Il “diario partigiano” di Ada Gobetti
In occasione del 80mo dell’armistizio dell’8 settembre del 1943, inizio della Resistenza, fondamento della Repubblica Italiana, proponiamo alla lettura/rilettura Diario Partigiano di Ada Prospero Gobetti Marchesini, una delle 21 Madri costituenti.
Ada Prospero Gobetti Marchesini (Torino 23 luglio 1902 – Regalie [To] 14 marzo 1968), figlia di Olimpia e Giacomo Prospero, dai precoci sentimenti antifascisti.
Terminato il liceo collaborò con e poi sposò Piero Gobetti (1901-1926), editore e antifascista della
prima ora, antecedente la Marcia su Roma (7-31 ottobre 1922) e con lui partecipò al movimento
Rivoluzione Liberale appoggiando le lotte operaie che dilagavano nelle aree industriali e portuali,
contro le quali la grande industria appoggiò la presa di potere di Mussolini nel 22.
Giovane vedova per la morte di Piero, esule in Francia, per i postumi di un’aggressione squadrista
subìta a Torino, Ada crebbe il figlio e conseguì la laurea in Lettere e Filosofia.
Insegnante, traduttrice, articolista (nel dopoguerra giornalista e prima Vice Sindaco di Torino,
Senatrice, prima biografa di Camilla Ravera), Ada si risposò con Ettore Marchesini, con lui fu fulcro del
movimento liberal-socialista Giustizia e Libertà (1937)
Nel novembre del 1943, Ada Gobetti fondò il primo Gruppo di Difesa della Donna e d’assistenza ai
Combattenti per la Libertà (GDD) insieme a Maria Bronzo Negarville (PCI), Irma Zampini (PLI),
Medea Molinari (PSI) e Anna Rosa Gallesio Girola (DC) che ricorda l’amica e poi collega giornalista,
in “La semplicità di Ada”.
Diffusi capillarmente nell’Italia occupata dai Nazisti e dai Fascisti (Repubblica Sociale Italiana, o di
Salò (RSI) voluta da Hitler e capeggiata da Mussolini), i GDD operarono in sinergia con il Comitato
Nazionale di Liberazione (C.N.L.) e Comitato Nazionale di Liberazione Alta Italia (C.N.L. Alta
Italia) e le Combattenti Volontarie per la Libertà, producendo anche stampa clandestina.
Il primo bollettino dei GDD, composto nella mitica casa/tipografia di Ada, Via Forni 6, comprendeva
informazioni e istanze emancipazioniste il cui forte portato impedì l’ennesima cancellazione delle
richieste suffragiste, dall’Unità, e portarono al voto le Italiane nel 1946.
Opera iconica insieme a l’Agnese va a morire, di Roberta Viganò (Einaudi, 2017), Diario Partigiano
intreccia lo sguardo di donna, di madre di giovane partigiana, di combattente a pieno titolo: nella
smobilitazione, Ada ebbe il grado di Maggiore dell’Esercito di Liberazione in quanto, co-fondatrice del
Partito d’Azione, comandò con Bianca Guidetti Serra, la Brigata partigiane GL in Val di Susa,
Commissario politico della IV Brigata, Medaglia d’argento al valore militare.
L’8 settembre 1943 è la data effettiva dell’Armistizio firmato il 3 settembre a Cassibile da Piero
Badoglio (nominato da re Vittorio Emanuele III dopo la destituzione di Benito Mussolini da parte
del Gran Consiglio del Fascismo). E’ l’inizio della Resistenza; la lotta per liberare l’Italia
dall’occupazione tedesca e dalla RSI dove tra l’altro erano rimaste vigenti sia le Leggi razziali che il
Tribunale Speciale per antifascist* aperto nel 1926 (Mammuccari M. e Miserocchi A., Le donne
condannate dal Tribunale speciale recluse nel carcere di Perugia, La Pietra edizioni, 1980).
Altra parte d’Italia, in mano degli Alleati e del Regno del Sud (monarchia Savoia) dove il re era
fuggito al riparo dalla vendetta nazi-fascista.
Ada pubblicò Diario Partigiano nel dopoguerra, su suoi appunti presi in inglese e da lei cifrati.
È una presa di coscienza, lucida, di ciò che stava accadendo e sarebbe avvenuto, data l’esperienza
nell’antifascismo, nel linguaggio politico, nell’attenzione al sociale che sempre l’aveva contraddistinta.
Era della generazione che s’era affacciata, diciassettene, alla Prima Guerra Mondiale e vi era cresciuta
dentro, sapeva riconoscerne le distruttive dinamiche, sapeva cosa avrebbe portato con sé. In guerra si
cresce in fretta e la stessa cosa sarebbe accaduta a suo figlio Paolo, nel ’43 diciassettenne.
