GLI UOMINI CHE UCCIDONO LE DONNE E CHE DICONO DI AMARLE NON POSSONO AVERE ATTENUANTI
Altre donne uccise dalla violenza maschile. E terminate le analisi sulle vittime di violenza, gli organi di informazione (stampa, web, radio e televisioni) puntano l’attenzione sul femminicida. Bene, si potrebbe dire. Bene perché finalmente la lente di ingrandimento non si concentra solo sulle donne (imprudenti, credulone, poco avvezze all’autotutela, e altro di ben peggio) ma si parla di “uomini che uccidono le donne”. Ma non è un bene se le interpretazioni possono, con piena ragione, essere considerate non solo inaccettabili, ma sicuramente inattendibili, scientificamente parlando.
E’ inattendibile parlare di dinamiche criminali determinate dagli impulsi: non si va ad un appuntamento con pistola, coltelli o contenitori di liquido infiammabile, se non li si vuole usare. Ma soprattutto non si scrivono nei giorni precedenti messaggi dal contenuto inequivocabile.
E’ inattendibile parlare di disperazione: la disperazione può generare sofferenza, ma la sofferenza è una emozione intima e personale, ben diversa dall’odio e dal desiderio di cancellare una vita.
Non avviene in soggetti fragili: anzi, gli autori sono esempi di rara premeditazione e violenza. Non un colpo di pistola, ma spesso ben di più. Non una coltellata, ma corpi martoriati dai fendenti.
Non è vero che se questi uomini gestiscono la rabbia del momento, poi si calmano: semmai la calma serve a pianificare con maggiori dettagli l’esecuzione successiva del crimine.
Non servono indagini sulla stagionalità dei crimini: la primavera turba gli umori, cadenza euforia o depressione, ma non incita a quella determinata e specifica forma di violenza che è la violenza contro le donne.
Ciò che ci turba, oltre tutto, è che non sappiamo, per la maggior parte dei professionisti intervistati, quale sia la loro specifica competenza professionale sulla violenza di genere, per dettagliare aspetti scientifici di questa portata. E soprattutto temiamo che i programmi per il trattamento dei maltrattanti o degli autori di femminicidio, se sostenuti da queste teorie cliniche, possano diventare il gotha nel quale fragilità, impulsività, disperazione, o anche emulazione, siano la base per attenuanti valide non solo nelle aule dei tribunali, ma anche per l’opinione pubblica e soprattutto per gli stessi assassini. (9 giugno 2016)
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