I piccoli maestri. Un dono dall’Afghanistan
Riprendiamo dalla News letter n. 31 di Articolo 3, Osservatorio sulle discriminazioni di MantovaAbdul ha solo 17 anni. Della vita conosce già molto. Un viaggio lungo sette anni (cos’altro può essere un’odissea per un bambino?) l’ha portato da Ghazni, nelle regioni orientali dell’Afghanistan che stavano per essere occupate dai talebani, [[I Talebani (movimento che nasce nel ’94) prendono Kabul e il potere nel settembre del 1996 anche se continuano a governare da Kandahar. L’Alleanza del nord però continua ad avere il controllo sul nord-est del paese.]] a Brescia, dove i carabinieri l’hanno fermato mentre, unico minorenne tra 27 clandestini, fuggiva dal camion sul quale si erano nascosti in Grecia.
Il ‘suo’ difficile viaggio l’ha reso {{un osservatore attento e imparziale, un giovanissimo uomo che conosce durezza e gratitudine, solidarietà e solitudine.}} Ha nella testa un’interessante mappa geopolitica del continente eurasiatico: sa quali sono i confini facili, quelli impossibili, i diritti riconosciuti, le regole, le rappresentazioni mentali e le aspettative relative ad ogni luogo, le reti di aiuto e di sfruttamento dei clandestini che vogliono cercare una vita normale lontano dalla povertà e, come nel suo caso, dalla guerra. Ha visto morire alcuni compagni di viaggio; sa che ad altri è stato offerto di delinquere per avere facilitazioni; c’è chi ha accettato e chi no. Sa, soprattutto, che non è facile esprimere giudizi netti sull’animo umano e sui comportamenti degli uomini. Questo in lui, più di ogni altra cosa, ammiro e mi commuove.
Ha presente un ricco inventario di figure, probabilmente quelle che ogni viaggiatore clandestino incontra: i compagni di viaggio, i cosiddetti ‘organizzatori’, i poliziotti, i camionisti, gli ospiti temporanei, i parenti. Abdul è consapevole di aver viaggiato in un mondo dove “è già tanto se uno riesce a badare a se stesso. E’ già tanto”. {{Non ci sono i buoni e i cattivi}}, ci sono paesi dove la gente vive più o meno male, dove i clandestini possono o no trovare rifugio; ci sono buone e cattive azioni e altre che non è facile giudicare con questo parametro, perché occorre capire le ragioni per cui vengono compiute. Viene in mente, tra i molti racconti di viaggi nel dolore, il più alto e completo, quello fornito nei suoi libri da {{Primo Levi}}, che scrive nella introduzione del 1947 a {{Se questo è un uomo:}}
“Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi d’accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano”.
Dopo aver letto la sua storia, pubblicata su Smaties [[Smarties è il titolo della bellissima rivista multiculturale delle studentesse e degli studenti dell’Istituto superiore Bonomi Mazzolari. E’ nata nell’ambito del progetto Raccontarsi a voce alta, voluto dall’ Assessorato alle politiche sociali – Centro di educazione interculturale della Provincia di Mantova.]] , e averlo incontrato durante un pomeriggio di dibattito sul ‘pacchetto sicurezza’ recentemente varato, ho deciso che {{Abdul poteva essere il mio ‘piccolo maestro’,[[I piccoli maestri è, come noto, il titolo di un libro di Luigi Meneghello; vi si narra, senza alcuna retorica, il contributo di un gruppo di giovani partigiani alla liberazione del nostro Paese dal nazifascismo]]}} il consulente adatto per capire, ma soprattutto valutare sul piano delle conseguenze possibili, quel che potrebbe essere accaduto ai sei minori afghani passati per Mantova in gennaio; i sei ragazzini raccolti dai carabinieri e, con ogni probabilità, ripartiti con un foglio di via, senza lasciare traccia.
