Il problema non è l’innalzamento dell’età pensionabile, ma la stabilità occupazionale delle donne
L’Istat ha fotografato una situazione, il gap pensionistico tra uomini e donne in Italia, che va collocata in un quadro generale nel quale le pensioni italiane sono tra le più basse d’Europa e il disagio economico e sociale legato a questa condizione meriterebbe d’essere più L’Istat ha fotografato una situazione, il [gap pensionistico tra uomini e donne in Italia->https://www.womenews.net/spip3/spip.php?breve1734], che va collocata in un quadro generale nel quale le pensioni italiane sono tra le più basse d’Europa e il disagio economico e sociale legato a questa condizione meriterebbe d’essere più presente nel dibattito politico e nell’approfondimento mediatico.
Per rispondere adeguatamente e commentare i dati Istat sul gap pensionistico tra uomini e donne in Italia bisogna necessariamente partire con il considerare che la pensione è la conseguenza di diversi fattori combinati tra loro: il tempo dedicato al lavoro retribuito e la retribuzione percepita; la continuità del rapporto previdenziale tenendo conto di particolari momenti della vita di ognuno, l’età di pensionamento e le modalità di calcolo.
Il dibattito politico di questi anni si è incentrato tutto sulla sostenibilità della spesa previdenziale ma {{nessuna attenzione è stata dedicata alla adeguatezza delle prestazioni}}.
In Italia le pensioni in pagamento sono basse ma se ne parla, come in questo caso, solo quando l’Istat pubblica i dati.
_ A chi sostiene che con l’{{innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile}} si porta la parità tra donne italiane e donne europee, rispondo dicendo che questa {{non è parità}}. Negli altri paesi europei c’è più attenzione al lavoro delle donne, compreso il lavoro di cura della famiglia.
Un ragionamento più ampio non può non partire dalla {{questione del salario delle donne in Italia}}, tenendo conto del rapporto diretto tra il lavoro e la tenuta del sistema previdenziale.
_ In Italia come in altri paesi europei, il sistema previdenziale è a ripartizione. Le pensioni, anche quelle liquidate con il sistema contributivo, sono pagate con i contributi versati dai lavoratori in attività. Se il lavoro si riduce, diventa più precario, perde valore, si mettono a rischio le pensioni di oggi e si creano le condizioni per impoverire i pensionati di domani.
In questo quadro merita attenzione la lettura di genere del mercato del lavoro e della divisione del lavoro retribuito e del lavoro non retribuito.
_ Un confronto con l’Europa sui tassi di occupazione distinti per genere (Eurostat 2009) mette in evidenza la triste condizione in cu versa il nostro paese che vede un’ occupazione maschile attestarsi sul 69 percento circa e quella femminile sul 47 percento.
Quest’ultimo dato, già preoccupante sul fronte interno, non regge il confronto con gli altri paesi europei: in Germania l’occupazione femminile è al 67 percento, 65 percento nel Regno Unito, 60 percento in Francia e così via. La media del tasso di occupazione femminile nell’Europa a 27 è del 59 percento circa.
_ Sulla sconfortante situazione italiana del mercato del lavoro femminile pesano senz’altro la condizione familiare, il mancato sostegno delle istituzioni, l’assenza di servizi alle famiglie; la minore occupazione si registra nelle donne che hanno figli e che vivono in coppia, costrette a lasciare il lavoro, neanche troppo soddisfacente, e a sopperire alla mancanza di servizi adeguati e accessibili.
A questo si aggiunga che nel periodo di crisi economica che stiamo attraversando {{il ritmo di discesa tendenziale dell’occupazione femminile è -8,3%}}, più del doppio rispetto a quello maschile pari a -4%.
La mutazione riguarda anche la tipologia di lavoro femminile che, in sintesi, è part time e presente per lo più nel settore terziario.
_ Anche in questo caso il {{rapporto tra uomini e donne con impiego part time}} e nettamente impari: 7 a 1 e i dati ci dicono che il part time tendenzialmente aumenta con l’aumentare del numero dei figli.
All’interno dei confini nazionali, ancora prima di fare il confronto con l’Europa, i dati ci dicono che là dove esistono servizi efficienti il livello di fecondità è più alto e c’è più occupazione (un confronto tra Emilia Romagna e Campania, stime Istat).
Dunque, divari significativi tra i sessi e squilibri regionali caratterizzano tuttora il mercato del lavoro italiano, come pure avviene per la persistente ed elevata presenza di lavori irregolari e l’aumento di lavori flessibili.
{{Le donne sono il 57,26% dei parasubordinati attivi a reddito esclusivo}}, cioè che non svolgono alcuna attività al di fuori del parasubordinato. Inoltre, il quadro generale ci dice che {{le donne sono più istruite degli uomini, ma lavorano meno e guadagnano molto meno }} anche a parità di durata contrattuale.
Un altro dato che acuisce le differenze nelle opportunità di lavoro e di guadagno e rafforza la tradizionale divisione del{{ lavoro nella famiglia}}, è che le donne impiegano molta parte della loro vita in attività di cura per figli e anziani (parlano i dati relativi alla richiesta di congedi parentali e ai licenziamenti prima o durante la maternità): un {{lavoro non retribuito per il quale i contributi non vengono maturati }} e che è quantificato in più di un’ora di lavoro al giorno.
Il solo rimedio proposto, e attuato, per aumentare l’occupazione, in particolare quella femminile è quello di innalzare l’età pensionabile.
_ Già fatto per le donne del pubblico impiego, si pensa ora alle donne del settore privato, ma l’obiettivo di questo tipo di interventi è il risparmio immediato di spesa previdenziale. L’aumento dell’occupazione deve essere realizzato con altri strumenti.
Dunque è chiaro che il gap delle pensioni tra uomini e donne mette in evidenza dei punti critici fondamentali e dimostra, infatti, come {{il problema non sia l’innalzamento dell’età pensionabile, ma la stabilità occupazionale delle donne}}, le opportunità di lavoro per le donne, il riconoscimento della loro professionalità e la necessità di parità di salario da lavoro tra uomini e donne.
_ Di fatto comincia qui, con il lavoro, il percorso che porterà le donne a percepire pensioni di importo notevolmente basso.
{{In quasi tutti i paesi europei l’età di uscita dal mercato del lavoro è sempre più bassa di quella legale}}. Occorre aumentare, più che l’età legale, quella effettiva di pensionamento agendo sugli incentivi, i disincentivi e con il pensionamento flessibile.
Alla luce di questi dati dunque {{è necessario pensare a sistemi che compensino i periodi non riconosciuti come periodi di lavoro per le donne perché impegnate nell’attività familiare}}.
La copertura previdenziale dei periodi di non lavoro retribuito dedicato alla cura è un tema, non secondario, su cui intervenire. {{Una carriera previdenziale non discontinua incentiva la prosecuzione dell’attività lavorativa}}.
In Itala sono stati fatti piccoli passi avanti, ma di certo non sufficienti e in alcuni casi poco sostenibili per le donne, poiché la copertura di periodi di non lavoro attraverso il riscatto o il versamento i contributi volontari comporta oneri che non tutti si possono permettere.
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