IL FEMMINISMO ARRIVO’ ALLA NOTTE DEGLI OSCAR PER CONTINUARE LA SUA LUNGA ED ININTERROTTA MARCIA
Articolo di Letizia Paolozzi su Donne e Altri
In Europa, Stati Uniti, Cina, un po’ ovunque un sesso si ribella. Nelle manifestazioni fa sentire la sua voce, la rete la rilancia. Si capovolge uno scenario dove le donne vengono rinviate al corpo per sottintendere che non sono che un corpo.
#quellavoltache il mio capo in una cena aziendale mi palpò il sedere davanti a tutti. Strillai ma nessuno disse una parola in mia difesa New Betty Sue
#quellavoltache a dieci anni al cinema un vecchio mi mette un mano tra le gambe e mi chiede: “Hai paura, eh?”. Intendeva per Jurassic Park pagliasofia
#quellavoltache sei nella folla per vedere un concerto e uno sconosciuto ti palpa il culo e ti sorride sornione dery
Nominare prevaricazioni, abusi; si tratta di una ferita nella carne e nell’anima. La parola liberata attraversa l’omertà, la violenza. Certo, succede anche che si vendichi, che semplifichi, chiamando a testimone lo spazio pubblico. Compaiono molestatori convinti di essere dei capitani coraggiosi. Ma il loro desiderio non è più irrefrenabile. Fino adesso supponevano di avere diritto a imporre le loro pratiche alle donne (e anche, spesso, agli uomini). Erano pratiche considerate “normali”, “naturali” come le 250 raccolte dal libro #quellavoltache storie di molestie (Progetto Le donne parlano, Simona Bonsignori; Paola Tavella; manifestolibri, 8,00 euro, 2018), divise per contesti, lungo le ore delle nostre giornate, delle nostre notti: lavoro, famiglia, strade, giardini, cinema, concerti…
C’è un hashtag, in Quellavoltache e nel Metoo, Time’s Up, Balancetonporc, per mostrare quanta ferocia attraversi le relazioni maschili (ne abbiamo discusso in un incontro del Gruppo del Mercoledì alla Casa internazionale). Ne scrive il ricco numero di Leggendaria numero 128 Feminist Wars Vulnerabilità e potenza.
Da traghettatore d’immagini, il cinema non poteva disinteressarsi delle relazioni tra i sessi nella notte degli Oscar. La televisione ha ripreso il presentatore Jimmy Kimmel che, indicando la statuetta di 35 cm, ricoperta d’oro 24 carati, esclamava: “Guardatelo! A Hollywood è un uomo molto rispettato. Tiene le mani dove le si può vedere. Non dice mai una parola fuori posto e soprattutto non ha il pene”.
In effetti, quel piccolo corpo atletico luccicante risulta spianato sotto la cintura. Senza pene, la sessualità (fallica) maschile non darà problemi?
L’ostacolo, secondo me, non sta in ciò che distingue biologicamente il maschio dalla femmina. Svelare “il sistema Weinstein” (dal nome del produttore, accusato da decine di attrici di molestie reiterate) ha costituito un’accelerazione inattesa del femminismo e ha messo il dito sulla piaga: la sessualità maschile sovente si traduce in potere, in dominio su un corpo ridotto a oggetto. All’Academy Award, Salma Hayek ha invitato i presenti a raccogliere fondi per le vittime di atti sessuali non voluti. Il «Time» ha deciso di eleggere “persona dell’anno” le “Silence Breakers”, quelle che hanno rotto il silenzio: fino a ieri, l’unico discorso rispettabile era maschile.
All’improvviso, crollata la diga, spazzato via lo scetticismo del “Ma non esageriamo!” si presta attenzione al mormorio ostile su un comportamento antico, replicato cento volte.
Adesso va in frantumi il patto non voluto ma imposto. Sono donne che stanno sotto la luce dei riflettori ammirate, famose. Sostengono le altre, le commesse, le operaie. Al Golden Globe, i vestiti luttuosi colpiscono l’opinione pubblica: emblema (stigmate?) di un dolore esibito. Puoi non essere tu ad aver subito un oltraggio, la devastazione del senso di te, tuttavia sei consapevole che altre, che le tue sorelle hanno avuto la sfortuna di incontrare dei gradassi tracotanti. Le dive si sono assunte una grande responsabilità: unite, solidali, insieme: #Wetoogether. Frances McDormand, migliore attrice per Tre manifesti a Ebbing, Missouri, dedica il premio “ai suoi due ragazzi femministi”. Poi invita Meryl Streep ad alzarsi in piedi perché “Se lo fai tu, lo faranno tutte” le nominate di quest’anno, dalle attrici alle registe, alle elettriciste, alle costumiste, alle truccatrici, alle scenografe. Infine, pretende l’applicazione dell’ Inclusion Rider, la clausola per avere la garanzia che la troupe e il cast del film rispettino la presenza femminile, dei neri, di chi è generalmente sottorappresentato.
