Il divario occupazionale tra donne e uomini è dell’11,6% e costa all’Europa 370 miliardi di euro ogni anno.
Il 26 aprile 2017 la Commissione europea ha pubblicato lo European Pillar of Social Rights, proposta a lungo attesa con la quale l’Ue mostra tutta la sua intenzione di rafforzare l’implementazione dei diritti sociali in tutti gli Stati membri. Scopo del Pilastro è quello di essere guida efficiente verso nuovi tassi di occupazione e di rispondere alle sfide cui l’Unione è chiamata in tema di diritti sociali. 20 i principi chiave raccolti in tre macro ambiti: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, eque condizioni di lavoro, inclusione e protezione sociale.
Nell’ambito del Pilastro europeo dei diritti sociali, la Commissione ha presentato una serie di iniziative legislative e non legislative concernenti l’equilibrio tra attività professionale e vita privata. “Viviamo nel XXI secolo e il nostro atteggiamento nei confronti della vita e del lavoro, delle donne e degli uomini deve essere al passo con i tempi. Le nostre figlie e i nostri figli non dovrebbero essere tenuti ad aderire ai modelli dei nostri nonni. Non esiste un solo ‘giusto equilibrio’: si tratta di scelte. È ora che diamo a tutt* la possibilità di scegliere davvero come desiderano plasmare la propria esistenza, crescendo i figli, dedicandosi alla carriera, occupandosi dei familiari anziani, vivendo la propria vita.” ha dichiarato il primo Vicepresidente Frans Timmermans nel giorno della presentazione del pacchetto.
Nell’Ue le donne sono ancora sotto rappresentate nel mercato del lavoro. La perdita economica dovuta al gender employment gap è stimata essere di 370 miliardi di euro all’anno.
Nel 2015 il tasso medio di occupazione delle donne tra i 20 e i 64 anni nei 28 paesi Ue era pari al 64,3% rispetto al 75,9% di quello degli uomini, tradotto significa che il gender employment gap in Europa è dell’11,6%. Il gender employment gap varia molto tra gli Stati membri. Nel 2015 il gap inferiore era della Finlandia con 2,1%, seguito dalla Lituania 2,4%, dalla Lettonia 4,1% e dalla Svezia 4,2%. Questi quattro sono gli unici Stati membri con un gender employment gap inferiore al 5%.
Sono cinque invece, e in coda a tutti, gli Stati che registrano un gap superiore ai 15 punti percentuali: Repubblica Ceca (16.6%), Romania (17,5%), Grecia (18%), Italia (20%) e Malta 27.8%. Questo dato così poco confortante è dovuto alla bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro in questi paesi.
Per quel che concerne la popolazione, in generale il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni nel 2014 si aggirava tra il 54,9% e l’80,5%. Tra gli Stati che avevano un gender employment gap basso (al di sotto del 5%) il tasso di occupazione era per l’Ue 28 intorno al 70,1%.
Tra i paesi, invece, che avevano un gender employment gap superiore al 15%, il tasso di occupazione era in Grecia del 54,9%, in Italia del 60,5%, in Romania del 66% e a Malta del 67,8%, al di sotto dunque della media europea.
Al diminuire del gender employment gap corrisponde quindi un tasso di occupazione generale più elevato.
È perciò evidente che per innalzare il tasso di occupazione europeo è necessario innalzare il tasso di occupazione femminile. Fonte: Eurostat, 2016
Sebbene le donne siano più qualificate degli uomini e raggiungano livelli di istruzione più elevati, molte di loro “spariscono” dal mercato del lavoro a causa delle responsabilità di cura.
Questo è imputabile soprattutto al fatto che le vigenti politiche di conciliazione non hanno consentito sinora a uomini e donne di condividere equamente i carichi di cura affinché possano entrambi essere parte attiva a livello sociale ed economico.
Si evidenzia, inoltre, che la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro si lega fortemente a un persistente gender pay gap e gender pension gap aumentando così il loro rischio povertà.
Vale la pena ricordare che la forza lavoro europea si sta riducendo a causa dell’invecchiamento della popolazione e della bassa crescita demografica. Agire, quindi, non è solo questione di equità, correttezza, ma sta diventando un problema di sostenibilità fiscale che per gli Stati membri si traduce in un vincolo sociale ed economico. L’iniziativa è stata sviluppata per affrontare questa sfida.
