E’ proprio difficile, a causa del politically correct, uscire dall’ambiguità generalizzata nella quale siamo immersi come ben esprime lo scritto di Altan nella pagina di apertura del libro della Sgrena: “Cosa dice la tua coscienza? Ne ho diverse: sono indeciso su quale mi conviene usare ”.

Scrive Giuliana Sgrena in apertura del suo bellissimo libro “Il prezzo del velo” (ed.Feltrinelli) che la sua amica Cherifa Bouatta alla domanda su come gli algerini avessero vissuto l’imposizione del pensiero di Voltaire rispose: “I francesi non volevano assolutamente imporci Voltaire, anzi non volevano nemmeno farcelo conoscere, pensavano fosse una loro esclusiva, come i principi della Rivoluzione. Siamo noi che ce ne siamo appropriati: se liberté, égalité, fraternité sono valori universali, lo devono essere per tutti, non solo per l’Occidente.”
_ E aggiunge: “E’ stato proprio il rapporto con donne come Cherifa a rendermi consapevole del {{danno che può comportare un relativismo culturale}}, che di fatto considera i valori più arretrati e le interpretazioni più fondamentaliste dell’Islam – in tutto il Sud del mondo – i più “autentici”.
_ Ho capito che questo è un atteggiamento razzista, perché si fonda sul pregiudizio di considerare i musulmani dei “diversi”.
_ Eppure, questa è una posizione molto diffusa in Europa e negli Stati Uniti “dove le femministe arabe vengono viste come cloni della civiltà occidentale dagli occidentali stessi”.

Ecco, il relativismo culturale, o, in altri termini, il multiculturalismo di cui spesso i politici parlano ma non sempre avendone chiari i contorni e la sostanza.
_ Il sociologo {{Pierpaolo Donati}} definisce il multiculturalismo (“{Oltre il multiculturalismo}, ed. Laterza) una ideologia politica “che propugna una cittadinanza inclusiva nei confronti delle culture {diverse}”, creando frammentazione della società, separatezza delle minoranze e relativismo culturale nelle istituzioni pubbliche.

Un’amica maestra mi chiede se ha agito bene in una particolare situazione con una classe quarta. Lei e le colleghe sono venute a conoscenza che i carabinieri sono andati a casa di un loro alunno marocchino per arrestare il padre dopo l’ennesima lite a base di violenza fisica, sulla figlia adolescente che non vuole vestirsi secondo i dettami dell’Islam.
_ I carabinieri li aveva chiamati il bambino su richiesta della madre. La mia amica maestra e le colleghe avevano voluto comunicare all’alunno di essere a conoscenza dell’accaduto, senza esprimere alcun giudizio, dimostrandosi disponibile sul piano del contenimento affettivo: infatti lui si era abbandonato a un pianto liberatorio dopo tanti giorni di cupa tristezza e chiusura.
_ Ma era quello il comportamento giusto, si chiedeva?
_ La maestra aveva anche aggiunto che le capita spesso di incontrare, al paese dove insegna, madri musulmane di ex alunni che tanti anni fa, al momento del ricongiungimento familiare, non si velavano, mentre ora girano ben coperte in osservanza dei dettami relativi al “pudore” femminile quale garante dell’onore della famiglia.

Un’altra maestra, con il ruolo di “facilitatrice”, racconta che già in quarta elementare alcune comunità, soprattutto quella pachistana, velano le bambine e chiedono che vengano separate dai maschietti nei banchi della classe.
_ Prontamente accontentati in nome del multiculturalismo perché, come scrive Donati, come dottrina è nata “per promuovere la tolleranza e il reciproco rispetto fra culture differenti, nell’assunto che esse siano inconciliabili”.

Apparentemente favorendo il riconoscimento del diritto alla diversità culturale, ma in realtà fallendo nel suo intento e favorendo le enclave .
_ Le identità culturali “non potendo essere né giudicate né confrontate, non devono fare alcuna differenza nella sfera pubblica e quindi devono tutte essere pubblicamente sostenute mediante interventi di {pari opportunità}.”
_ Infatti un pachistano ben inserito in Italia, mi dice esplicitamente che ora sua figlia esercita uno sport oltre l’orario scolastico in ambiente misto, ma appena avrà raggiunto la pubertà glielo impedirà.
_ Essendo anche un mediatore culturale sente di poter dire con tutta tranquillità che è un dovere delle istituzioni italiane garantire alla sua famiglia di esercitare la fede islamica a partire dal cibo (nelle mense), agli orari per la piscina separata per sesso, ai medici donne per la moglie e la figlia, le classi distinte per sesso, ecc. ecc..
_ {{Non si scorge certo il problema che comporta la socializzazione all’identità sessuale all’insegna della separazione fra maschi e femmine}}: la qualità delle relazioni in fondo decide quali potenzialità degli individui (esperienze vitali, valori, diritti) verranno salvaguardati oppure no.

