Il fascino segreto delle “madonnelle”
Sono nata al centro di Roma ed abito da sempre nel centro di Roma, perciò, sin da bambina, mi sono sempre “incontrata” con le Edicole sacre, chiamate anche “Madonnelle” perché dedicate alla Madonna.
Sono presenti nella città dal tempo di Servio Tullio ed avevano la funzione di proteggere i quartieri e i suoi abitanti.
All’epoca di Augusto erano 265, salite a 463 con l’impero di Costantino.
Durante il Giubileo, nel 2000, molte furono restaurate restituendole alla loro antica bellezza.
A Piazza Navona c’è una Madonna col Bambino di un anonimo pittore del secolo XVII finemente dipinta. La Vergine è avvolta in un ampio mantello azzurro sulla tunica rossa con il capo coperto da un velo e stringe a sé con entrambe le braccia il Bambino Gesù che con la mano destra impartisce la benedizione. L’immagine veniva festeggiata il 15 agosto giorno dell’Assunta.
Una sontuosa Edicola si affaccia in Piazza dell’Orologio angolo Via del Governo Vecchio. E’ sormontata da un baldacchino di legno e la cornice è sostenuta da due grandi statue di angeli in pose differenti sospesi sulle nuvole. Alcuni puttini occhieggiano tra ghirlande di fiori.
L’Edicola che si trova in Via de’ Coronari cattura immediatamente l’attenzione e non a caso: è infatti opera di Antonio da Sangallo.
In un’altra che si trova in Via due Macelli, il bambinello si rivolge verso di noi ed è particolarmente vorace nell’afferrare il morbido, polposo e turgido seno materno.
Ma ogni Edicola ha il proprio fascino speciale.
Esse portano con sé un senso di poeticità al quale è difficile sottrarsi. Impossibile, insomma, non alzare lo sguardo verso di loro e, in fondo, loro sono lì proprio per catturarlo questo nostro sguardo.
Una di queste Edicole che si trovava ai piedi del Gianicolo era talmente amata e secondo la voce popolare tanti erano i miracoli da lei compiuti che venne trasferita nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. Ma chissà se Lei ne fu contenta dato che fu eseguita per attirare a sé l’attenzione del passante. E’ infatti la gente comune più che il popolo dei fedeli che le Madonnelle vogliono e riescono a conquistare.
C’è una poesia di Trilussa “Li bagarozzi” che racconta spiritosamente il rapporto tra i romani e le Madonnelle.
Pe’ trovasse d’un sito più sicuro
Diversi bagarozzi s’intanorno
De dietro ar quadro d’una Madonnella
Tra la cornice e er muro.
Quann’ecchete che un giorno
Viddero che ‘na donna
Diceva l’orazzione, in ginocchione,
Davanti a ‘sta madonna.
Ah! Mò t’ariccomanni! E proprio a noi,
A noi che semo li nemmichi tui!…
Je disse un bagarozzo che credeva
Che l’orazzione fossero pe’ lui.
Ma è inutile che piagni e che singhiozzi
Lo so, ma che je fa? – disse la donna –
Abbasta che me sente la Madonna.
Che me n’importa de li bagherozzi?
La Madonna dell’Archetto è la Madonnella di strada del rione Trevi. Secondo i suoi fedeli ci guarda, ci comprende ed esaudisce i nostri desideri. Come lo sanno questo i romani? Semplice: secondo i suoi ammiratori, i suoi occhi “si muovono”. Sono stati infatti dipinti allo scopo di guardare verso i devoti e, nello stesso istante, portare direttamente al cielo l’istanza dei suoi adoratori.
I lumini accesi per le Madonnelle rappresentavano fonti di luce durante la notte prima dell’arrivo dei lampioni. Alle Madonnelle, in seguito, furono collocate delle lampade così da rischiarare il buio. Insomma divennero oggetti funzionali alla città e sempre meno funzionali all’anima che chiedeva grazie, salute, perdono, fortuna, amore… In ogni caso loro sono sempre lì a disposizione di chi avrà il piacere di volgere lo sguardo verso di loro!
Nella Chiesa di Santa Maria in Montesanto la devozione vuole che una fanciulla dodicenne, Plautilla Bricci, che nel 1660 sarà al servizio quale pittrice ed architetto dell’abate Elpidio Benedetti, proprietario della Villa del Vascello a Porta san Pancrazio, dipingesse verso il 1640 una tavola della Madonna del Carmine su invito dei propri familiari, per farne dono ai monaci. Si addormentò prima di riuscire a terminare il volto della Vergine e al risveglio scoprì che l’icona era stata miracolosamente completata. Il dipinto venne immediatamente collocato all’interno del primitivo edificio sacro dedicato alla Beatissima Vergine, mentre nel rione cominciarono a proliferare le copie.
La Madonna della Quercia, alla quale è dedicata la chiesa di Piazza Capodiferro, nel rione Regola e venerata nell’omonimo santuario di Viterbo, è legata a un evento prodigioso. Nel 1417 un chiavaro fece dipingere su una tegola l’immagine della Madonna col Bambino e l’appese ad una quercia. Nel 1447 un frate la vide e la portò nel suo romitorio, ma l’immagine tornò miracolosamente sull’albero. Questo miracolo si ripeté altre volte così da persuadere gli abitanti del luogo a costruirle un santuario.
La Madonna è raffigurata seduta in trono col Bambino che tiene in braccio un agnellino simbolo dell’Agnus Dei in genere entro un’incorniciatura a forma di tegola su una quercia in aperta campagna.
Introdussero il suo culto i commercianti di bestiame viterbesi che si riunivano in Piazza Farnese, dove c’era il mercato.
La chiesa attuale, eretta nel 1737 su progetto di Filippo Raguzzini, sostituì quella dei primi del Trecento concessa da Papa Giulio II della Rovere ai viterbesi e dal 1523 anche all’Università dei Macellai, alla cui Confraternita di Santa Maria della Quercia dei Macellai venne confermato il possesso da Papa Clemente VII Medici nel 1532.
Le Madonnelle restaurate ora, però, sono state un po’ abbandonate a loro stesse e chiedono un piccolo miracolo: essere rispettate ed accudite cosicché il loro valore artistico e religioso non venga deturpato ma valorizzato.
In occasione del Giubileo del 2000 è stato pubblicato un volume “Per le vie di Roma Le Edicole sacre” nelle cui pagine potrà sbizzarrirsi chi vorrà saperne di più.