Per gentile concessione della rivista “Legendaria”, che dedica ad Arundhati Roy uno speciale nel numero 69/2008 attualmente in libreria, pubblichiamo anticipiamo ampi stralci della conferenza di Arundhati Roy a Istanbul il 18 gennaio 2008 dal titolo “Ascoltando le cavallette. Il genocidio tra negazione e celebrazione”.

{{Cosa è un genocidio}}

(…) Nello stato del Gujarat c’è stato un genocidio contro la comunità musulmana nel 2002. (…) Il genocidio è iniziato come punizione per un crimine rimasto irrisolto: l’incendio di un vagone ferroviario in cui 53 pellegrini induisti furono bruciati vivi. In una pianificata orgia di vendetta, 2000 musulmani sono stati macellati in pieno giorno da squadroni di killer armati ed organizzati da milizie fasciste, protetti dal governo del Gujarat. Donne musulmane hanno subito stupri di gruppo e sono state bruciate vive. Negozi, bancarelle, uffici e moschee sono stati sistematicamente distrutti. Circa 150.000 persone hanno dovuto lasciare le loro case.
_ […] Il genocidio del Gujarat non può essere confrontato con quello del Congo, del Rwanda o della Bosnia. Non ci sono milioni di persone uccise. Non si tratta nemmeno del primo, in India. Nel 1984 circa 3000 Sikh sono stati massacrati nelle strade di Delhi con uguale impunità, sotto gli occhi del Congress Party [la formazione politica tuttora al governo]. Ma{{ il genocidio del Gujarat è rilevante perché fa parte di una visione sistematica ed elaborata}}. Ci dice che il grano sta maturando e le cavallette sono arrivate nel cuore dell’India.

E’ una vecchia abitudine umana, il genocidio. Ha avuto un ruolo importante nella marcia delle varie civiltà, dalla distruzione di Cartagine – con cui termina la terza guerra punica nel 149 a.C  – in poi. Ma la parola genocidio è stata coniata solo nel 1943 da Raphael Lemkin ed è stata adottata dalle Nazioni Unite nel 1948 dopo l’Olocausto nazista. _ {{L’articolo 2 della convenzione Onu}} su prevenzione e punizione del crimine di genocidio (United Nation Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide) lo definisce come “Qualsiasi fra gli atti che seguono commessi con l’intento di distruggere, totalmente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso: uccidere membri del gruppo; causare danni seri fisici o mentali ai membri del gruppo; infliggere deliberatamente al gruppo” condizioni di vita mirate al raggiungimento della sua distruzione fisica completa o parziale; imporre misure intese a prevenire le nascite all’interno del gruppo o trasferire forzosamente i bambini del gruppo ad un altro gruppo.
_ Poichè questa definizione{{ lascia fuori la persecuzione di dissidenti politici}} – reali o immaginati – essa non include alcuni dei più grandi omicidi di massa della storia. Personalmente ritengo che la {{definizione di Frank Chalk e Kurt Jonassohn}}, autori del libro The History and Sociology of Genocide sia più adatta. Genocidio, dicono loro, è “una forma di {{uccisione di massa commessa solo da una parte}}, in cui uno stato o altra autorità intende distruggere un gruppo, per come il gruppo e l’appartenenza ad esso sono stati definiti dal perpetratore (…)”. […]

{{Occultare gli olocausti}}

{{La negazione del genocidio è una variante sul tema}}, rispetto al vecchio trionfalismo assetato di sangue. Si sviluppa come risposta alla doppia morale del 19esimo secolo, quando l’Europa si dota di forme nuove, seppur limitate, di democrazia e diritti di cittadinanza, mentre simultaneamente stermina milioni di persone nelle sue colonie. Improvvisamente paesi e governi cominciano a negare o a tentare di nascondere i genocidi da loro commessi. Come dice Robert Jay Lifton, autore di Hiroshima and America: Fifty Years of Denial: “la negazione è come dire che, in effetti, gli assassini non hanno assassinato. Le vittime non sono state uccise. La conseguenza diretta della negazione è un invito a futuri genocidi”.
_ Oggi,{{ quando le politiche di genocidio incontrano il libero mercato}} – si tratti di riconoscimento ufficiale o di negazione – {{gli olocausti e i genocidi diventano una impresa, un business multinazionale}}.

[…] Detto senza mezzi termini: elementi quali l’oscillazione del prezzo di un barile di petrolio, o di una tonnellata di uranio, il permesso garantito ad una base militare o il grado di “apertura economica” di un paese, possono essere {{elementi decisivi}} perché un governo possa affermare il fatto che un genocidio non è in realtà successo. O se un genocidio succederà o non succederà. E nel caso che succeda, se verrà riportato dalla stampa, e in che misura.
_ Per esempio: la morte di due milioni di persone in Congo passa inosservata. E che dire della morte di un milione di iracheni durante la fase dell’embargo, prima dell’invasione Usa? Si è trattato di genocidio, come dice Denis Halliday (coordinatore Onu per l’Iraq) oppure “ne valeva la pena” come sostiene Madeleine Allbright [segretario di stato Usa dal 1997 al 2000]. {{Tutto dipende da chi fa le regole}}, se è Bill Clinton o la mamma irachena che ha perso il bambino.
_ Poiché gli {{Usa}} sono il più ricco e potente paese del mondo, hanno anche acquisito il privilegio di essere {{al primo posto nella negazione di genocidio}}. Si continua a celebrare il giorno in cui Cristoforo Colombo arrivò nelle Americhe, che segna l’inizio di un olocausto che ha {{cancellato milioni di nativi}}, circa il 90 per cento della popolazione originale.
_ Lord Amherst, che ebbe l’idea di distribuire coperte infette di vaiolo agli indiani, ha dato il suo nome ad una cittadella universitaria ed a prestigiosi college.

