Il problema non
è solo di rendere sessuate le lingue per dare visibilità alle donne, ma è anche e soprattutto la restituzione di quanto è stato loro proditoriamente tolto; solo così potranno riacquistare quella autorevolezza di cui sono state defraudate e di cui hanno bisogno per ricostruire il mondo a misura di donna che vuol dire, in fin dei conti, a misura dell’intera specieL’articolo di Graziella Poluzzi [Parole innocue ma non troppo->5866] mi ha fatto pensare al
senso di impotenza che mi assale tutte le volte che l’indignazione nei confronti di
un uomo fa affiorare alle mie labbra parole come “cornuto” o “figlio di puttana”, le
quali offendono in realtà altre donne, mogli o madri, di cui il poveretto sarebbe
alla fine vittima innocente.

Inventare epiteti atti ad attribuire al diretto
interessato le sue responsabilità senza scaricarle su altre/i, secondo modalità
tipicamente maschili, è divertente, liberatorio e pedagogico allo stesso tempo; il
linguaggio maschile però produce danni incalcolabili a tutta la specie perché non
corrisponde alla verità di fatto che sostituisce e occulta.

Nel mio saggio {{ {Il corpo
pensa} }} affermavo che “si deve restituire alla parola la sua originaria pregnanza se
si vuole sostenere, insieme all’indispensabile operazione di trasparenza, la
struttura simbolica materna capace di trasformare il mondo”, ma “per essere
veritiere le parole devono rendere giustizia alle madri. Non si possono più usare i
derivati della parola uomo per distinguere in positivo la nostra specie dalle altre.

Non si può parlare di {umanizzazione} per definire il processo di incivilimento
senza mentire spudoratamente, visto che l’evoluzione è stata determinata dallo
sviluppo di speciali qualità da parte delle donne.
_ Si è trattato in realtà di
{femminizzazione} e poiché ancora oggi per molti uomini i valori di civiltà sono
ideali irraggiungibili, non di ‘umanità’ bisogna parlare per definire la nostra
specie e i caratteri benefici che la diversificano, ma di {femminità}.

Le parole
{umano, umanistico} e simili devono invece andare a coprire il vuoto linguistico per
significare l’insieme di atteggiamenti, atti e misfatti che fanno dell’uomo il
peggiore tra tutti i maschi che abitano il pianeta.

Da oggi in poi il termine
{umano} dovrà indicare la particolare propensione maschile a fare un uso
{disinvolto} dell’altra e dell’altro, considerato una via di mezzo tra bestia e
cosa; l’attitudine a produrre e riprodurre gerarchie, ispirandosi al vile modello
della dominanza, che prevede per uno stesso individuo il doppio ruolo di umile
lecchino dei potenti e di altero tiranno dei deboli; la diffusa omertà maschile che
non solo tende a celare le violenze grandi e piccole, le ingiustizie legali ed
illegali nei confronti delle donne, ma si manifesta anche come solidarietà
generalizzata nei confronti dei persecutori, dei carnefici, degli sfruttatori, dei
criminali di tutte le risme; la cieca distruttività che annienta vite umane,
saccheggia, guasta, disfa la natura, sperpera e polverizza le risorse, coltivando
estesamente e capillarmente il sadismo che struttura le comunità attorno alla
sofferenza e alla morte, anziché alla vita e alla gioia di vivere.
_ La stessa parola
{uomo} non è adatta a designare tutto il genere umano, perché di fatto è la donna
che, essendo allo stesso tempo artefice della vita e della civiltà, comprende l’uomo
così nel corpo come nella mente, negli aspetti naturali come in quelli culturali.

Il
vocabolo {fratellanza}, poi, non può definire i reciproci legami di affetto e
benevolenza fra gli esseri umani, sia perché i legami fra gli uomini più che
fraterni sono omertosi, in quanto non si riferiscono in genere ad una disinteressata
solidarietà ma al desiderio interessato di sostenere un determinato sistema di
potere o determinati privilegi, sia perché è l’affettività materna che coinvolge
disinteressatamente tutti, maschi e femmine, in un unico abbraccio ed ha fatto da
collante sociale nella formazione delle prime comunità.

Come si vede il problema non
è solo di rendere sessuate le lingue per dare visibilità alle donne, ma è anche e soprattutto la restituzione di quanto è stato loro proditoriamente tolto; solo così potranno riacquistare quella autorevolezza di cui sono state defraudate e di cui hanno bisogno per ricostruire il mondo a misura di donna che vuol dire, in fin dei conti, a misura dell’intera specie.

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