Il Financial Times denuncia l’Italia: abuso di corpi femminili perpetuato da spot e tv
Doveva parlarne un autorevole quotidiano inglese perché in Italia si dibattesse per qualche giorno sull’uso oltraggioso delle immagini di donne veicolate dai media. Per lo meno se ne è parlato e questo è già qualcosa, visto che quasi nessun altr@ oltre a noi ha mai dato il minimo peso all’argomento. “Nuda ambizione” è il titolo dell’inserto culturale del Financial Times di sabato scorso, interamente dedicato al nostro paese. Sotto accusa sono l’industria dello spettacolo e quella pubblicitaria che svestono donne in ogni dove. Il quadro dipinto è quello di un’Italietta fatta di massaie e veline, le prime intente a fare tagliatelle, le seconde ad esibire il fondoschiena.
La sociologa {{Chiara Saraceno}}, intervistata dal {Corriere della Sera} in proposito, ammette che una persona straniera, giungendo nel nostro paese, possa avere la sensazione di esser capitata in una società in cui la massima aspirazione per le adolescenti sia {{divenire show-girl}}, modelli di riferimento per eccellenza poiché considerate ragazze fortunate, belle e di successo, mentre le tante donne laureate non riescono neppure a lavorare.
Non stupisce che all’estero emerga un ritratto del tutto negativo di un paese in cui non esistono sostegni per le lavoratrici e diviene così impossibile conciliare il lavoro domestico con la carriera professionale, riuscendo solo molto raramente a {{sfondare il cosiddetto“tetto di cristallo”.}}
Il giornalista del Financial Times {{Adrian Michels}}, esprime tutto il suo sdegno per {{l’ultima campagna della Tim}}: migliaia di cartelloni, sparsi per tutta Italia, in cui la show-girl, Elisabetta Canalis, mostra una scollatura molto profonda chinandosi in avanti verso il passante.
L’articolo di Adrian Michels si chiede perché {{italiani ed italiane non sembrano avere reazioni di alcun tipo di fronte a immagini come quella}}. Ed ecco che arrivano le prime risposte, già la domenica mattina: uno speaker di una radio italiana difende la show-girl definendo quell’immagine una delle sue foto “più caste”. Fortunatamente, questa non è stata l’unica reazione dinnanzi a un articolo di tale entità. Anzi, pur non portando nulla di nuovo alle nostro orecchie, la denuncia di Adrian Michels ha innalzato un polverone sui maggiori quotidiani italiani e non solo.
Se occorreva una bacchettata dall’Inghilterra per portare i media italiani a parlare dell’abuso delle donne nude nei loro palinsesti, l’episodio non basterà certo a frenare il fenomeno. Per questo {{è importante “risvegliare le coscienze” delle donne perché non sia più possibile per un uomo di un altro paese affermare che il femminismo in Italia sia stato tradito.}}
Per il Financial Times a trent’anni dalle riforme storiche su divorzio e aborto, ottenute grazie alle femministe del nostro paese, {{la condizione della donna è costituita da “dolore e sofferenza”}}, poiché i servizi pubblici, le banche, i negozi non vanno incontro alle esigenze delle lavoratrici, adottando orari di chiusura disagevoli; alcuni ospedali rifiutano ancora l’epidurale; la maggior parte delle aziende è sprovvista di una nursery e i lavori domestici sono svolti ancora quasi solo dalle donne, così come {{alle donne italiane spetta quasi totalmente la cura dei figli e degli anziani}},a differneza che in altri paesi europei. A tutto ciò si aggiunge l’imperativo della seduzione, a cui ogni donna che non voglia essere rifiutata deve obbedire.
Inaccettabile l’affermazione del Financial Times, che considera la famosa lettera d’accusa della moglie di Berlusconi una riscossa per le italiane. Piuttosto che commentare una simile banalità, è più saggio prendere spunto dalla critica alla condizione femminile italiana effettuata dal quotidiano per stimolare una maggiore consapevolezza in materia nell’opinione pubblica del nostro paese.
Reagire a questa condizione di subalternità è l’unica maniera per raggiungere un bilanciamento dei ruoli. {{Un articolo che rompa il silenzio è solo un piccolo passo, ma è un buon modo per indurre le donne, per prime, a ribellarsi ad un atteggiamento assertivo, dato dall’abitudine e dal conformismo al sistema.}}
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