Il comune di Napoli e il servizio non indispensabile
Nella complicata nomenclatura burocratica alla ricerca dei fondi perduti, per servizi già resi volontariamente, si legge una definizione “il centro antiviolenza del Comune di Napoli è un servizio non indispensabile”.
È stato complicato affermare in Italia che la violenza sulle donne è sessuata e non sessuale, che è un problema politico, e che se è politico comporta volontà e gesti amministrativi. Affermarlo è stato difficile, tradurlo in pratiche di governo sarà difficile e la strada è ancora deserta sul fronte Istituzionale. I servizi che ad oggi vengono nominati e vantati come servizi alle cittadine sono quelli di sempre: organizzati volontariamente dalle donne.
_ È un vero sopruso quando lo Stato, le Regioni e i Comuni trattano questi servizi come di loro proiprietà, spesso decidendo di non rimborsare prestazioni e di non retribuire il lavoro libero professionale prestato.
_ È così che il Centro Erinna, il Centro Lanzino e chissà quanti in tutta Italia si sono visti costretti alla precarietà se non alla chiusura. Il Centro Antiviolenza del, sarebbe meglio dire nel, Comune di Napoli, {{il servizio non indispensabile}}, segue da anni lo stesso destino di precarietà, ma in una curiosa situazione: è rivendicato come struttura dal Comune, offre prestazioni che sempre più donne chiedono, ma il denaro necessario arriva o non arriva per strade sempre più tortuose . Non indispensabile,{{ suona come uno sberleffo}}, ma davvero ci piacerebbe fosse un auspicio. Niente violenza, niente centro.
Da anni ormai le donne percepiscono come {{mortificante l’ alternativa assistenziale}}, che sappiamo essere anche un affare. Le Vittime della violenza non vogliono, ma sono costrette a farlo, nascondersi, non vogliono una protezione sine die, vogliono lavoro e autonomia, risarcimento, vogliono abitare la stessa casa di “prima”, fare la spesa nei negozi “di prima”, mandare i figli a scuola nello stesso posto “di prima”, e camminare a testa alta. A testa alta perché se lo meritano, per aver reso un servizio allo Stato: ostacolato la diffusione di un crimine a carattere sociale (e organizzato), salvato i bambini dalla riproduzione di condizionamenti criminogeni per farne donne e uomini liberi. Donne e uomini liberi per lo sviluppo futuro del Paese.
La spesa sociale d’investimento è questa, ma lo Stato e i Comuni che asfissiano Erinna, il Centro Lanzino e il Centro Antiviolenza Aurora di Napoli sono fermi, stentano a provvedere al minimo, cioè al ricovero e agli interventi sul dopo violenza. E le donne sono costrette a rivendicare almeno quelli, un necessario passaggio che non passa mai perché è concesso col contagocce.
{{Ma che affare è l’Antiviolenza?}} Per le donne che la agiscono non è un affare, è un’urgenza che fa spendere sempre di più di quanto non si possa. Ma per alcuni è un vero affare: per esempio per i dipendenti comunali con le loro case famiglia. Case famiglia che hanno prosperato nella mancanza di strutture di prima accoglienza.
{{L’antiviolenza fa scorrere fiumi di denaro Europei che non arrivano mai dove devono}}. Deviano, si infiltrano nel tessuto di una politica che nelle ristrettezze non prova imbarazzo a togliere alle donne e dare alle curie, come ha fatto a L’Aquila. La Chiesa cattolica, come le altre, non può e non deve affrontare il tema della violenza: le religioni guardano alla famiglia, vogliono ricostruirla ad ogni costo, e ove proprio impossibile, coltivano nella vittima l’immagine della diseredata. Sostituiscono la pietà al diritto.
{{La ministra Fornero}} ha “programmato” (ignara?) che l’antiviolenza sarà fatta dal suo governo con i fondi Europei. È il caso che prima di procedere nella sua programmazione controlli come e dove sono stati spesi i soldi dei progetti conclusi, o addirittura come non sono stati spesi. Non spesi, certo perché a volte è anche più conveniente non spenderli, perché in mano alle donne diverrebbero produttivi, potrebbero liberare qualche vittima in più. E non si potrebbe più dire che la violenza sulle donne è ineluttabile.
Stefania Cantatore (Udi di Napoli) Clara Pappalardo (Arcidonna)
Marzo 2012
http://udidinapoli.blogspot.com
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