I carabinieri di Brescia, nel 2004, hanno interrotto il sogno di Abdul di raggiungere l’Inghilterra. La notte successiva al suo ‘arresto’ ha dormito presso una famiglia bresciana, ha goduto il calore di una normalità possibile, almeno per una notte. Il mattino seguente:
“C’era il responsabile del tribunale per i minori, che era una donna mi ricordo bene, e io non parlavo l’italiano e neanche l’inglese tanto, però c’era un mio amico che parlava l’inglese bene bene. Mi hanno interrogato, mi hanno chiesto: – Perché sei scappato dal tuo paese, cosa vuoi dall’Italia, vuoi fermarti qua? – Io ho detto: – Sinceramente, se mi lasciate io vado via – […] E loro mi hanno detto: – Adesso sei piccolo, ti teniamo qui, vai a scuola; quando sarai grande ti manderemo nel tuo paese – E io dico: – Be grazie, ho fatto tutta ’sta fatica, resto qui due o tre anni e poi mi rimandate indietro? – E ho detto: – No, piuttosto mi rimandate subito indietro; oppure, se mi lasciate, andrò in Inghilterra, se arriverò – E mi hanno detto: – Va bene, adesso ci pensiamo; adesso ti portiamo in un posto tranquillo, vai a scuola, ci sono altri ragazzi che hanno più o meno la tua stessa età e poi, più avanti, vedremo.
– Questo discorso ti è stato fatto a Mantova?
– No, a Brescia. Poi lo stesso discorso me l’hanno fatto anche a Mantova, due volte consecutive, all’Alfaomega”. [[ dall’Intervista ad Abdul, Mantova, 12 marzo 2009.]]
Abdul è stato messo al corrente dei suoi diritti di “minore non accompagnato”: Diversamente da quanto accaduto in gennaio a Mantova ai suoi sei connazionali minorenni [[Cfr. Gazzetta di Mantova 22-23 gennaio 2009 e le nostre newsletter n° 24 e 25.]] , non si è cercato di liberarsi del problema attraverso qualche affidamento a zii presunti, individuati tra i 7 – 8 afghani che con lui erano scesi dal camion a Brescia; è stata immediatamente intrapresa un’azione coordinata tra forze dell’ordine, tribunale dei minori, enti locali e volontariato.
Forse quella prima notte presso un’accogliente famiglia bresciana ha risvegliato in lui il desiderio di affidarsi ad adulti per lui stranieri ma normali. Anche se l’Italia certo non era, e oggi ancor meno è, il Paese in cui gli afghani desideravano trovare asilo:
“Qui ci impiegano tanto per il permesso di soggiorno, per metterti a posto ci impiegano tanto, ci mettono tanto. Anche questo è uno dei motivi per cui noi scegliamo il Nord Europa. I miei cugini sono in Svezia, sono in Norvegia, in Inghilterra sono tanti e anche in Germania. Amici, parenti, anche mio cugino, sono tutti là. Perché là nel giro di tre o quattro mesi sei a posto, hai il passaporto, il permesso di soggiorno. Puoi fare il ricongiungimento familiare, tutto. Io ero in Italia, dopo due anni ero dalla famiglia dove sono adesso. Mio cugino è partito dall’ Iran per andare in Svezia. Io ero dalla famiglia e mio cugino è arrivato là. Adesso sua mamma parte dall’Iran e va in Svezia perché ha fatto il ricongiungimento familiare
– Lui ha la tua stessa età?
– Sì, un anno in meno. E io devo ancora essere messo a posto con i documenti. Queste cose…
– Fanno dell’Italia un paese speciale
– Un po’ troppo speciale”
conclude Abdul.
Gli chiedo come valuta ciò che è accaduto ai sei minorenni afghani fermati a Mantova, come interpreta il comportamento tenuto dai carabinieri; gli dico chiaramente che a me pare irresponsabile lasciare sulla strada dei minorenni, esponendoli a mille rischi di violenza, sfruttamento, criminalità. Un minorenne, uno che ha oggi tredici anni, come ne aveva lui quando è stato fermato, non ha la capacità di difendersi:
“No, non ha tanta capacità di difendersi (più a bassa voce), rischia. Ma queste persone che partono scelgono di fare questi viaggi un po’… così, ma alla fine non hanno nessuna colpa, vogliono trovare una strada migliore per vivere. Quindi loro quando partono pensano anche alle conseguenze, a quello che gli succederà o meno. Uno si chiede se arriverà al suo desiderio o se si fermerà a metà strada. Loro pensano, io ho pensato (mette forza nella voce). Io ci ho pensato.