{{
Chi si pone il problema delle conseguenze dei ricongiungimenti familiari}} (auspicabili peraltro ) degli immigrati rispetto alle donne ?
_ Ovunque, a cominciare dalla Francia che ha già le terze generazioni dei figli di immigrati, {{quando le giovani donne rivendicano la libertà di decidere, incontrano difficoltà interne alle comunità e solitudine all’esterno}}.

Chi si chiede che cosa fare quando alle ricongiunte viene sottratto dai mariti il passaporto, vietato l’incontro con le “infedeli”, vietata la possibilità di apprendere la lingua italiana o l’offerta di studiarla nei centri culturali islamici sotto stretta sorveglianza maschile?
_ Mi raccontava una consulente familiare di avere aiutato una donna marocchina a separarsi, ma di essersi scontrata con la mediatrice culturale contraria in quanto le donne hanno il compito di salvaguardare la coesione della famiglia; anche a prezzo del sacrificio della propria libertà e realizzazione .

Giuliana Sgrena racconta le parole di {{Nada Ler Sofronic}}, sociologa, femminista e direttrice di Women Studies di Sarajevo: “Ci troviamo di fronte a una {ri-tradizionalizzazione} e {ripartriacalizzazione} della vita privata e politica con l’aumento dei fondamentalismi religiosi e del clericalismo”.

Non vale soltanto per l’ex Jugoslavia. Nella situazione dell’immigrazione l’appartenenza alla comunità dell’origine con i suoi riti, simboli e norme comportamentali, fornisce sicurezza identitaria. Il pudore e la vergogna delle donne stanno alla base dell’onore degli uomini. “L’onore e lo zelo dell’uomo musulmano, senza i quali egli è nulla, sono alla mercé del velo della donna. Ogni contatto, ogni tentativo di avvicinamento tra i due sessi disonora l’uomo musulmano. Non è la relazione sessuale a essere un tabù: l’altro sesso, il corpo femminile, è in sé un tabù”. Così scriveva qualche anno fa l’iraniana Chahdortt Djavan ({Giù i veli}, ed.Lindau), riparata in terra francese.

Chi è stato in Iran come me di recente avverte tutta la pesantezza dello spettacolo quotidiano di donne con lo chador che copre dalla testa ai piedi, preferibilmente nero o marrone, mentre gli uomini vestono secondo l’abbigliamento maschile occidentale. _ Bisogna provare sulla propria pelle cosa significa coprire il capo con il velo e portare camicioni con maniche lunghe quando il sole picchia e alza la temperatura fino a 35 gradi già alla fine di aprile.
_ Bisogna scorgere l’intima soddisfazione sul viso degli uomini italiani nel poter vivere (finalmente?) la differenza di genere come complicità con i maschi del luogo.
_ Fa male vedere allegre giovani delle medie superiori costrette a portare sopra abiti occidentali lo chador d’ordinanza. Persino le bambine delle elementari portano un foulard anche se di colore azzurro intenso.
_ Fa male pensare che tra la folla di gente allegra e ospitale circola l’onnipotente guardia della Rivoluzione (i Baziji) che controlla (non vista) le donne per scoprire eventuali “malvestite”.

Bisogna provare a entrare (dalla porta riservata alle donne) in una moschea con una supplementare stoffa a copertura integrale (appunto lo chador o tenda) messa a disposizione in uno scatolone, per sentire il proprio corpo fino in fondo proprietà maschile di alcuni (padri, figli, fratelli) da proibire alla vista, e al contatto, di tutti gli altri.

Il sito delle “donne democratiche iraniane “ ha dato di recente la notizia dell’{{inasprimento delle misure per perseguire le donne “malvelate”}}: ”L’instaurazione delle squadre mobili dei basiji nell’estate scorso in nome dell’aumento della {sicurezza} hanno aumentato la repressione e dietro alla lotta alle donne “malvelate” il regime dei mullà tenta di domare la situazione esplosiva e le ribellioni di milioni di studenti, lavoratori, donne e giovani di tutto l’Iran”.

Sono d’accordo con Donati: “Se parliamo di religioni, per esempio, dire che le differenze religiose giocano in maniera relazionale significa dire che la creazione di una sfera pubblica laica viene qualificata {religiosamente} in quanto le religioni hanno un ruolo nel definire la ragione pubblica“.

Il foulard obbligatorio per giare in Iran (già nel visto sul passaporto), ha riportato le più anziane del gruppo alla propria storia personale, quando in chiesa le donne mettevano il velo. O peggio, quando le ragazzine puberi venivano dai preti invitate a evitare gli abiti senza maniche in estate.
_ Lo scopo era lo stesso: non eccitare i maschi, mantenersi “pure” per lo sposo. Imitare la Madonna.
_ Ma da noi si insiste: “quando è una scelta libera delle donne musulmane…”

E’ proprio difficile, a causa del politically correct, uscire dall’ambiguità generalizzata nella quale siamo immersi come ben esprime lo scritto di Altan nella pagina di apertura del libro della Sgrena: “Cosa dice la tua coscienza? Ne ho diverse: sono indeciso su quale mi conviene usare ”.