Il disprezzo per le donne in una maglietta
La buona notizia: grazie alla segnalazione in rete e sui social network , tra le altre, dell’associazione Il Cacomela http://ilcacomela.blogspot.it, che promuove, sulle alture di Modena, una scuola autogestita libertaria per bambine e bambini delle elementari, la Società autostrade ha provveduto a far rimuovere, da un autogrill nella zona di Anagni, una collezione di magliette sessiste, diffuse in molte altre stazioni di servizio.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=568962903209916&set=pcb.568963723209834&type=1&theater .
Le scritte sono un repertorio non nuovo, assimilabile al refrain senza fantasia che mette insieme la sottocultura da ‘donne e motori’, il virile eloquio da puttaniere esperto, lo stile ‘spigliato’ da cabaret televisivo per il quale la sessualità è geometria e il corpo femminile strumento da consumare deprivato dall’emozione, e via così.
Quello che colpisce, oltre allo sdegno per l’esposizione in un luogo pubblico come l’autogrill di tanto odio verso le donne (se non fosse abbastanza chiaro dalle immagini ecco alcune perle: ‘ho cambiato la macchina e la donna: una succhiava troppo, altra troppo poco’; ‘la donna (con accanto una lavatrice) dà il massimo a 90 gradi’; ‘la mia auto 4 euro, una mia amica 60 euro all’ora’) sono le reazioni alla segnalazione.
Escludendo quelle preoccupate e addolorate per come il sessismo ancora imperi indisturbato (qualche forma di denuncia forse una maglietta antisemita, blasfema o omofoba l’avrebbe raccolta) le reazioni sono raggruppabili in due grandi filoni: quelle mosse da convinzione benaltrista e quelle della serie le ‘femministe non sanno ridere’. C’è ben altro di cui occuparsi, afferma la corrente benaltrista: c’è la crisi, manca il lavoro, il governo fa schifo, troppi stranieri in giro.
Poi il secondo gruppo: che sarà mai una scritta su una maglietta? E farsi una risata? Non vorremo mica giudicare le persone da quello che indossano? L’umorismo è solo umorismo, e via così.
Fermiamoci un istante a ragionare, come suggerisce, in una pagina facebook dove è partito lo scambio, chi sostiene che “quelle ‘innocue’ magliette veicolano un immaginario e un’idea della donna che mi offende, una idea molto diffusa nelle giovani e nelle vecchie generazioni, dall’ex premier al ragazzino e se ne vedono le conseguenze. A me il sorriso non lo strappano più, nè al maschile nè al femminile, sono stanca di vivere in un Paese così intrinsecamente sessista. Non è un problema di gusti, le magliette comunicano, il messaggio è molto chiaro”.
Mettere le donne al loro posto: volenti o nolenti è questo il messaggio che passa.
Puoi essere intelligente, affermata e capace sul lavoro, ma quella maglietta ti rimette al tuo posto nella catena, perché non c’è come ridurre una donna al suo sesso per depotenziarla. Certo, è possibile depotenziare anche il più potente degli uomini, ma non c’è partita tra i generi, nell’avvilente gara dell’insulto e della mancanza di rispetto. Il problema non è il senso dell’umorismo, è la mancanza di educazione alla relazione, (in famiglia, a scuola, nella società) l’assenza della percezione del pericolo che la cultura sessista rappresenta nella vita quotidiana, il vuoto di responsabilità individuale e collettiva per gli effetti che produce il rappresentare, il parlare, il ridere delle donne in modo così odioso e offensivo.
Tra la dissacrazione del potere (il re è nudo) e la violenza di queste scritte c’è un mondo.
Cominciamo con il dire che queste magliette sono violente, scriviamo civilmente a chi le espone affinchè le rimuova, facciamo lavorare i neuroni, creiamo discussioni perché serve cultura, condivisione e attivazione di spirito critico, non stiamo in silenzio.
In questo caso le magliette sono state tolte, ed è già un primo passo.
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