Nel secondo olocausto americano, {{30 milioni di Africani furono rapiti e venduti come schiavi}}. La metà morì durante il viaggio. Nel 2002, alla conferenza mondiale contro il razzismo tenutasi a Durban, la delegazione Usa abbandonò la sala rifiutando di accettare che la schiavitù e il commercio di schiavi fossero crimini.
_ La schiavitù – hanno insistito – a quei tempi era legale.
_ Gli {{Usa hanno anche rifiutato di accettare che il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki fossero crimini}} – senza parlare di genocidi. La loro risposta fu che il governo non intendeva uccidere civili. Quello deve essere stato il primo passo verso la teoria dei “danni collaterali”.
_ Dalla fine della seconda guerra mondiale il governo Usa ha interferito centinaia di volte, apertamente e non, con il proprio esercito. (…) L’invasione del Vietnam ha comportato lo sterminio – con eccellenti intenzioni, ovviamente – di 3 milioni di vietnamiti, circa il 10 per cento della popolazione.

Nessuno di questi atti è stato riconosciuto come crimine di guerra o genocidio. Come diceva Mac Namara (quello del bombardamento di Tokyo, poi della guerra in Vietnam e infine presidente della Banca Mondiale) il problema è: “quanto male bisogna fare per poter fare del bene?”

Ci può essere un esempio più perfetto di quello che sosteneva {{Robert Jay Lifton, che la negazione del genocidio è un invito ad altri genocidi?}}
_ E quando le vittime diventano perpetratori, come in Rwanda e in Congo? E ancora, che cosa bisogna dire di {{Israele}}, creato dopo uno dei più crudeli genocidi della storia umana, e delle sue azioni nei territori occupati? Insediamenti che implicano la {{colonizzazione dell’acqua}}, il nuovo “muro di sicurezza” che separa i palestinesi dalle loro fattorie, dal loro lavoro, dai loro parenti, dalle scuole dei loro bambini, da ospedali e centri per la salute – si tratta di un genocidio che si può osservare come se avvenisse nella vasca dei pesci, un {{genocidio al rallentatore}}, che serve ad illustrare bene quella sezione dell’articolo 2 sopra menzionato, laddove si dice che genocidio è qualsiasi atto mirato a infliggere deliberatamente ad un gruppo delle condizioni vita mirate al raggiungimento della sua “distruzione fisica completa o parziale”.
La storia dei genocidi ci dice che non si tratta di una aberrazione, di una anomalia o di un difetto del sistema umano. E’ una abitudine, tanto vecchia e persistente come molta parte della condizione umana, come l’amore, l’arte e l’agricoltura.

[…]
Con un universo parallelo contraffatto ({counterfeit universe}) che funziona, dice Robert Jay Lifton, {{il genocidio diventa facile}}, quasi naturale. I poveri, i cosiddetti poveri, possono solo scegliere tra resistere o soccombere. E’ vero, mentre il mondo non guarda, stanno cambiando idea, ma non nella direzione in cui si pensa – bensì verso un altro strapiombo: quello della lotta armata. Da lì guardano indietro, verso gli zar dello sviluppo, e ripetono il loro slogan: non ci sono alternative.
_ […]
La gente indiana che ha imbracciato le armi [ribelli, maoisti, naxaliti, etc.] lo ha fatto in piena consapevolezza delle conseguenze di tale decisione. Hanno scelto, sapendo di essere lasciati a se stessi. Sanno che{{ le nuove leggi della terra criminalizzano i poveri e fanno equivalere resistenza e terrorismo}}. Sanno che gli appelli alla coscienza, la morale liberale e la copertura della stampa ora non sono d’aiuto. Sanno che nessuna marcia internazionale, nessun dissidente globale, nessun famoso scrittore saranno da quelle parti quando voleranno le pallottole.
_ Centinaia di migliaia hanno perso fiducia nelle istituzioni della democrazia indiana. Grandi parti del paese sono uscite dal controllo del governo – all’ultimo conteggio si è parlato di un 25 per cento. La battaglia puzza di morte e non ha niente di bello (…). Questi idealisti stanno davvero combattendo per un mondo migliore? Beh … qualsiasi cosa è meglio dell’annichilimento.[…]
_ Colpire, mutilare, virus, disinfestare, far fuori, eliminare. Sì,{{ l’idea dello sterminio è nell’aria}}. E la gente crede che di fronte alla prospettiva di essere sterminati ci sia il diritto di reagire e combattere. Con ogni mezzo necessario. Forse hanno imparato ad ascoltare le cavallette.

{
Traduzione ed editing di Laura Corradi}