Il diritto a non sorridere
Quasi sempre sfuggo dalla lettura dei giornali, non la scelgo come ‘cibo’ preferito per la mente. Eppure, i giornali sono fonte di notizie e quindi di conoscenza, del mondo, degli altri e in ultima analisi di se stessi. E dunque, bisogna prenderne ogni tanto di questo cibo.
Così, prima di buttarli, coscienziosamente nella carta, sfoglio i giornali, li guardo, mi lascio assalire dalla curiosità per un titolo, avvincere da una scrittura, una storia, una polemica. Finalmente mi nutro anch’io. Ma ne esco devastata.
È difficile sopportare alcune {{notizie di sciacallaggio sul dolore umano}} che sta intorno ai peggiori fatti di cronaca. Andare a scoprire l’intimità, fosse anche quella dei colpevoli, fa sentire sciacallo anche me un po’; leggere i disastri causati da una sprovveduta gestione del patrimonio pubblico, anzi dell’umanità, fa montare il desiderio di vendetta più bieco e primitivo; leggere come la gente perda il proprio tempo a recriminare per i propri piccoli orticelli calpestati, calpestando a sua volta le vite degli altri e poi invocando il taglione.
Capita che quasi sempre lo sguardo si posi su articoli terribili o inutili, che discriminano persone e opportunità, capita di leggere il brutto tra ciò che accade… eppure è questo che salta agli occhi e avvince. E nausea. E fa smettere.
Un articolo soltanto, di queste letture da pulizie, mi ha rincuorato (senza nascondere la rabbia per tutte le volte che non è accaduto quello che vi si racconta):{{ le commesse di Zara a Firenze}} chiedono e ottengono – soltanto dopo la minaccia di riferire ai giornalisti – di {{andare al funerale}} di un loro collega di 21 anni morto in un incidente stradale.
Avevano chiesto anche {{il diritto a non sorridere per forza}} durante il lavoro di quel giorno e di non essere assalite dalle note infingarde della musica da shopping. Ma {{niente da fare!}} Solo il funerale è stato concesso loro; e dopo: {shopping must go on}.
Sì, l’amarezza anche per questo articolo non si può nascondere, perché oltre al diritto calpestato – anzi{{ il doppio diritto calpestato}}: quello di essere compianti in caso di morte e quello di non essere felici in caso di lutto – fa venire in mente il caso simile. E’ avvenuto a {{Mantova}} alcuni mesi fa, quando un dipendente del {{supermercato GS}} è morto in un incidente: le commesse non hanno avuto la stessa prontezza di minacciare la Direzione con una pessima figura mediatica quando{{ è stato loro negato il permesso di fermarsi qualche minuto per ricordare il collega}}.
Io, nel frattempo, ho buttato via la carta, con essa la miniera di conoscenza che conteneva, e ora cercherò di rispettare la mia tendenza anoressica, fino al prossimo scrupolo di coscienza. Sarà un alibi per la mia pigrizia mentale? Ma l’amarezza che rimane non fa da alibi a nulla.
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