– Sapevi che potevi correre dei pericoli.
– Sì, sì sì; io non mi lamento. Adesso sì ci ho pensato che forse ho corso troppi pericoli, però me lo sono meritato, sono arrivato”.
E aggiunge, certo ottimisticamente, che il cadere o meno nelle reti della malavita dipende dagli individui: se lui avesse voluto delinquere, in Grecia avrebbe avuto tutte le possibilità di farlo. I pericoli, però, ci sono e i carabinieri:
“sinceramente… non potevano mandarli via; non potevano lasciarli andare via, erano minorenni. Allora anch’io avrei potuto farlo […] Mah, secondo me… mah… sinceramente… loro se hanno una responsabilità devono fare il loro dovere; anche se i ragazzini minorenni vogliono andare via non possono, i carabinieri devono fare il loro dovere. A me è stato detto quando sono stato fermato:
– Guarda che noi verso di te dobbiamo fare il nostro dovere: se i tuoi amici non vogliono rimanere, non c’è problema, possono fare; ma tu sei un ragazzino e noi non possiamo lasciare un ragazzino di tredici anni in giro perché in Italia non è normale, devi essere tutelato.
– L’hanno detto in inglese al mio amico e il mio amico me l’ha tradotto. Io ci ho pensato su e ho detto: – Ha ragione. L’Italia non è che sia… non è un Paese… posso restare”.
Certo, i problemi di Abdul non sono finiti quel giorno. Dopo un po’ di tempo c’è stato un provvedimento di affido temporaneo a una famiglia mantovana con la quale si è stabilito un rapporto di mutuo rispetto e, probabilmente, di grande affetto (“C’è un vero rapporto padre-figlio”, assicura lui). Con la sua maggior età, come sempre accade per i figli degli immigrati o per i giovani migranti non accompagnati, inizierà un’altra temuta odissea: finisce la condizione di tutela garantita ai minori, finisce il programma di affido, decade il permesso di soggiorno e tutto ricomincia daccapo.
Certo, è possibile la conversione del permesso di soggiorno in permesso per motivi di studio. E poi Abdul proviene da una zona di guerra: il numero dei richiedenti asilo afghani è raddoppiato tra il 2007 e il 2008; è secondo solo a quello dei profughi provenienti dalla Nigeria. Ai sei ragazzini spariti nella nebbia doveva essere anche comunicato dai pubblici ufficiali, in maniera adeguata all’età e con l’aiuto di interpreti, che avevano diritto a fare richiesta di asilo. Lo dice una Direttiva congiunta dei Ministeri dell’Interno e della Giustizia del 7 marzo 2007.
Il governo in Italia da allora è cambiato, ma la situazione afghana va facendosi, a detta di tutti gli osservatori internazionali, sempre più drammatica e precaria. Abdul non verrà mai costretto a un rimpatrio forzato: vorremmo poterglielo garantire; cercheremo, se lo vorrà, di garantirglielo.
Mantova non può permettersi di {{perdere questa giovane straordinaria risorsa;}} non potrebbe permettersi di perderlo il nostro Paese che non ha quasi più maestri, né piccoli, come i giovani partigiani del libro di Meneghello, né grandi.
Ma agli altri sei che girano per l’Europa dopo averci appena sfiorato, chi garantirà qualcosa?
{Abdul è nato nel 1991 ed è partito dall’Afghanistan per l’Iran nel 1997. Le parole di Abdul sono brani, fedelmente trascritti, della conversazione che abbiamo avuto il 12 marzo 2009. Il racconto del viaggio di Abdul, così com’è comparso sulla rivista Smarties, comparirà dalla settimana prossima sulla nostra newsletter.}
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