Il “Solitario” Pontormo – la lettura di Simona Marchini alla Galleria d’arte moderna di Roma
Alla Galleria d’arte moderna di Roma, diretta da Claudio Crescentini, Simona Marchini, accompagnata al violoncello dal maestro Simonpietro Cussino, ha interpretato un mio testo dal titolo “Solitario dei solitari” dedicato al pittore fiorentino Jacopo Pontormo, vissuto nella prima metà del Cinquecento.
Pontormo – ho raccontato presentando il testo – non mangiava niente: un fico secco e quando diciamo fico secco ci riferiamo esattamente al frutto: un fico secco.
Litigava un po’ con tutti e in particolare con i frati del convento per i quali lavorava. A dirla tutta, non andava d’accordo con nessuno. Era forastico, molto forastico. “Gli venivano a noia la mondanità e le moine”. Insomma, amava starsene per conto suo.
Quando il pittore affrescò la Chiesa fiorentina di San Lorenzo, allungò i corpi dei suoi personaggi quasi a voler regalare loro una dimensione metafisica. Inoltre aveva collocato il Cristo in gloria al di sopra del Padreterno. Leggenda vuole, inoltre, che per dipingere dei corpi in sfacelo si recasse nei cimiteri a disseppellisse i morti e li mettesse a bagno nell’acqua perché si gonfiassero appestando così di puzzo tutto il vicinato. Naturalmente gli affreschi non piacquero, furono giudicati eretici e gli venne data una mano di bianco.
Esili e affilate le sue Madonne, originale la sua tavolozza – rosa splendenti, teneri verdi, grigi malva – innovative le sue composizioni. Non è un caso, quindi, che il videoartista americano Bill Viola, a Pontormo abbia dedicato un omaggio.
La casa di Pontormo non aveva niente a che vedere con le abitazioni-studio degli altri pittori. “Alla stanza dove stava a dormire e talvolta a lavorare – racconta Vasari – si saliva per una scala di legno, la quale, entrato che egli era, tirava su con una carrucola acciò che niuno potesse salire da lui senza sua voglia o saputa”.
Insomma, era una specie di tana. Unica fortuna, si apriva sull’orto del convento e chissà che, di nascosto dai frati – quelli con cui spesso litigava – non rubacchiasse di tanto in tanto un po’ di frutta e di verdura visto che era dichiaratamente vegetariano.
L’elenco degli artisti dal carattere fumantino è lungo. Ne citerò solo qualcuno tanto per darne un’idea con una strizzatina d’occhio.
“Badate bene! – minacciò Leonardo – Se voi, abbate di Santa Maria delle Grazie, non la smettete di brontolare sul mio lavoro, vi ritraggo nell’Ultima cena in veste di Giuda!”
Secondo Leonardo, “se il pittore vuol vedere bellezze che lo innamorino, egli ne è signore in generale et se vuol vedere cose mostruose che spaventino o siano buffonesche o risibili o veramente compassionevoli, n’è signore e dio”.
Quando un sabato santo un prete, spargendo acqua benedetta, ne sparse anche su un suo quadro, l’artista gli gettò addosso un gran secchione d’acqua urlando: “Ti farà del gran bene pure a te!”
“Mi volete pagar poco?! – urlò il pittore Beccafumi – Allora gli angeli che sto dipingendo nel Duomo di Siena, li sistemo in pose di ladri”.
Anche Artemisia Gentileschi nelle sue lettere ai committenti esigeva per i suoi quadri il prezzo richiesto e si infuriava quando volevano ridurlo perché sospettava che lo facessero perché era firmato da una donna: “Le opere mie saranno quelle che parleranno” rivendicava con grinta.
Giambattista Marino si dichiarò onorato quando, rientrato nella natia Napoli, gli fu conferito il titolo di Accademico dell’Accademia degli Oziosi. Dato che c’era anche l’Accademia degli Infuriati, Marino apprezzò di gran lunga quello che gli era stato assegnato.
“Follia mia dea – inneggiava il Pontormo – tu sei a tal punto inconfondibile che non possono tenerti nascosta nemmeno quelli che si arrogano la maschera e il titolo di saggi e se ne vanno in giro come scimmie ammaestrate”.
Riecheggiano in me le parole di Alda Merini: “Non vorrei mai essere una santa, ma una squilibrata sì!”