L’attuale struttura legislativa che si riferisce ai congedi risale agli anni ’90 e non consente un’equa suddivisione dei carichi di cura. Due decenni dopo è necessario ridisegnare le politiche partendo da quanto raggiunto in termini di progressi in ambito di uguaglianza di genere anche nel mercato del lavoro, garantendo che questo impianto sia in linea con i nuovi modelli di lavoro e con i trend futuri.
Al fine di modernizzare il quadro legislativo esistente la Commissione con la proposta di direttiva sul work life balance vuole preservare i diritti esistenti e delinearne di nuovi sia per gli uomini che per le donne. La proposta mette al centro l’individuo in quanto lavoratore e genitore, non ostacolando previsioni di miglior favore da parte degli stati membri.
Il pacchetto propone anche nuove misure volte al rafforzamento dell’applicazione della direttiva sul congedo di maternità lasciando intatti i diritti garantiti dalle disposizioni vigenti. La Commissione propone misure non legislative per affrontare la mancanza di sufficienti o adeguati servizi di assistenza e i disincentivi economici al lavoro per i percettori di reddito secondario che nella maggior parte dei casi sono donne.
Le misure non legislative che sono state prese in considerazione in tema di congedo di maternità sono volte a rafforzare l’applicazione della legislazione vigente in materia di protezione contro il licenziamento, la sensibilizzazione al licenziamento delle donne incinte e fornisce orientamenti strategici per favorire la transizione tra congedo di maternità e occupazione.
La proposta, poi, in ambito di misure legislative stabilisce una serie di standard minimi nuovi o più elevati per il congedo di paternità, il congedo parentale e il congedo per coloro che hanno carichi di cura altri:
– i padri avranno diritto ad un periodo di congedo di durata non inferiore a 10 giorni lavorativi in occasione della nascita di un figlio;
– il diritto a quattro mesi di congedo parentale potrà essere utilizzato fino ai 12 anni di età del figlio (oggi fino ad 8 anni di età);
– il congedo parentale di quattro mesi diventa un diritto individuale delle madri e dei padri, e in quanto tale non è trasferibile all’altro genitore; vige il principio del take it or loose it, che farà da incentivo affinché anche gli uomini vi facciano ricorso;
viene introdotto per la prima volta un congedo di cinque giorni l’anno per i prestatori di assistenza, in caso di malattia di un familiare.
Tutte queste modalità di congedo familiare saranno retribuite almeno al livello del congedo di malattia.
La proposta concederà, inoltre, ai genitori di bambini fino a 12 anni di età e ai prestatori di assistenza, al fine di non far lasciare loro il mercato del lavoro, il diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili, quali l’orario di lavoro flessibile o ridotto o la flessibilità per quanto concerne il luogo di lavoro (si pensi allo smart working).
Perché agire attraverso misure legislative sui congedi e sull’organizzazione del lavoro?
È ampiamente dimostrato che i congedi e le modalità di lavoro flessibili tendono a riequilibrare gli effetti della responsabilità di cura sul livello occupazionale delle donne. Potendo scegliere come meglio organizzare il proprio lavoro e come armonizzare le responsabilità di cura con il lavoro, si eviterà che molte donne abbandonino completamente il mercato del lavoro. Ad oggi, poi, gli incentivi che dovrebbero servire a indurre gli uomini ad avvalersi di opportunità per conciliare la vita lavorativa con quella familiare sono scarsi e di conseguenza il loro utilizzo è basso in molti Stati membri; riequilibrare il set delle misure a disposizione dei lavoratori con carichi familiari può contribuire a redistribuire i carichi di cura all’interno della coppia.
L’obiettivo generale del pacchetto, di accrescere la partecipazione delle donne alla vita economica e sociale dell’Unione, non è solo una questione di diritti, ma una strategia che consentirà ai genitori che lavorano e ai prestatori di assistenza di conciliare più facilmente la propria vita privata con la vita professionale; le imprese saranno messe in grado di moltiplicare il proprio capitale umano trasformando le competenze genitoriali in risorse fondamentali sul lavoro e gli Stati membri, forse, non perderanno 370 miliardi di euro all’anno a causa del gender employment gap.