Il covid non ha solo accentuato le povertà e le diseguaglianze ma anche un distanziamento tra giovani e meno giovani
Il “cavaliere nero” lo avrebbe chiamato Gigi Proietti il covid 19 che nulla di cavalleresco ha nella sua natura. Contro ogni negazionismo e malafede, sappiamo che il coronavirus non è una influenza ma una malattia gravissima. Stiamo tutte e tutti sotto lo stesso cielo e nella stesso pianeta, ma non in modo uguale. La pandemia non è una “livella” che ci rende tutti uguali, non è cieca ed è figlia del consumismo, del capitalismo, dello snaturamento dell’ambiente. Ha reso ancora più forti le diseguaglianze, le povertà, le fragilità, le ingiustizie . Ha ancora di più “distanziato” i giovani dai meno giovani, non creando nessun patto generazionale, ma rompendo quello che forse c’era stato negli anni ’70.
Molte, molti di noi speravano che i disagi forti che stiamo vivendo, rafforzassero le coscienze e ne creassero altre, specialmente fra giovani. Coscienze personali, civiche e politiche dentro una comunità. Coscienze che creassero anche una nuova cultura delle relazioni, dello stare insieme, della politica e della cosiddetta democrazia e, che ci rendessero più civili ed umani.
Un bel terzetto che dovrebbe andare a braccetto sarebbe: la salute prima della democrazia e prima dell’economia. Concetti forti ma auspicabili, espressi da vari filosofi (De Masi) e qualche politico.
Prendo spunto da alcune dichiarazioni fatte sulla non indispensabilità delle persone anziane e la loro improduttività, fatte da personaggi pubblici ed anche dall’articolo di Enzo Scandurra su “Il Manifesto” di domenica scorsa, per ribadire che, purtroppo, come dice Scandurra, “Le ragioni dell’economia sono sempre più forti rispetto a quelli della salute”. Ma rifletto anche sul fatto che nessuna libertà è stata tolta ai giovani dalle persone anziane o a qualcun’altro, perché non stiamo in una dittatura sanitaria. Forse abbiamo provato a togliere giustamente la libertà di non contagiare gli altri. Le libertà per cui lottiamo da decenni sono altre. Tristi le persone che non si sentono libere perché portano una mascherina o non escono tardi la sera.
Negli anni ’70 scendevamo in piazza gridando “studenti e operai uniti nella lotta” ed eravamo di tutte le età a manifestare. Oggi ogni categoria scende in piazza come una corporazione. Non ho visto scendere in piazza certe categorie per il diritto delle donne a lavorare fuori casa, a non farsi più stato sociale, giovani e vecchie, o contro i licenziamenti di persone tra i 40 e i 60 anni e le chiusure di tante fabbriche. Oppure contro il telelavoro a casa o all’inglese “word at home”, perché così come viene fatto è l’anticamera di licenziamenti sicuri.
Tutti hanno diritto alla salute pubblica, alla sicurezza, al lavoro e allo studio. Ma il capitalismo dimentica, per sua comodità che sono le persone più o meno anziane che ancora lavorano per mantenere i giovani senza occupazione e, che sono sempre le persone più o meno anziane, in maggioranza donne che diventano “servizio”, in manca di un vero stato sociale.
In questa orribile epidemia dobbiamo proteggere tutti, ma particolarmente i più fragili, gli anziani, i malati, i disabili, i poveri. Certamente però la soluzione non può essere quella di far stare a casa le persone dai 70 anni in su indiscriminatamente, senza creare validi supporti a chi sta solo, a chi una casa non la ha e privando le persone un po’ più in là con gli anni della libertà di continuare a vivere e sentirsi utili. Si dovrebbe mettere mano alla costruzione di ospedali, dare più fondi alla ricerca, assumere più medici e infermieri e aiutare economicamente e psicologicamente chi ha più bisogno. Soprattutto far rispettare le regole per abbattere il contagio. Nelle scuole sarebbe opportuno introdurre una educazione civica, alla cittadinanza, ma anche una educazione ai sentimenti. L’educazione ai sentimenti dovrebbe portare a recepire gli altri come persone, di qualunque età, non come ruoli sociali. Non si deve invece parlare di persone anziane come improduttive e non più indispensabili, perché tutto ciò suona come cose già sentite e viste nella storia, come mentalità nazista. Possiamo anche dire che il grado di civiltà dei popoli si misura da come sono considerate le donne e gli anziani? Io dico di si, aggiungendo però che si misura anche dal grado di ingiustizia, di povertà, di sfruttamento.
Come dice ancora il giornalista de “Il Manifesto” sono stati messi i giovani e i vecchi come avversari fra loro. Se lottiamo per un pianeta diverso credo sia umano e giusto farlo puntando a battere le diseguaglianze, le ingiustizie, unendo le generazioni non allontanandole, ferme restando tutte le cosiddette restrizioni per combattere la pandemia, per proteggere noi e gli altri e per cominciare a relazionarci come esseri umani e persone.