Scrisse delle sue angosce e delle sue intuizioni, tragicamente confermate dal proseguire del conflitto.
Testimonianza diretta, di delicato quanto sensibile afflato, dichiara verità insopprimibili: non è un
diario, non è un romanzo, non è un’autobiografia; fissa il sentimento o l’azione che accade, lo sottrae
all’eventuale modificazione del ricordo.
Vi si legge l’immediata scelta di lottare per la libertà, l’indomito coraggio di chi affronta dopo la
dittatura, la fame, l’occupazione tedesca anche una guerra civile, perché tale fu.
18 settembre ‘43: Arrivando alla stazione, a Torino (da Meana), mi sono trovata dinanzi a un grande
ritratto di Mussolini a cavallo, con l’esprit sul berretto e la mano alzata in saluto romano. Non ho provata
la minima reazione. Conta così poco ormai. E l’odio mi pare assolutamente sterile (p. 35).
13 ottobre ‘43: L’Italia ha dichiarato guerra alla Germania: siamo dunque cobelligeranti con gli alleati.
Ma La notizia non mi ha fatto nessuna impressione. Per noi non c’è differenza. Forse avrà una certa
importanza per quelli che aspettavano gli ordini di Badoglio (i quali però se nono tornati ormai
tranquillamente a casa): non certo per i nostri montanari di qui, né per gli operai di Torino. La guerra
siamo noi che la facciamo, la nostra guerra – e poco c’importano i crismi di un’autorità invilita, cui più
nessuno crede. (p. 39)
4 febbraio ’44, Meana: questa sera, arrivando, ho trovato Paolo tornato da un giro (partigiano) di due
giorni nella Val Bousson, con Gianni. Han dormito nella caserma dei carabinieri abbandonata, proprio
sulla frontiera. Han trovato una quantità di arma, che bisognerà provvedere a portar via, e molti
documenti interessanti: tratti d’artiglieria, facsimili di passaporti di ogni paese, elenchi di persone
sospette da non lasciare espatriare. E han preso utili contatti con i paesi vicini. (p. 87)
5 aprile ’44 (n.dr. dopo l’arresto il giorno prima, di tutti i membri del Comando Militare delle
Formazioni del Piemonte): La loro posizione è gravissima, hanno imbastito una specie di processo, ed
evidentemente per dare un esempio intimidatorio (…) Li hanno fucilati all’alba, al Martinetto. Una
volontà di battaglia esasperata fino al furore mi squote; e capisco che cosa vuol dire <vendicare i nostri
morti.>
Inizi Aprile ’45: presto sarebbero giunti gli Alleati. Non ci sarebbero più stati bombardamenti, incendi,
rastellamenti, arresti, fucilazioni, impiccagioni, massacri. E questa era una grande cosa. Neanche mi
spaventavano le difficoltà pratiche, materiali, che bisognava affrontare per ricostruire un paese
disorganizzato e devastato (…) confusamente intuivo però che incominciava un’altra battaglia: più
lunga, più difficile, più estenuante anche se meno cruenta. Si trattava ora di combattere con più contro la
prepotenza, la crudeltà e la violenza – facili da individuare e da odiare – ma contro interessi che
avrebbero cercato subdolamente di risorgere, contro abitudini che si sarebbero presto riaffermate,
contro pregiudizi che non avrebbero voluto morire: tutte cose assai più vaghe, ingannevoli, sfuggenti. E si
trattava inoltre di combattere tra di noi e dentro di noi stessi, non per distruggere soltanto, ma per
chiarire, affermare, creare (p. 375).
La monarchia Savoia uscì sconfitta dal Referendum del 2 e 3 giugno 1946, con largo concorso delle
donne. Ada Gobetti entrò al posto della (malata) eletta Muso (Partito dell’Uomo qualunque) nella
Costituente che propose la Costituzione della Repubblica Italiana, firmata da Enrico De Nicola,
promulgata il 27 dicembre 1947 e in vigore dal 1° gennaio 1948.
Successivamente, Ada Gobetti si avvicinò all’area comunista, affrontò nuove sfide di movimento ed
editoriali (“Riforma della scuola”), scrisse novelle e favole; attivista per i diritti umani, non tralasciò
mai di occuparsi delle donne e dell’infanzia.
Aprì, in ultimo, con il figlio, la nuora Carla Nosenzo e Norberto Bobbio, il Centro Studi Paolo Gobetti.
Info: Gobetti Ada; introd. e note di Goffredo Fofi, Diario partigiano. – Torino: Giulio Einaudi editore
1956.