In Italia, secondo il rapporto Istat sono otto milioni (in dieci anni) le vittime di molestie. Vuoi lavorare? Allora, paghi pegno. Negli ultimi tre anni, 425mila hanno sopportato prepotenze da parte di capi o colleghi. Il che non significa che le donne siano vittime predestinate. Per molte però è difficile difendersi: immigrate, rifugiate, esuli, abitanti nei paesi del Sud del mondo. Migliaia di siriane ricattate dagli operatori delle Nazioni Unite e delle ONG (sesso in cambio di cibo o di saponette).
Seguendo l’esempio del #Metoo, 124 protagoniste del cinema italiano, hanno firmato la lettera Dissenso comune concentrandosi sul sistema e le sue disuguaglianze. A parte indicare l’assassino nel sistema, hanno tralasciato il nome di Asia Argento e la rivelazione di essere stata stuprata da Harvey Weinstein.
Una dimenticanza che finisce per togliere valore alla testimonianza femminile. Non sarà che, senza accorgersene, su Dissenso comune hanno influito le obiezioni che circolano intorno al gesto di Asia Argento? “Ha continuato a farsi fotografare sottobraccio al produttore”; “Poteva accontentarsi di un mestiere più umile meno sfavillante”. “Come mai il resoconto è avvenuto dopo tanti anni?” In queste obiezioni si scopre una sorta di svilimento della vittima, giovane, spesso giovanissima. In effetti, le testimonianze di #Quellavoltache sono state consegnate in età adulta, venti, trent’anni dopo l’umiliazione patita. Eppure, tanti non immaginano la vergogna che provi (perché non sei riuscita ad andartene), il senso di colpa (perché ti accuseranno di averlo provocato), l’ambiguità del tuo consenso (che oscilla tra senso di onnipotenza e gratitudine).
Questa ignoranza si ritrova nell’informazione, restia (tranne qualche eccezione) a staccare gli occhi dal teatrino delle ombre italiano. Le donne, nel frattempo, smascherano una realtà sordida. Tuttavia non credono ciecamente nella legge. Anzi, ne diffidano. In quanto strumento plasmato dagli uomini, spesso la legge finisce per tutelarne gli interessi. Discorso troppo sbrigativo? Eppure, non così lontano dal vero.
Basta citare il tragico episodio di Cisterna di Latina, dove la giustizia militare non ha saputo (o voluto) ascoltare Antonietta Gargiulo, la sua paura, la paura delle sue bambine. Una lettera di giornaliste, psicoanaliste, ricercatrici, uscita sulla 27esima Ora del «Corriere della Sera», rivolta ai ministri dell’Interno, della Giustizia, della Difesa e della Sanità, ha posto il problema del risibile funzionamento dei servizi di protezione e prevenzione per Antonietta e le tante perseguitate dalla furia maschile. Sicuramente, il contratto sessuale oggi va riscritto e rideterminato il ruolo dei sessi. Se la cura degli abusi è la trasformazione (Rebecca Solnit su «Internazionale» del 16 febbraio), l’esigenza di un cambio di mentalità riguarda tutti. Non l’ha compreso la lettera-manifesto (notate quante sono le prese di posizione femminili in questo periodo!) contro Il nuovo puritanesimo, pubblicata su «Le Monde»e sottoscritta tra le altre da Catherine Deneuve.
Giusto rivendicare: “Siamo soggetti”, ma l’asimmetria tra maschi e femmine spesso va letta come impossibilità per le donne di sottrarsi a ciò che non desiderano. Ammettiamo di conoscere il confine (sempre provvisorio) tra gioco seduttivo, corteggiamento e prepotenza di cui scrive Luisella Battaglia (in ParadoxaForum.com), nella società uomini e donne non si collocano sullo stesso piano quanto al potere. Quando il potere si trasforma in abuso, i rapporti di forza sono squilibrati.
Dovrebbe rifletterci chi si appella alle garanzie dello stato di diritto contro “le delazioni”, “le denunce senza prove”, “gli attentati” al buon nome di chi, regista, attore, capoufficio, caposquadra, caporeparto, detiene una posizione di comando!
Insiste la lettera-manifesto che c’è da parte femminile una spinta alla censura. A me non risulta che dobbiamo allarmarci per un femminismo puritano (c’è pure quello, naturalmente) quanto per gli episodi di moralismo di una società più chiusa, sulla difensiva, impaurita. Kevin Spacey eliminato dal film Tutto il denaro del mondo, sospesa da Netflix la stagione finale di House of Cards mentre si pretende il ritiro delle opere di Balthus dai musei e si disapprova la retrospettiva dei film di Polanski. Badate che nel ’91, per Polanski presidente della giuria di Cannes nessuno aveva mosso un muscolo.
Si possono separare le opere dalla vita? Certo che no. Tuttavia, non manderò al rogo le opere di Heidegger nonostante il filosofo abbia creduto nel nazismo. I volumi pubblicati intorno a questo autore e la qualità degli apparati critici, sono una difesa sufficiente per non venire plagiata dal suo sguardo. Infine, sul #MeToo escluderei che metta a rischio la convivenza umana. Piuttosto, mi turba una discussione che, senza volerlo, produce come effetto simbolico di riportare al centro del discorso l’inalterabilità del nesso eterosessuale (uomo-donna), girando intorno alla sessualità maschile, alla potenza patriarcale senza che mai compaia il possibile godimento femminile.
Significa che il patriarcato non vuole lasciare la presa? (marzo 2018)