gli stereotipi, i comportamenti, i pregiudizi (anche inconsciamente) giocano un ruolo determinante nell’allargare il gender – gap” – afferma Angelo Trocchia, Presidente e AD di Unilever Italia – “A livello globale, la nostra strategia è scardinare i pregiudizi attraverso fatti concreti, per questo abbiamo il 77% di dipendenti donne impiegate nella forza vendita (un ruolo tipicamente associato al genere maschile), e il 46% del top management è rosa. Non solo: attraverso welfare aziendale e percorsi di formazione, facciamo in modo di aiutare tutti i dipendenti – uomini e donne – nella gestione del proprio tempo per provare a raggiungere un equilibrio tra lavoro e privato, e nella crescita professionale, in modo da offrire pari opportunità in qualsiasi momento della vita”.

La ricerca mette in luce come anche la pubblicità abbia un ruolo fondamentale nell’arrestare il progresso culturale impattando sui più giovani: ben il 70% del campione pensa che il mondo sarebbe un posto migliore se i ragazzi di oggi non fossero esposti a stereotipi di genere nella pubblicità e nel marketing. Per contribuire in modo fattivo a un cambiamento di rotta – Unilever è tra i principali investitori in pubblicità al mondo – nel 2016 ha promosso la campagna #unstereotype per promuovere un’immagine diversa della donna in pubblicità, proponendone una più aderente alla realtà e decisamente opposta a una visione – appunto – stereotipata. Un impegno che ha avuto l’appoggio anche di seejane.org, la Fondazione creata dall’attrice Premio Oscar® Geena Davis per favorire l’educazione alla rappresentazione dei generi nei media.

Conclude Angelo Trocchia: “Ci stiamo muovendo per raggiungere una mentalità senza stereotipi sia dentro, sia fuori l’azienda. Ma non possiamo farlo da soli. Chiediamo alla società civile, ai governi e alle aziende – grandi e piccole – di unirsi a noi nel fare passi avanti, sradicare e sfidare gli stereotipi che alimentano l’ineguaglianza e fermano il progresso. Vediamo un’opportunità unica nel favorire l’influenza femminile che guidi il cambiamento: la prosperità sociale ed economica è legata alle donne che rappresentano, senza se e senza ma, il nostro futuro. Questa è la posta in gioco”.

5 consigli per affrontare e difendersi da stereotipi e comportamenti non appropriati (Elvira Venzi, Responsabile Diversity&Inclusion di Unilever Italia):

  1. Di fronte a battute o commenti sgradevoli, mettere in luce che gli incarichi vengono assegnati sulla base delle capacità, non per il genere di appartenenza
  2. Mai rinunciare a un incarico perché si pensa di non essere all’altezza, di non avere tempo perché abbiamo una famiglia (o pensiamo di averla), di non poter offrire la nostra completa dedizione…. Le scuse non mancano, ma non servono. Proviamo a pensare che meritiamo un avanzamento di carriera
  3. Far presente che l’abito che si sceglie di indossare è un’estensione della propria personalità che nessuno ha il diritto di offendere o giudicare (nel rispetto dell’ambiente di lavoro)
  4. Cercare un buon compresso tra formalità e confidenza nei rapporti tra colleghi, per evitare che termini troppo confidenziali scalfiscano l’autorevolezza
  5. Esigere di essere presentate come professioniste, con dati e fatti a supporto, prima che come colleghe o amiche

[1] I Paesi coinvolti nella ricerca sono Argentina, Brasile, India, Indonesia, Kenya, Turchia, U.K. and U.S.A.) e il panel è composto in ugual misura da uomini e donne.

Per maggiori informazioni  Raffaella Tosi   raffaella.tosi264@gmail.com